I colori giallo e rosso della Trinacria sventoleranno il prossimo 25 settembre alla Craig Newmark Graduate School of Journalism di New York, dove il cronista siciliano Paolo Borrometi – primo italiano in assoluto – riceverà il “Peter Mackler Award” per il suo giornalismo etico e coraggioso. La notizia è rimbalzata dagli States lo scorso 22 agosto. E ha colto di sorpresa Borrometi. Che dopo aver rimesso in ordine le idee e tenuto a bada le emozioni, ha dedicato il premio a due colleghi che non ci sono più: la blogger maltese Daphne Caruana Galizia, morta nel 2017 per l’esplosione di un’autobomba, e Antonio Megalizzi, che alla vigilia dello scorso Natale è rimasto ucciso nel vile attentato di Strasburgo.

Ma il pensiero di Paolo è andato anche ai cuginetti Alessio e Simone D’Antonio, spazzati via dalla prepotenza di un Suv mentre giocavano sull’uscio di casa, a Vittoria. Un dramma che Borrometi ha documentato per filo e per segno. Scagliandosi, senza dubitare un attimo, sull’autore materiale del massacro – Rosario Greco, figlio di un boss – e dei suoi tre “compari” che si sono dileguati anziché dare una mano nei soccorsi. La vita e la professione di Borrometi – che ha sempre cercato di denunciare le ramificazioni mafiose nei territori di Ragusa e Siracusa – si mescolano nel suo ultimo libro: si chiama “Un morto ogni tanto” e narra (pure) l’aggressione fisica subita da due mafiosi nel 2014, che gli procurò una menomazione alla spalla. E, in generale, il succo delle sue inchieste: gli intrecci tra mafia e politica, gli affari illegali che si nascondono dietro la vendita del pomodorino Igp, il traffico d’armi e di droga, la guerra fra clan. Ormai da cinque anni vive sotto scorta.

La vita con Paolo Borrometi non è mai stata tenera. A New York la premieranno per la sua attività giornalistica sprezzante del pericolo. Cosa si cela dietro il coraggio?

“La prima cosa che ho pensato, quando mi hanno comunicato la notizia, è che il riconoscimento non sia legato solo alle inchieste di Paolo Borrometi, ma al lavoro di tutti i colleghi, che lavorano soprattutto nelle periferie, e non solo nel nostro Paese. Penso che non ci si debba concentrare sul coraggio, altrimenti rischiamo di mettere in primo piano le minacce e gli attentati, la mia vita blindata. Il messaggio che preferisco far passare è che io continuo a scrivere e indagare. Continuo a fare il giornalista, nonostante tutto”.

La paura fa parte della sua vita da giornalista?

“Fa parte della mia vita come uomo. E non l’ho mai nascosta. Come fai a non avere paura quando vieni aggredito in quel modo, quando hai in corso 14 processi nei confronti di una trentina di accoliti, di boss, tutti per minacce di morte aggravate dal metodo mafioso? Appena un anno fa il Gip di Catania ha scoperto una “eclatante azione omicidiaria” – parole sue – nei confronti del giornalista Paolo Borrometi. Quindi sì, la paura fa parte del mio mondo, non l’ho mai nascosta ma, semplicemente, ho provato a non cedervi. L’ho rielaborata e tentato di fare sempre il mio dovere”.

Nel giorno del 28° anniversario della morte di Libero Grassi, è emerso che sono poche le denunce contro pizzo ed estorsione. L’antimafia ha molta strada da fare?

“A me non piace l’espressione “antimafia”. E’ un termine che ho sempre provato ad allontanare dalla mia vita e dalla vita di questa terra martoriata. Basterebbe essere “cittadini” per andare contro la mafia, la corruzione e l’illegalità. Però sì, c’è tantissimo da fare a livello culturale. Non possiamo nascondere che in alcune parti della nostra terra, purtroppo, lo Stato non è avvertito come efficiente. Un esempio su tutti è Vittoria. Guardi cosa è successo con la tragedia di quei poveri bambini… Due figli di capimafia, con altri due pluripregiudicati, sfrecciavano a 160 chilometri orari per le stradine della città, con a bordo manganelli e materiale di ogni genere. Il concetto di cittadinanza è debole”.

Perché?

“Ci sono delle parti di questo Paese, di questa regione, dove si crede che l’anti-Stato sia più forte dello Stato. In queste zone è molto più complesso denunciare, e non è nemmeno conveniente. Ma questa narrazione è sbagliata. Oggi le mafie sparano meno, ma fanno paura. Fa paura soltanto sentir pronunciare il nome del potente di turno. Questo è il motivo per cui non esiste la cultura della denuncia, che poi è la cultura dell’essere cittadino. Io sono convinto che non basta commemorare Libero Grassi, o i giudici Falcone e Borsellino. Lo Stato deve investire molto di più sulla scuola, valorizzando l’educazione civica, e spiegando alle nuove generazioni che denunciare conviene. Innanzi tutto per un valore etico, e poi perché conviene realmente”.

