Non un soffio, non un respiro. Nemmeno lei, l’«artista principale ospite» dello Stabile di Palermo, Emma Dante, spende un fiato sulla situazione di stallo del «suo» teatro, il Biondo. Ai Cantieri culturali alla Zisa sta provando indefessamente – come è suo costume – il prossimo spettacolo, Esodo, prima parte di una trilogia che rimanda all’Edipo re sofocleo con gli allievi della Scuola di cui è direttrice all’interno dello stesso teatro di via Roma. Debutto previsto a giugno, come sempre «in una splendida cornice», Festival dei Due Mondi di Spoleto. Ma oltre alle prove, al lavoro con i suoi ragazzi, agli spettacoli prodotti o coprodotti col Biondo che viaggiano benissimo in Italia e all’estero da soli, anche senza l’intermediazione del teatro palermitano, il silenzio. Ultima dichiarazione pubblica, un post di saluto e di ringraziamento per il congedo dell’ex direttore artistico Roberto Alajmo che la volle, la volle, fortissimamente la volle cinque anni fa, creatrice di nuovi progetti per la scena e alla guida della Scuola dei Mestieri dello Spettacolo.

Da Emma Dante in giù, il silenzio sul Biondo è corale. Quasi tombale. Nemmeno il sibilo di un de profundis. Un’indifferenza che come un sipario tagliafuoco non lascia passare un alito di sentimento. Come se quel teatro fosse un edificio vuoto e non abitato giorno per giorno, sera dopo sera.  Solo sui social qualche timido sprazzo. L’ultima settimana è stata polemicamente dedicata più alla nomina del nuovo assessore comunale alla Cultura (moltiplicata al plurale: culture), il medico palestinese Adham Darawsha (il sentire comune, spiccio, sbrigativo, forse anche figlio di un pregiudizio, è stato “che ne sa questo qui?”), salito agli onori della cronaca di Palazzo di Città in seguito al “rimpastone” orlandiano e sul quale si continua a litigare on line. Ma sul Biondo – lasciato ormai da 67 giorni senza guida e senza soldi, ultimi stipendi pagati sotto Natale – nessuno parla o scrive, non un attore, non un regista, non un uomo di cultura o operatore teatrale, nessun intellettuale insomma – come non ci fosse interesse, colleganza, affetto, riconoscenza, memoria, come se quel teatro centenario fosse un corpo estraneo alla città, un bel prospetto primonovecentesco con dentro niente, in balia dell’inedia delle istituzioni politiche (Musumeci, Pappalardo, Orlando) e del suo stesso gruppo dirigente, il presidente Gianni Puglisi in testa. Come se nessuno ne avesse a cuore un benché minimo pezzo.

In questa afonia assordante, c’è forse stanchezza, rassegnazione, disillusione, disperanza. «Siamo defunti, i morti non parlano», chiosa drammaticamente Giuditta Perriera, attrice, figlia di Michele. «La cosa più brutta è essere considerati delle nullità: siamo questo per gli amministratori della città, solo una piccola riserva di voti, umiliati in questo ruolo», dice Beatrice Monroy, scrittrice e drammaturga di lungo corso, una fra gli insegnanti della scuola del Biondo. «Sono senza voce perché ho gridato già tanto per non far chiudere un teatro», commenta Alfio Scuderi, regista, oggi direttore artistico delle Orestiadi di Gibellina ed ex direttore del Montevergini, laboratorio di nuova drammaturgia palermitana e siciliana in genere fino al primo decennio del nuovo secolo, che gli fu scippato  e ridotto a vuoto contenitore proprio dal Comune che pure anni prima glielo aveva affidato. L’unico che rilancia è Giuseppe Cutino, che al Biondo ha lavorato per una regia fino a 15 giorni fa, e che sessantottescamente esorta: occupiamolo! Ma le occupazioni dei teatri (e dei teatranti) si sa in Italia come vanno a finire.

Ultimi aggiornamenti di cronaca, intanto. Oggi si riunisce il Consiglio di amministrazione, Puglisi dovrebbe pronunciarsi sulla nuova banca che farà da tesoreria dopo il diniego sul rinnovo della convenzione del Monte dei Paschi che – dicono – sia il teatro che il suo presidente non voglia più vederli nemmeno effigiati su foto, e dopo gli undici «no» di altrettanti istituti di credito. Ovviamente non si parlerà del nuovo direttore artistico perché senza liquidità non ce ne sarebbe motivo.

Le due delicate questioni – liquidità e direttore artistico – sono strettamente correlate. La prima dovrebbe essere sbloccata dalla Regione che, con il bilancio già approvato, potrebbe allentare i cordoni della borsa per un anticipo che farebbe tornare gli stipendi nelle case di impiegati amministrativi e maestranze e far pagare le compagnie che finora sono salite in scena gratuitamente. Tempi tecnici: non meno di due settimane, forse tre. La seconda questione dovrebbe, a questo punto, essere conseguenza immediata: nel caso in cui “la Regione salva il Biondo”, come titolerebbero i giornali, Palazzo d’Orléans passerebbe direttamente all’incasso imponendo, all’interno o anche al di là del famoso bando, un proprio nome, tramonterebbe la già pallida candidatura di Pamela Villoresi e rinvigorirebbe quella del catanese Orazio Torrisi o, con minori probabilità, quella dell’altro teatrante etneo Giuseppe Dipasquale, entrambi ex direttori dello Stabile alle pendici del vulcano.