Pendevano tutti dalle labbra di Gaetano Armao – i 70 deputati a Sala d’Ercole, i tanti siciliani fuori – ma dalla relazione di ieri a palazzo dei Normanni non è filtrata alcuna novità sulla Finanziaria di cartone. Se non un (mal)celato pessimismo. La “manovra di guerra” da 1,4 miliardi, la più poderosa di ogni tempo, si è sgonfiata nell’arco di cinque mesi. Non c’è traccia dei 100 milioni di prestiti alle famiglie, né del bonus da mille euro per gli “eroi” della sanità, in trincea durante la pandemia. Oggi il presidente della Regione, Nello Musumeci, ha presentato alla stampa l’ambizioso piano da 130 milioni per le microimprese artigiane, commerciali, industriali e di servizi, che, attraverso un click day, potranno accedere a contributi a fondo perduto da 5 a 35 mila euro. E annunciato una prima tranche di aiuti per 278 milioni (compresi i 75 per gli operatori turistici). Si tratta delle misure finanziate col Po Fesr.

Alla vigilia del primo appuntamento all’Ars, dopo 40 giorni di stop e di serrata riprogrammazione, il Movimento 5 Stelle aveva chiesto ad Armao di sapere che fine hanno fatto i 300 milioni del fondo di perequazione per i comuni, utili a compensare le mancate entrate post-Covid; i 50 per l’agricoltura o i 30 per la pesca; oltre al tesoretto che avrebbe dovuto garantire l’esenzione dal bollo auto. Una serie di iniziative scritte nero su bianco nella Legge di Stabilità, ma legate alla rimodulazione dei fondi Poc – le cosiddette risorse extraregionali a co-finanziamento statale – che il governo della Regione non ha ancora avviato. Ed è questo il più grande “bug” nell’intervento di ieri dell’assessore all’Economia. Che dopo aver bollato come “uno spreco di carta” i cartelli esibiti dai grillini, non si è neppure premurato di indicare la data d’inizio dei lavori.

Tutto avrebbe dovuto concludersi una settimana fa. Durante l’audizione all’Ars del 5 agosto, infatti, Armao aveva rassicurato sul buon esito della trattativa – l’ennesima – con Roma: “L’interlocuzione con il Ministero per il Sud e la Coesione territoriale è in corso – spiegava –. L’ultima riunione, quella decisiva, è in programma il 7 settembre, ma la Regione chiederà di anticipare, in modo da poter addivenire a una conclusione entro agosto”. Entro il mese scorso la Regione sperava, e in parte si aspettava, di poter chiudere il negoziato col ministro Peppe Provenzano, da cui è atteso il “via libera” per lo spostamento di un’ingente quantità di denaro, che non c’azzecca col Covid, sugli assi emergenziali. Dal silenzio di ieri, però, appare evidente come quel miliardo di euro, o poco meno, penda sulla testa di Musumeci & friends come una spada di Damocle. Semmai verranno a mancare, la Finanziaria diventerà un bluff. Ma anche in caso di una reperibilità “parziale”, bisognerà trovare un modo per colmare le numerose falle. Un incubo, visto che la Regione è ridotta alla siccità.

Persino questa fase, in cui il minimo errore (con la gente sul lastrico) può avere delle ripercussioni, è stata gestita con un’approssimazione ormai proverbiale. Ieri Armao ha potuto sottrarsi alle richieste del M5s (non era previsto alcun dibattito), ma prima o poi dovrà accennare una reazione. Confermare se i numeri sono quelli, o se andranno modificati in corso d’opera. Chiarire, una volta per tutte, chi dovrà rimetterci. Assumersi, insomma, delle responsabilità. Anche Gianfranco Miccichè, suo compagno di partito, ha chiesto al governo di smetterla con questa pantomima e ammettere il problema: “Almeno possiamo rimediare”. Il suo grido, però, è rimasto inascoltato. Le conclusioni a cui è giunto il deputato regionale del Movimento 5 Stelle, Luigi Sunseri, apre inoltre nuovi squarci temporaleschi: “La Commissione Europea – ha detto a margine della seduta – attende da marzo/aprile una proposta di riprogrammazione post covid-19, peraltro più volte sollecitata informalmente da Bruxelles. Inoltre, visto che la spesa è ammissibile dal primo febbraio, le misure anti covid-19 potevano già essere lanciate nei mesi scorsi in attesa della successiva notifica alla Commissione. Senza dover far attendere ai siciliani tutti questi mesi”. La beffa oltre il danno.

