Il “centrodestra unito” è quasi un concetto che non esiste più. E sembrano sterili i tentativi di Ruggero Razza, assessore regionale alla Salute e  uomo forte di Diventerà Bellissima, di riesumarlo. Guardate cosa è accaduto a livello nazionale: Salvini che apre una crisi di governo, poi ci ripensa e chiede ai Cinque Stelle di tornare insieme; la Meloni che dal Quirinale invoca la piazza; Berlusconi che, nonostante le umiliazioni, fa la corte al “capitano” ma quell’altro non se lo fila. La decantazione dell’ultima crisi di governo ha portato con sé alcuni strascichi che solo i 14 mesi di esperienza gialloverde, con la prospettiva di archiviare in fretta, avevano momentaneamente sospeso. Punti di vista divergenti, soprattutto fra Lega e Forza Italia, che in Sicilia erano esplosi nella battaglia verbale fra Candiani, il luogotenente di Salvini sull’Isola, e Micciché, plenipotenziario di Berlusconi: “Tu non sai chi sono io”, “Davvero non lo so. Chi ti conosce?”. E roba simile.

Il dialogo non c’è mai stato. E solo l’assenza del Carroccio nella compagine di governo – nel 2017 prese un solo deputato, Tony Rizzotto – ha evitato guai peggiori. Ha impedito che le forti contraddizioni venissero a galla. Sui temi soprattutto: il rispetto della dignità umana da un lato, l’oscurantismo delle politiche migratorie dall’altro. Ce ne sarebbero stati motivi per rompere. Ma in Sicilia il centrodestra ha retto perché la Lega non c’era. Non c’era e almeno per un pezzo continuerà a non esserci. Poco importa il 20% ottenuto alle ultime Europee. Salvini, scomparendo per un pezzo dalla scena di governo, ha lasciato allo sbando il suo esercito. Soprattutto in Sicilia, dove non esiste una sponda parlamentare; ma dove in tanti avevano scelto di mollare le proprie appartenenze, per avvicinarsi al carro del vincitore. Quello del “capitano”, per l’appunto.

Nonostante dai quartieri alti del Carroccio, guardassero con diffidenza, e con un filino di puzza sotto il naso, a questi tentativi – ovviamente leciti – di avvicinamento: “Ora Sicilia”, il gruppo parlamentare guidato all’Ars da Luigi Genovese, non ha funzionato granché come cavallo di Troia. Salvini e Candiani, fin dal primo momento, ne hanno rivendicato la distanza più assoluta e sfrontata. Non volevano avere nulla a che fare con un esercito di trasformisti e col figlio di un condannato a 11 anni in primo grado per gli scandali della formazione professionale. Genovese junior. La doppia morale della Lega – che a Roma non si cura di Siri, dei 49 milioni, dei rubli, delle condanne dei capigruppo di Camera e Senato – in Sicilia avrebbe voluto imporre una legalità che non gli appartiene. Ma non è questo il punto. Il punto è che in tanti – fra coloro che avevano scelto di scalare il Carroccio, o di affiancarlo nelle future vittorie elettorali e di governo – sono rimasti a spasso. Tutti orfani di Salvini.

Razza, per tornare gli inizi del racconto, ha detto a Live Sicilia che il modello vincente è quello del “centrodestra unito” e che Diventerà Bellissima è il suo collante. Ma nei mesi scorsi, proprio per il presunto avvicinamento alla Lega, per il lancio di “Ora Sicilia”, per il tentativo di dare vita alla terza gamba sovranista, per quella simpatia innegabile di Musumeci per Salvini (che lo spinse fino a Pontida), qualcosa scricchiolò nei rapporti con Forza Italia, che è tuttora il socio di maggioranza di questa compagine di governo. E anche Micciché, pubblicamente, ebbe da ridire sull’esuberanza di Razza e sul tentativo – mal celato – di portargli via dei deputati (il primo e unico a partire, fin qui, è stato proprio Genovese). Sarebbe stato un bel guaio la rottura fra i partiti.

