L’attenzione di Schifani è rivolta alla campagna elettorale, dove il preferito del governatore (senza alcun mistero) è Edy Tamajo; ma anche a un altro traguardo intermedio, che potrebbe risvegliare la politica siciliana dal torpore in cui è immersa in questi giorni. Vale a dire la firma dell’Accordo di Coesione con il governo di Giorgia Meloni che, dopo aver smussato le ultime criticità presenti nella lunga lista della spesa, si recherà in Sicilia – com’è già avvenuto in altre regioni – per giungere alla stretta di mano. Schifani non vede l’ora di poter annunciare il “suo” tesoretto: 6,8 miliardi a valere sui Fondi di Sviluppo e Coesione (Fsc), da utilizzare per una serie di investimenti in svariati settori. Occhio, però: non trattandosi di fondi regionali, ma comunitari – Schifani ha anche nominato un consulente in materia: cioè Gaetano Armao – spesso vengono utilizzati con eccessiva leggerezza. E, complice l’attenzione un po’ diluita da parte della Corte dei Conti o delle istituzioni europee di controllo, finiscono per alimentare la saga degli sprechi, o meglio ancora, degli sperperi.

Prendete lo scandalo di Cannes: di fronte alle critiche del Pd, che contestava l’utilizzo di alcuni milioni per la realizzazione di uno shooting fotografico sulla Croisette (attraverso, peraltro, un affidamento diretto a una società lussemburghese con poche referenze), era ancora l’edizione del 2022, l’ex assessore al Turismo Manlio Messina adottò la più provinciale delle scuse: “Non sono fondi regionali, sono fondi europei che abbiamo a disposizione proprio per la promozione turistica”. Ecco la lista della spesa: 250 mila euro riconosciuti a Patrick Moja, curatore della mostra; 253 mila euro per l’affitto dei padiglioni; 564 mila per gli allestimenti; 219 mila euro destinati a “ufficio stampa e comunicazione”. Una promozione, forse, un po’ troppo accentuata. Anche il programma SeeSicily, ricorderete senz’altro, è finito sotto la lente d’ingrandimento non solo della Procura di Palermo e della Corte dei Conti, ma della Commissione Europea, che arrivò a impugnare l’utilizzo un po’ troppo disinvolto delle risorse per scopi “poco attinenti” al turismo in sé, ma comunque utili ad alimentare la mostruosa macchina del consenso: i 24 milioni destinati alla “comunicazione” gridano vendetta, anche se nessuno – finora – ha individuato precise responsabilità.

Fatte queste dovute premesse, e dando per scontato che certe esperienze non si ripeteranno, è molto difficile chiedere alla Regione di poter spendere una tale quantità di milioni (riferiti alla programmazione 2021/27) in tempi celeri. E’ la stessa Regione che fa segnare ritardi atavici su numerose riforme strutturali, come quella dei Forestali e dei Consorzi di Bonifica; è la Regione che non riesce, da mesi, a completare la nomina dei 18 direttori generali della sanità, che sembra definitivamente slittata a dopo le Europee; è la Regione che non riesce ad affidare il noleggio di due elicotteri pesanti per lo spegnimento degli incendi. Ma anche quella che non ha abbastanza tecnici per redigere i progetti e, tuttavia, fatica a reclutare personale attraverso i concorsi (a proposito: che fine ha fatto il concorso-bis per l’assunzione di 46 agenti forestali?). Schiodarsi dalla realtà fino a ipotizzare un futuro prospero, è un’operazione di fede che richiede cautela: innanzitutto perché non sono soldi nostri, e poi perché bisognerà certificare la spesa fino all’ultimo centesimo (pena la restituzione delle somme e l’ennesima, tremenda figuraccia).