Armao, però, non è nuovo alle fughe. Il 5 dicembre 2019, alla vigilia del giudizio di parifica, in sede di pre-adunanza pubblica, il procuratore generale Maria Rachele Aronica, della Corte dei Conti, spiegava che “a più riprese questa sezione ha tentato di ottenere riscontro da parte dell’amministrazione sulla quantificazione dei fondi regionali, non ottenendo alcuna risposta”. E che “il peggioramento del disavanzo indica, non solo che non si è proceduto ad un efficace recupero delle quote applicate all’esercizio 2017, ma che non sono state recuperate neanche le quote applicate all’esercizio 2018”. Oltre a denunciare gli errori sostanziali del governo della Regione, i magistrati contabili si accanirono sui vizi di forma dei suoi attori, colpevoli di non dare seguito alle richieste.

L’esito della sentenza fu persino più schiacciante: “L’esame comparato dai principali saldi risultanti dai documenti costituenti il ciclo del Bilancio 2018 della Regione siciliana, dimostra l’inefficacia delle politiche pubbliche rispetto ai vincoli di riduzione del deficit e del disavanzo di amministrazione”. E ancora: “Risulta chiara l’inconsistenza della manovra finanziaria”. In altre parole, “la Regione non è stata in grado di raggiungere nemmeno gli obiettivi “minimi” che essa stessa si era data con la legge di stabilità”.  Questo è quanto ha determinato la Corte dei Conti, nelle sue conclusioni, durante la parifica del rendiconto 2018. Quello in cui ha accertato un maxi disavanzo (di due miliardi) nei confronti dello Stato e di cui Armao, nonostante i numerosi richiami espressi nella sentenza, non s’è mai sentito responsabile: “Nessun buco di bilancio – si limitò a commentare il vicegovernatore – ma solo un disavanzo, che viene da lontano, in alcuni casi dal 1994, e di cui oggi ci si presenta il conto”.

In seguito alla parifica, dopo mesi di inutile interlocuzione con l’amico Giovanni Tria, Ministro all’Economia nel Conte-1, e col sottosegretario del M5s Villarosa, ad Armao non restò altra opzione che recarsi a Roma, con Musumeci, e chiedere la spalmatura del debito in dieci anni (anziché in tre). All’antivigilia di Natale, il Consiglio dei Ministri acconsentì. Non senza perplessità. E chiedendo in cambio un impegno forte su un pacchetto di riforme da attuare entro 90 giorni che, fra le altre cose, prevedeva: la riduzione della spesa corrente del 3% e una sforbiciata ai costi della burocrazia e delle partecipate. Cioè gli immensi carrozzoni, molti dei quali in liquidazione, che creano dannosi scompensi alle casse di palazzo d’Orleans. Quel pacchetto di riforme non è mai stato completato. Anzi, Armao, dopo un iniziale entusiasmo, si affrettò a bollarle come “cure da cavallo”, e chiese a Roma di accelerare su un vecchio negoziato per giungere alla piena autonomia finanziaria dell’Isola, attraverso la liberazione di risorse aggiuntive. La pandemia gli ha detto bene: da una parte ha dilatato i tempi per ottemperare al processo di riforme, dall’altro ha “costretto” lo Stato a ridimensionare il contributo regionale alla Finanza pubblica, con lo scongelamento immediato di 780 milioni.

La risposta più celebre che Armao non ha mai dato, però, ha qualcosa a che fare con il suo passato. E affonda negli anni del governo Lombardo, dal 2010 al 2012, quando da assessore all’Economia stoppò le fatture nei confronti di Sicilia Patrimonio Immobiliare, l’ente pubblico-privato (il 25% era di Ezio Bigotti, l’avventuriero di cui lo stesso Armao era stato consulente) che stava realizzando un censimento sul patrimonio immobiliare della Regione. Un provvedimento che generò contenziosi per ulteriori 12 milioni, rispetto agli 80 (una cifra di per sé abnorme) pagati estero su estero ad alcune società del Lussemburgo, di proprietà dello stesso Bigotti. Una storia vecchia come il mondo, in cui la magistratura non ha mai ficcato il naso, riemersa dagli archivi circa un annetto fa, quando ad Armao venne chiesto che risultati avesse prodotto quel lavoro. Dopo aver fatto un salto in commissione Antimafia e aver recuperato la password d’accesso, disse che era tutto da rifare. Come la Finanziaria?