La caduta della Lega, adesso, suggerisce un ritorno al passato. Di coloro i quali, insieme, hanno impedito la scalata ai Cinque Stelle. La triplice alleanza: Musumeci, Micciché e i centristi. Con l’aiutino di Fratelli d’Italia. “Credo che il centrodestra, al di là di quello che si dice, è sempre unito – ha detto Razza, negando qualsiasi coinvolgimento nella formazione di “Ora Sicilia” – E un chiaro esempio è proprio la coalizione che governa in Sicilia che è il frutto della visione del presidente Musumeci: una coalizione coesa, cioè, nella quale ciascuna forza che la compone rappresenta la propria storia e il proprio progetto”.  Il patto dei moderati che non si arrendono alle spinte populiste. Anche se qualcuno ha trascorso l’ultimo anno e mezzo a civettare con il Ministro dell’Interno: il presidente della Regione addirittura si recò a Pontida, dove i siciliani sono stati spernacchiati nei secoli dei secoli. E per far piacere al “capitano”, si è anche detto pronto ad accettare l’autonomia delle regioni del Nord, nella speranza di un grande piano Marshall che aiutasse quelle del Sud, Sicilia compresa, a essere competitive. Speranza effimera.

Ora che Salvini non c’è più, la Sicilia è piena di orfanelli. In nome e per conto di chi agiranno i vari Candiani – commissario (lombardo) del Carroccio siculo – Cantarella, Gelarda, Attaguile e Pagano? La costruzione di una classe dirigente all’altezza, già di per sé complicata, dovrà rallentare. E quanto conteranno all’Assemblea regionale quei poveri cristi di “Ora Sicilia”? L’autonomista Daniela Ternullo ha già fatto le valigie per assecondare il rientro all’Ars di Pippo Gennuso, che ha patteggiato una condanna a 1 anno e 2 mesi per traffico d’influenze. Genovese è il più ricco, ma col cerino in mano. Rizzotto con la Lega non vuole averci più niente a che fare, la Lantieri è distante anni luce dai muscoli e dai ciarlatani. E’ una formazione poco omogenea, che potrebbe chiedere i “danni” di questa separazione a Musumeci: magari con un assessorato.

In mezzo al guado – sedotto e abbandonato – c’è anche lui, il governatore. Ora che il Viminale è rimasto sguarnito, i conciliaboli e gli occhi dolci con il Ministro dell’Interno, l’idea di allearcisi per farlo vincere nei collegi del Sud, i giochi di sponda per evitare i “niet” dei Cinque Stelle, vanno tutti a farsi friggere. Così Musumeci ha già cominciato a lamentarsi: “Il Sud continua ad essere vergognosamente il grande assente nel confronto politico di questi ultimi giorni sul probabile nuovo governo Movimento 5 Stelle-Pd. E’ la conferma di quanto andiamo sostenendo da mesi: il Mezzogiorno rimane, per alcune forze politiche, soltanto un grande contenitore di voti e gli elettori meridionali considerati come grandi donatori di sangue fino all’anemia. Si vuole condannare il Sud a vivere di assistenzialismo”. Il governicchio regionale, se vorrà contare qualcosa, dovrà cercare nuove sponde nel Pd. Strana la vita.

Un altro che pagherà dazio dall’uscita di scena di Salvini, però, è anche il vice di Musumeci, Gaetano Armao. La riappacificazione estiva con Forza Italia, dettata dal malinteso intervento di Berlusconi più che dal reale convincimento del gruppo dei deputati all’Ars, potrebbe essere temporanea. Il carattere dell’assessore all’Economia, che non hai reso edotto il gruppo delle sue decisioni, gli si potrebbe ritorcere contro. Così come, nell’aprile scorso, aveva fatto il suo sostegno al candidato sindaco leghista di Gela, Giuseppe Spata. Che correva contro Lucio Greco, simbolo di Forza Italia e dei centristi (e poi vincitore al ballottaggio). Armao e la sua compagna, Giusy Bartolozzi, hanno sempre sostenuto le ragioni di un centrodestra-a-tutti-i-costi, a trazione leghista, nonostante al Sud il partito si trovasse su posizioni radicalmente opposte, di certo meno esasperate. Ora che la Lega si è presa una pausa, e che Salvini rimarrà al largo dalla Sicilia fino al prossimo beach tour, sarà difficile trovare riparo in un porto sicuro. A meno di nuove, clamorose girandole.