L’Udc, i renziani di Italia Viva, il Cantiere popolare di Saverio Romano e Idea Sicilia, la nuova formazione di Roberto Lagalla, i gruppi che si collocano al centro della scena politica siciliana, ancora pochi giorni fa hanno ribadito di volere proseguire insieme, in vista delle elezioni comunali di Palermo della prossima primavera e di quelle regionali del successivo autunno. Non è possibile prevedere se il percorso sarà compiuto per intero, se arriveranno uniti alla meta, se sapranno conciliare varie ambizioni per esprimere candidati comuni per Palazzo delle Aquile e Palazzo d’Orléans, se sapranno elaborare una proposta credibile, con quali altre forze si alleeranno e se le loro aspettative si tramuteranno in consensi elettorali.

Partiamo da una questione fondamentale, quella del progetto, che dovrebbe delineare l’identità del centro, fargli assumere la natura di un gruppo coeso, con una linea coerente e con un programma definito, mosso non solo da esigenze di sopravvivenza e di potere. Un progetto, per essere credibile, deve caratterizzarsi per alcuni punti essenziali e chiari che non possono essere buoni per stare indifferentemente a destra o a sinistra.

La “carta dei valori”, che qualche mese addietro venne sottoscritta da diversi esponenti dei partiti di centro e alla quale, in questi giorni, ci si è richiamati, è fatta per lo più di buone intenzioni e di affermazioni generiche. La rifondazione dei valori della politica, il rifiuto delle diseguaglianze economiche, l’esigenza di dare priorità al percorso culturale rispetto a quello politico, la rivendicazione della parità dell’Isola con il resto del Paese, la richiesta di infrastrutture e di sostegni alle imprese, appartengono al terreno dei buoni propositi, utili per tutte le stagioni e per tutti gli schieramenti. Sono proposte vaghe e inadeguate alla condizione dell’Autonomia speciale, ridotta ad un guscio vuoto, ad una Regione priva di risorse, incapace di ripensarsi per agire efficacemente in un contesto del tutto diverso da quello, molto lontano, nel quale è nata, divenuta un ostacolo, piuttosto che una opportunità, per lo sviluppo dell’Isola, priva della autorevolezza e della forza indispensabili per interloquire con lo Stato e con gli organismi europei.

Al Comune di Palermo non sarà facile passare dall’esorbitante, lunghissimo protagonismo di Orlando, che con luci ed ombre ne ha segnato la vita politica e non solo, ad una gestione ordinaria e insieme efficace in grado di ripensare una città piena di contraddizioni e ricca di potenzialità, di metterla in condizione di mantenere il suo ruolo di comunità accogliente, mediterranea, sempre più multiculturale e sempre meno identificata con la mafia e di approntare, nello stesso tempo, servizi adeguati ad una vita civile dei suoi cittadini, di legare centro e periferia, di creare sviluppo, utilizzando le proprie risorse ambientali, umane e monumentali.

In quella “carta”, un po’ retoricamente definita, appunto, “dei valori”, c’è, comunque, una affermazione che, se attuata, crea un netto discrimine per le alleanze elettorali. “Cogliamo – è scritto – i limiti dell’attuale situazione politica nazionale, caratterizzata dalla prevalenza di contenuti e comportamenti che definiamo con i termini di populismo e sovranismo e che intendiamo contrastare perché giudichiamo i programmi e le azioni di queste forze dannosi per gli interessi del Paese”. Questo esclude o dovrebbe escludere l’alleanza con i Cinque stelle – una scelta che ad oggi è nelle cose – e con il sovranismo della Lega – e questo sarebbe una novità rilevante in contraddizione con la collaborazione in atto alla Regione.

Al di là, tuttavia, di questa evidente incongruenza, quella contenuta nella “carta”, oltre ad essere una chiara affermazione che definisce o dovrebbe definire un percorso preciso, corrisponde ad una scelta quasi obbligata per la sopravvivenza del centro, per evitargli di finire fagocitato dai sovranisti, per dare a Micciché un appiglio che rafforzi la volontà, più volte dichiarata, di mantenere per Forza Italia uno spazio proprio e una propria identità. Solo così diverrebbe concreta l’indicazione, sempre proclamata nella “carta dei valori”, di muoversi “nel solco della dottrina sociale della Chiesa”, alla luce dei “fondamentali principi di solidarietà, di sussidiarietà e di coesione sociale”. Questa potrebbe essere una linea da seguire o potrebbe ridursi ad un formale ossequio alla Chiesa e al messaggio pastorale di Papa Francesco e ad un superficiale richiamo alla tradizione dei cattolici democratici.

Solo agendo in modo autonomo, poi, i centristi potranno sperare di piazzare un loro esponente alle amministrative di Palermo e alle regionali. Il cammino verso il traguardo elettorale è ancora lungo e le migliori intenzioni possono essere vanificate dal prevalere di piccole convenienze, da contrasti insanabili tra i “cespugli” che formano il centro, da imposizioni romane, e dalla indisponibilità dei possibili alleati della sinistra riformista.

Se dovesse vincere la coerenza e forse, ancor più forte di essa, dovesse prevalere la necessità di mantenere una presenza apprezzabile in Sicilia, che altrove non esiste, il centro dovrebbe fare di tutto per preservare la propria unità in alternativa alla destra, che è la vera minaccia per la sua sopravvivenza, a motivo naturalmente della sproporzione delle forze, che ridurrebbe il centro ad una funzione subalterna, ad un ruolo residuale e lo condannerebbe alla estinzione. Un’operazione di questa natura può essere favorita dal Partito democratico, che deve intanto cercare identità e consistenza ed evitare il duplice rischio di percorrere come strada obbligata quella di una alleanza sempre aleatoria con il Movimento cinque stelle che dovesse porre una discriminante verso le forze di centro, o relegarsi ad una presenza irrilevante, quasi ad un diritto di tribuna.