Lei è stato “testimone” di quanto avvenuto a Vittoria. Dopo la morte dei due cuginetti, è arrivato il Ministro dell’Interno Matteo Salvini per far visita ai genitori di Alessio e Simone. Ha detto che non ha mai visto una città più omertosa. Cosa ne pensa?

“Partiamo dal presupposto che io esprimo un giudizio sulle dichiarazioni del Ministro dell’Interno e non del politico. Detto questo, occorre una premessa. Credo che Salvini abbia detto quelle cose perché scosso dall’incontro coi genitori. Durante il colloquio – io ero stato invitato dalle famiglie – dissero a Salvini che Rosario Greco, l’investitore dei figli, avrebbero dovuto arrestarlo qualche settimana prima, quando tentò di accoltellare un ragazzo in un bar. Ma nessuno dei testimoni, una quarantina, confermò la versione agli investigatori. Dissero di non aver visto”.

Quindi ha ragione Salvini: Vittoria è una città omertosa.

“Temo di sì. A Vittoria il problema è chi denuncia, non chi commette i fatti. Il 70% dei post degli esponenti politici, sui social, vanno contro la commissione prefettizia. Come se fosse un avversario politico, un usurpatore di potere. Dimenticando, però, che lo scempio in cui versa la città, e lo scioglimento per mafia, deriva dai loro comportamenti. Non per tornare sul personale, ma all’indomani della tragedia dei cuginetti, il collega di Repubblica Salvo Palazzolo intervistò Angelo Ventura – che era nella macchina assieme a Greco e scappò senza prestare soccorso – e i suoceri: anziché vergognarsi e chiedere scusa per quanto successo, diedero la colpa a Paolo Borrometi perché stava infamando la città”.

In seguito alle ultime inchieste relative al voto di scambio, alle tangenti dell’eolico, alla superloggia di Castelvetrano, il presidente della commissione regionale Antimafia, Claudio Fava, ha sottolineato la permeabilità della politica siciliana rispetto alla criminalità organizzata. E’ d’accordo con lui?

“Condivido e sottoscrivo le sue parole. Ovvio che non si può generalizzare e mettere dentro tutti. Ma dalle inchieste giudiziarie e giornalistiche – anche io ne ho fatte parecchie, denunciando con nome e cognome – emerge che la politica e i politici sono permeabili. Non bisogna dimenticare che questi signori sono degli eletti, non persone che prendono il potere con la forza. Non fu un colpo di Stato che portò al governo Totò Cuffaro, ma il voto consapevole dei cittadini. E tutti sapevamo che fosse indagato per alcuni reati. Un altro tema è la corruzione: oggi non viene più visto come un problema, ma come qualcosa di endemico che va accettato. Esiste un chiaro problema di cittadinanza”.

Buttanissima si batte da mesi per riportare a galla la verità su un censimento fantasma da 90 milioni commissionato dalla Regione alla società di un avventuriero. Ma nessuno ha fatto chiarezza: non la politica, non le procure, non i giudici contabili. Anche le omissioni sono un problema di cittadinanza?

“Qualsiasi omissione è un atto gravissimo. I cittadini hanno il diritto di essere informati e noi giornalisti – lo dice l’articolo 21 della Costituzione – abbiamo il diritto, ma anche il dovere di farlo. Voi fate benissimo a condurre questa battaglia perché è una battaglia per la verità. Poi magari è un caso che si sgonfierà, non spetta a noi dirlo, ma certamente bisogna fare chiarezza”.

Dal nuovo governo che sta per nascere auspica qualcosa di diverso sui temi della legalità?

“Lo auspico da troppo tempo. Io di solito sono abituato a guardare il bicchiere mezzo pieno, ma in quello mezzo vuoto vedo, negli ultimi anni, tante campagne elettorali e tanti programmi con pochi riferimenti alla lotta alle mafie, che sono certamente il problema di questo Paese”.

Per tornare al premio di New York. Cosa dirà nel discorso di ringraziamento?

“Parlerò del bicchiere mezzo pieno. Di una Sicilia che – indubbiamente – è stata segnata da alcuni fatti, anche tragici e di sangue. Ma in cui ci sono persone che resistono, che pensano, che vogliono invertire la rotta. La Sicilia non è pizza e mafia, ma una terra in cui tanti cittadini fanno il proprio dovere. Ci sono tante giornaliste e tanti giornalisti che, anche per pochi spiccioli, lottano per cambiare la narrazione esistente”.