La bomba del terzo settore è pronta a esplodere e Palermo rischia di diventare una polveriera. Le cooperative sociali sono stufe: da giugno 2017 non beccano un euro dal Comune e finanziano le proprie attività con investimenti da decine di migliaia di euro al mese, grazie ai prestiti delle banche. Molte di esse hanno già chiuso le case-famiglia, venendo meno a un servizio fondamentale come quello dell’assistenza ai soggetti bisognosi, specialmente i minori della fascia 0-6 anni. Altre, quelle che resistono, si riuniranno in un comitato spontaneo – con trenta strutture residenziali, una ventina di cooperative, ma anche 150 lavoratori specializzati – ma hanno già scritto a Orlando e, più volte, alla dottoressa Alessandra Autore, capo area/responsabile della Cittadinanza sociale. Per chiedere all’Amministrazione un cambio di passo, ma anche di onorare il patto per l’accreditamento che prevede l’elargizione di una retta mensile per i 250 minori (complessivi) presi in carico ogni anno; e di non far mancare l’humus della vita in una società che rischia di diventare sempre più indifferente.

Sono tante le cooperative che soffrono perché la politica ha chiuso i rubinetti: da “La Culla di Alice”, che si occupa di terzo settore dal ‘95, passando per Esdra, che ha tre strutture complesse le quali assistono, rispettivamente, minori dai 0 ai 6 anni, mamme e donne vittime di violenza. E’ come se aiutare i più deboli non vada più di moda. Sorge il dubbio che dietro questa scelta, da molti attribuita alla burocrazia, ci sia un pizzico di malafede. Se non addirittura un complotto. Per questo le associazioni hanno deciso di lanciare l’ultimo, disperato appello.

Queste cooperative, salvano ogni anno 250 minori dalla strada, sottraendoli a un percorso di vita danneggiato. I bambini – prima degli immigrati, dei detenuti o di chiunque altro – sono “la” categoria da proteggere. Risultano tre volte vittime inconsapevoli: per essere nati da genitori sbagliati, per essere stati strappati alla famiglia naturale, e per essere stati affidati a una pubblica amministrazione che non paga le comunità che se ne prendono cura”. A differenza di Bibbiano, non c’è alcun affido “vincolato”: a riconoscere la situazione di precarietà del minore è il tribunale, previa la segnalazione degli assistenti sociali. Poi i bambini vengono assegnati alle case-famiglia che per legge si vedono riconosciuti una diaria dal Comune: la Regione siciliana stabilisce una retta mensile di circa 1.900 euro, una delle tariffe più basse a livello nazionale.

A cosa servano questi soldi si legge nel documento che alcune coop hanno inoltrato al sindaco di Palermo: “Siamo allo stremo. Non siamo più in grado di offrire un servizio adeguato: indebitati con le banche, offesi dai nostri creditori, vediamo i nostri piccoli andare a scuola senza libri, senza la gioia di un paio di scarpe nuove, senza la sicurezza di una equipe psicopedagogica stabile che rappresenti in quel momento la propria famiglia, senza l’automobile che li accompagni (ferma perché senza assicurazione). Abbiamo atteso con compostezza e senso di rispetto (e fiducia) nelle Istituzioni che le difficoltà degli uffici delle Attività Sociali si risolvessero; abbiamo inviato mail di supplica, atteso promesse e impegni solenni, tollerato che i pagamenti delle ultime 4/6 mensilità di ogni anno avvenissero, a distanza di due anni. Abbiamo accettato, contra ius, la fatturazione bimestrale; non abbiamo mai bloccato la città, né bruciato cassonetti”. Ma non hanno più visto un centesimo.

Al Comune di Palermo, ogni anno, costa più un dirigente in una posizione apicale che una comunità di recupero per minori. Le strutture complesse, inoltre, danno lavoro a 150 professionisti che altrimenti sarebbero migrati altrove. Connesse a questa vicenda, ce ne sono altre mille. “Offriamo alla città di Palermo un bilancio sociale assolutamente positivo – si legge nel documento –. Senza considerare tutti i fondi strutturali di provenienza UE (circa 6 milioni di euro, ndr) che in precedenza siamo riusciti a portare, e spendere, nella nostra città e che oggi non riusciamo a programmare causa i ritardati e/o mancati pagamenti da parte del Comune di Palermo che non ci consentono di avere né apposite professionalità né il Durc regolare”. Le case-famiglia non risultano in linea coi parametri del documento ufficiale di regolarità contributiva (il Durc, appunto), senza il quale è impossibile partecipare ai bandi comunitari. Palermo, in questo modo, sarà più povera.

Le difficoltà nei pagamenti sono iniziate nel 2012. Tutti i mesi finali di ogni annualità (da ottobre a dicembre) sarebbero stati versati sempre con due anni di ritardo e come debiti fuori bilancio, aggravati da interessi moratori e decreti ingiuntivi. Da giugno 2017, invece, il blocco. In parecchi casi le determinazioni, anziché essere trasformate in mandati di pagamento, sono state rigettate dalla ragioneria generale per errori che non si spiegano. Mentre qualcuno va avanti con le ingiunzioni. Molti, però, vorrebbero evitare che i crediti presso la Pubblica Amministrazione si trasformino in esecuzioni esecutive nei confronti del comune di Palermo, con un aggravio di spesa del 35%, che da un lato arricchisce le tasche di cittadini agiati (su tutti gli avvocati) e dall’altro impoverisce i servizi essenziali come quelli di pulizia del verde pubblico e di sicurezza stradale. Le cooperative sperano nell’accantonamento dei fondi, unica soluzione per uscire dall’impasse: il Comune potrebbe “congelare” i soldi che deve alle strutture, in cambio di un intervento sostitutivo immediato, con il pagamento di Inps e Inail ai lavoratori, per metterli in regola col Durc. Ma questo non è mai avvenuto negli ultimi 27 mesi.

Gli operatori del sociale conoscono i conti di Palazzo delle Aquile: “Sappiamo che noi rappresentiamo un problema fra tanti altri: quello dei residui attivi (1 miliardo), delle partecipate, delle continue riorganizzazioni degli uffici (che non permettono continuità amministrativa); del costante utilizzo di anticipazioni per cassa (il cui costo vale 1,4 milioni l’anno di interessi), dell’incapacità di riscuotere i crediti (Palermo ha l’indice più basso d’Italia). Ma le nostre problematiche – insistono gli scriventi – danneggiano le fasce più deboli della città: i bambini”.

Il credito nei confronti del Comune ammonta a 10 milioni circa. “Non vogliamo più far finta di nulla. Tale abominio da acuto è diventato cronico e poi, peggio, strutturale. Non possiamo più tollerare che il Sindaco, del quale riconosciamo lo spessore culturale, continui a trovare la giustificazione (non la soluzione) dei problemi nella responsabilità di altri. I motivi che ci spingono a portare avanti questa azione sono quelli di rendere pubblica una patologia che nell’interesse di tutta la città non deve più esistere. Chiederemo che venga organizzato un incontro ufficiale con le autorità”. Se non dovesse quagliare nulla, sono previsti scioperi e occupazioni di luoghi simbolo. La solidarietà non può più aspettare e si è già messa in marcia.