Schifani, che di mestiere non fa l’oracolo ma governa la Sicilia, resta fiducioso: “Grazie alla continua e proficua collaborazione con il governo nazionale, la programmazione delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione assegnate alla Sicilia è ormai alla fase finale – ha detto ieri -. L’ottimo rapporto di confronto con il ministro Fitto, punto di riferimento in questi mesi del nostro governo, sta dando i suoi frutti. A breve, infatti, arriveremo alla sottoscrizione dell’accordo con la premier Meloni: quasi sette miliardi di euro che rappresentano risorse importanti per lo sviluppo della nostra Isola”. Per capire come e quando si spenderanno questi soldi, bisognerà vedere la lista della spesa aggiornata – e già sottoposta alle correzioni del Ministero della Coesione – a partire da un paio di ‘voci’ che contribuiscono ad alimentare i dubbi.

Cominciamo dalla prima: sui 2,4 assegnati al settore “Trasporti e mobilità”, 1,3 sono destinati al cofinanziamento per il Ponte sullo Stretto. Un’opera di cui non si sa quasi nulla, e dalla realizzazione tuttora incerta. Mentre i proprietari delle case – meglio noti come “espropriandi” – sostengono le ragioni del ‘no’ sulle due sponde, Salvini – anch’egli un genio del male – ha ipotecato una enorme fetta delle risorse siciliane, suscitando, in prima battuta, la furia di Schifani. In seguito l’episodio è stato derubricato a mero “errore di comunicazione”, ma permangono dubbi profondi e accentuati sulla bontà dell’operazione. Soprattutto se non dovesse andare in porto: quanto tempo ci vorrà affinché il miliardo tornerà nella disponibilità dell’Isola per essere rimodulato su altre opere? E soprattutto, quali progetti di “riserva” potrebbero accogliere una forma d’investimento così copiosa? L’assessore alle Infrastrutture Aricò non ne fa un dramma e spiega che la cifra a disposizione (1,1 mld) “contribuirà certamente a fare colmare alla Sicilia il gap infrastrutturale che da sempre la penalizza”. Ma siamo a punto di ritorno, quello in cui le parole non bastano: che succederà davvero? Quali opere risulteranno finanziate? Quali, invece, rimarranno mestamente fuori e avranno bisogno di un “paracadute”, magari puntando ad altre forme di finanziamento (di certo non regionali)?

La seconda voce sospetta è quella legata ai termovalorizzatori. Anche in questo caso, si tratta di impianti futuribili, che necessitano di un lungo iter di preparazione, e per i quali non si intravede nient’altro che la volontà politica (oltre a un primo apprezzamento in giunta del Piano dei rifiuti e l’individuazione delle aree, a Palermo e Catania, in cui insediarli). A parte l’attribuzione dei poteri speciali in veste di commissario non c’è altro; eppure gli 800 milioni a valere sugli Fsc sono stati “prenotati” e sottratti ad altri possibili investimenti. Per l’ambito “Ambiente e risorse naturali” restano 1,3 miliardi: secondo i piani di Palazzo d’Orleans si tratta di finanziamenti per risorse idriche e rifiuti (340 milioni), depurazione (350 milioni), interventi su alvei fluviali (250 milioni), per il contrasto al dissesto idrogeologico (400 milioni) e all’erosione costiera (50 milioni).

Una parte dei fondi, pari a circa 450 milioni, è prevista per il finanziamento di misure sulla competitività delle imprese, in particolare nel comparto dell’industria e dei servizi e in quello del turismo e dell’ospitalità. La programmazione prevede anche 120 milioni di euro per gli impianti sportivi all’interno dell’area tematica “Cultura”, che comprende altri 170 milioni per interventi su patrimonio e paesaggio. Per il settore “Sociale e salute” sono previsti 250 milioni di euro, che includono anche investimenti in strutture e attrezzature sanitarie. Una somma di 100 milioni di euro ciascuno è stata prevista per i settori “Energia” e “Riqualificazione urbana” e per l’edilizia scolastica. Al netto di questa suddivisione, però, resta una finestra spalancata sul futuro. Con una enorme somma da spendere – triste riconoscimento del divario che separa la Sicilia dalle regioni più avanzate – e il dubbio che non saremo in grado di farlo (come non lo siamo stati in passato). Non è pessimismo ma realismo. Eppure ci sarà il banchetto con Schifani, Fitto e la Meloni: prometteranno mari e monti, poi si volteranno dall’altra parte. Tra qualche anno ne riparleremo.