La nuova arte contemporanea si chiama hi-tech. E l’hi-tech, con tutti i suoi nessi e connessi, sarà protagonista, giovedì 15 novembre, di un importante appuntamento promosso dall’Università Telematica Pegaso e da Buttanissima Sicilia, che a Villa Igiea, a Palermo, presentano “Hi-tech Sicilia: a che punto è la rivoluzione”. Un modo per capirne di più ed esplorare le possibilità che offre questo mondo. Di cui bisogna imparare a fidarsi – perché ne va del nostro futuro e persino della nostra salute – mettendo da parte quella buona dose di diffidenza a cui ci condanna l’ignoranza digitale (è così che si chiama). Di questo, e molto altro, parlerà Marco Valenti, 37 anni, “mondelliano convinto”, Ceo di Moving Up, il digital hub specializzato in digital trasformation per i media e l’editoria, fondato nel 2015 dallo stesso Valenti e da Alessi spa, azienda leader in Sicilia, Calabria e Sardegna nel mondo dell’out of home, ossia la pubblicità esterna (dalla cartellonistica ai siti internet).

“Oggi siamo un digital hub, nonché concessionaria pubblicitaria in esclusiva di realtà come Il Foglio e Il Fatto Quotidiano – spiega Valenti – e rappresentiamo alcuni dei media più importanti del territorio nazionale. Il gruppo è cresciuto molto in questi anni e conta su circa 35 professionisti operativi dalle tre sedi di Palermo, Roma e Milano”. Da questo momento in poi cercheremo di sfatare assieme a lui, con un linguaggio poco tecnico e colloquiale, ulteriori dubbi sul digitale e portare tutti, ma proprio tutti, a comprendere i vantaggi della digitalizzazione, e, qualora esistano, anche i suoi punti deboli.

Come spiegare a un settantenne di oggi la rivoluzione dell’hi-tech?

“Storicamente, le forme di comunicazione che si sono sviluppate nei secoli sono state molto legate all’arte, alla pittura, alla scrittura. Ci siamo tramandati il sapere attraverso quelle che possono essere definite a tutti gli effetti delle opere d’arte. L’hi-tech è la vera forma d’arte contemporanea. L’uomo ha iniziato a sviluppare una serie di competenze e di conoscenze che stanno rendendo il mondo più digital. Per fare un esempio: nell’IoT (Internet delle cose) qualsiasi prodotto elettronico, anche un forno o un frigorifero, oggi è connesso ad internet e comunica dati. Vengono prodotti quotidianamente decine di milioni di dati che stanno trasformando la nostra vita. Alla stessa stregua, nel mondo pubblicitario (ad-tech), è oggi possibile raccogliere e analizzare tramite le tecnologie che noi sviluppiamo i dati relativi a un’affissione pubbliciataria digitale, come ad esempio il numero di persone che l’hanno vista, la loro età,e altro ancora, per attivare un dialogo migliore tra gli inserzionisti e i consumatori”.

In meglio o in peggio?

“Lo sviluppo tecnologico sta andando in una direzione ben precisa: offrire servizi in maniera molto più personalizzata e veloce. In molte parti d’Italia – in Sicilia siamo ancora indietro – i servizi al cittadino sono telematici e digitali. O ancora, non è più necessario andare in banca per completare un’operazione sul nostro conto. E non si compra più un biglietto aereo in un’agenzia viaggi, ma si fa attraverso un telefono. Su Amazon, poi, si può accedere a quasi tutto: da un cavo per il computer a un prodotto hi-tech di ultima generazione”.

Non mi ha ancora convinto del tutto: perché dovremmo affidarci totalmente alla tecnologia?

“E’ una forma d’arte in cui si stanno facendo grossi passi avanti perchè sia davvero al servizio del benessere umano. Basti pensare alle nanotecnologie che, sempre più ridotte nelle dimensioni, da qui ai prossimi dieci anni faranno la differenza nel mondo della medicina che è solo uno degli ambiti importanti per l’essere umano verso cui si sta spostando il baricentro della rivoluzione”.

Talvolta, però, manca la fiducia nei confronti di una modernità così accentuata, che cambia volto in continuazione. Sembra che siano in atto processi di autocombustione fini a se stessi…

“Esatto, questa è una percezione molto frequente. L’innovazione viene vista quasi come una cosa distruttiva. Rispetto alle forme d’arte a cui ho accennato prima, che avevano tempi di sviluppo e distribuzione lunghi – l’essere umano aveva tutto il tempo per metabolizzare e comprendere determinati processi comunicativi – il digitale è velocissimo e si evolve nel giro di pochi mesi. Per quanto la comprensione del digitale possa risultare ancora ardua e portare quindi a una certa diffidenza, il suo impatto in positivo sulle nostre vite e sulle attività di tutti i giorni è più efficace che mai. Dalle applicazioni per la salute, a cui abbiamo appena accennato, alle modalità di fruizione delle informazioni fino alla socializzazione tra persone o alla salvaguardia dell’ambiente e alla sicurezza (basti pensare ad esempio ai droni), questa modernità è già presente nelle nostre vite e non vi è ragione di esserne spaventati. L’invito è quello invece di mantenersi informati, partecipando ad iniziative come questa a Villa Igiea o tramite le molte altre forme a disposizione”.

Che uso ne fa fuori dall’ambiente di lavoro? E come ha orientato la sua formazione per diventare ciò che è oggi?

