L’eco greve della voce di Nello Musumeci, cui non eravamo affatto abituati, risuona ineluttabile lungo le strade vuote che i siciliani, da qualche giorno, hanno ripreso scioccamente a popolare. Il presidente della Regione è poco rassicurante, quasi al pari di chi non ha capito una beata mazza delle regole: tira fuori luoghi comuni imperituri (“Noi siciliani siamo un po’ scanzonati, vedo troppo relax in giro”), prefigura scenari disastrosi, immagina ricoveri a grappoli e picchi di contagio inesplorati, si aggrappa a Roma, sventola il vessillo dell’autonomismo, chiude i supermercati la domenica, vieta la passeggiatina sotto casa, butta via le mascherine, dissimula garbo, invoca l’esercito. E infine pretende di guidarlo lui, l’esercito. Non solo: è allergico alle critiche, addita di sciacallaggio giornalisti e opposizioni, e di tutto punto va dalla D’Urso. Dietro le comparse tv giustificate dall’emergenza, la strategia è quasi enigmatica. Lo scopo nobile – senz’altro – è quello di proteggere i siciliani: ma così, con questa frenesia, è un gioco al massacro.

L’ultima ha fatto drizzare le antenne al povero Giuseppe Conte, dalle cui mani passa il destino di 60 milioni di italiani, e non solo di 5. Nell’ultima conference call, stanco di non vedere i militari per strada e sullo Stretto di Messina, Musumeci ha invocato l’articolo 31 dello Statuto siciliano, che gli permette(rebbe), in situazione d’emergenza, di diventare comandante in capo dell’esercito di stanza nell’Isola. Peccato che fino a qualche giorno prima, in risposta ad alcuni suggerimenti che andavano nella stessa direzione, ebbe da ridire: “Quanta ignoranza – si arrabbiò in diretta Facebook – L’articolo 31 dello Statuto siciliano non è accompagnato da norme d’attuazione e inoltre non si può applicare fuori dalla nostra Regione”. Nel giro di dieci giorni, con un doppio carpiato, è arrivato a chiederlo al presidente del Consiglio, che un sorrisino l’ha liquidato: “Esagerato…”. “Glielo chiedo con garbo”, ha risposto Musumeci. “Ma qui siamo tutti garbati”. Questione chiusa.

O quasi. Perché la delibera approvata in giunta, fatta di un solo articolo, ora finisce dritta all’Ars. Ma ha tempi lunghissimi. Dopo l’assemblea siciliana, toccherebbe a Camera e Senato pronunciarsi. Un iter di almeno sei mesi, quando il Coronavirus sarà solo un ricordo (si spera). Più che una proposta, quello di Musumeci sembra un diversivo. Luci a me, grazie. Il periodo non è dei migliori, e tutti i governanti, spinti da un eccesso di zelo, finiscono per diventare protagonisti. Il governatore delle Marche, Luca Ceriscioli, a fine febbraio, aveva osato sfidare lo Stato e chiudere le scuole prima che lo decidesse il Consiglio dei Ministri. Quello della Campania, Vincenzo De Luca, ha minacciato l’intervento dei carabinieri coi lanciafiamme alle feste di laurea. A turno sbottano un po’ tutti, specie per il mancato approvvigionamento di mascherine. L’ha fatto anche Musumeci, il cui indirizzo è stato condizionato da un assunto (non ci vuole un mago): che la Sicilia non ha le carte in regola per difendersi dal virus. Soprattutto sotto l’aspetto sanitario.

Ne ha lanciata una di mascherina, in diretta dalla Merlino su La7, definendola un “panno per pulire”. E stamattina, nella versione “sentinella diffidente”, si è recato all’aeroporto Falcone-Borsellino di Palermo per spacchettare – di persona – il carico di 40 tonnellate di dispositivi di protezione giunti dalla Cina, che verranno distribuiti (finalmente) agli operatori sanitari. Che bisogno c’era di apparire anche stavolta? Il lavoro di mediazione per ottenere guanti e mascherine gli sarebbe stato riconosciuto pure nel silenzio dei suoi uffici. Ma il presidente ha scelto di apparire eroe, “commander in chief” a tutti i costi:  “Una nottata insonne – ha detto una volta giunta sulla pista d’atterraggio – Temevamo che qualche Paese ce lo fregasse”. Che l’aereo, piuttosto che atterrare a Punta Raisi, avrebbe cambiato rotta.

In tante circostanze, poi, Musumeci ha mostrato il suo ghigno più austero. Una domenica sera, passata abbondantemente la mezzanotte, ha messo in allarme l’Isola, ancora sveglia, con un post che annunciava l’invasione degli Unni sullo Stretto. Erano pochi pendolari che da Villa San Giovanni si erano imbarcati per Messina: qualche decina secondo il Viminale. Ha dato dell’ “irresponsabile” al Ministro dell’Interno, per non aver predisposto abbastanza controlli ai varchi dei traghetti. Degli “sciacalli” ai giornalisti e alle opposizioni, che si permettono di obiettare su alcune delle sue scelte e su molte delle sue frasi: “Questo è il tempo del silenzio – va ripetendo – e non dei processi”. Chiede conforto e comprensione al governo nazionale, ma è il primo a fare di testa propria, vietando i supermercati la domenica e la passeggiata coi bambini. Preferisce l’impeto alla riflessione. Fatica a mantenere i nervi saldi, ma vorrebbe guidare l’esercito. Amen. Questa emergenza, per uno che nelle emergenze è abituato a governare, si è rivelata troppo anche per lui. A scanso di equivoci: gli auguriamo di vincere.