“Io sono un quasi-nativo digitale. Ho 37 anni e ho avuto la fortuna di vivere gli ultimi anni senza smartphone. Ma ne ho visto la nascita e seguito lo sviluppo. La mia, inoltre, è una formazione molto tecnica: per circa 15 anni ho fatto il programmatore informatico e sviluppato software. Nella mia vita privata sono totalmente connesso, per 365 giorni l’anno, all’ecosistema digitale. Ma, conoscendolo, sono abbastanza sereno nell’utilizzo dei miei dati”.

In tanti, invece, non si fidano. Anche quando c’è da fare un pagamento online chiedono mille volte se sia opportuno o meno…

“Alla base di questa riflessione c’è un grande equivoco. Quello di considerarsi all’interno di un grande fratello digitale, che tutto vede e registra. Questo genera una condizione di paura. Ma se impariamo a conoscere bene le leve digitali e tecnologiche, saremo in grado di far ascoltare a questo grande fratello virtuale solo le informazioni che vogliamo, mettendo le altre al riparo da ogni uso improprio”.

Può fare un esempio?

“In pochi sanno che è molto più sicura una transazione online, che non utilizzare la carta di credito per pagare al ristorante o al distributore di benzina. Strisciare la carta nel Pos, di fatto, mette in mano all’esercente i tuoi dati. Un truffaldino potrebbe schiacciare il pulsante un minuto dopo aver fatto il pagamento e rifare la transazione. A livello digitale, con pagamenti tramite smartphone ad esempio, questo non è possibile”.

Il processo tecnologico ha avuto un impatto devastante anche sul mondo dell’editoria e del giornalismo. Lei, che se ne occupa, cosa ha notato?

“E’ cambiato tutto, soprattutto per chi viene da una formazione classica. Prenda la carta stampata: il concetto di base è che prima era un servizio di tipo passivo. Venivano prodotti una serie di contenuti distribuiti il giorno successivo con approfondimenti e dettagli. La velocità di produzione della notizia poteva garantire un contributo controllato. Dico “passiva” perché il pubblico attendeva il contenuto e non poteva scegliere di leggerne uno anziché un altro. Al massimo poteva decidere di comprare un quotidiano sportivo o finanziario. Con la rivoluzione digitale, il pubblico può cercare in maniera attiva le informazioni, che si scindono dal contenitore che le contiene. Oggi più che leggere un quotidiano rispetto a un altro, tramite i social o Google è infatti possibile cercare un’informazione relativa a un determinato tipo di avvenimento. Sono i social e il digitale a condurre verso i contenuti di interesse e ne sono testimonianza i numeri di una recente ricerca ufficiale che vedono 4,2 miliardi gli utenti in Rete e 3,4 le persone sui social. Questa si chiama globalizzazione dell’informazione, in cui siamo tutti più vicini e informati. In questo contesto è dunque fondamentale il tema della qualità e attendibilità delle informazioni e qui l’editoria resta un punto di riferimento ancora fondamentale”.

Moving Up ha dei geni palermitani. Come procede il processo di digitalizzazione in Sicilia?

“Sì, la nostra società ha un Dna palermitano, ed è una cosa di cui andiamo fieri. Io sono orgoglioso di essere “mondelliano”. E’ naturale che noi, facendo impresa, miriamo al profitto. Ma abbiamo anche un sogno: cercare di portare la cultura digitale, una cultura lavorativa globalizzata, nella nostra terra. Da poco abbiamo costituito Moving Tech, una società di sviluppo tecnologico nata dalle menti di giovani ragazzi palermitani che volevano portare avanti un’idea di tecnologia ben precisa. Vogliamo costruire dei campus in cui formare giovani laureati e avviarli verso il mondo del digitale, consentendo loro di trovare informazioni, contenuti, contenitori di qualità con cui poter sviluppare il loro futuro”.

E’ ancora netto il “digital divide” con nord Italia?

“La questione è culturale: noi meridionali siamo un popolo lento, anche se non per forza è una connotazione negativa. Alla nostra cultura servono tempi più lunghi per apprendere e metabolizzare una rivoluzione. Ma ce n’è una in corso, che è bellissima ma ancora non si vede. Tantissimi giovani della nostra terra stanno cominciando a sviluppare micro imprese digitali e sperano di costruire un futuro a casa loro. Spero che anche i politici riescano a vederla sotto una nuova luce”.

E le pubbliche amministrazioni?

“Purtroppo in quell’ambito in Italia si registra qualche ritardo rispetto ad altri Paesi Europei. Prendiamo il caso delle città: oggi producono una quantità incredibile di dati. Ogni incrocio stradale, con un semaforo, ha delle telecamere che raccolgono informazioni, in termini di viabilità, traffico, movimento cittadino. A livello mondiale è in corso un processo di digitalizzazione che si chiama “smart city”. Realtà come Milano o Torino si sono già mosse in questa direzione. Una città come Milano raccoglie una quantità di dati incredibile sulla viabilità e li utilizza in vari modi: per scopi pubblicitari, ad esempio, ma anche predittivi, per capire se occorre fare delle modifiche al traffico o come gestire gli spostamenti. In Sicilia siamo agli albori ma sono fiducioso che la tecnologia digitale possa giungere ad essere una tecnologia abilitante in ogni settore, trascendendo ogni confine geografico e culturale”.