Un giorno non avremo più parole da dire, apriremo la bocca e saremo muti: andremo nel panico per un secondo, poi la vivremo per quello che è, una benedizione; un giorno finiranno le passerelle, non ci saranno anniversari da sbandierare né sguardi contriti da fotografare; un giorno spariranno le strette di mano a favore di telecamera e nessuno contenderà i morti ai figli orfani e alle mogli vedove; un giorno, il 23 maggio e il 19 luglio, non ci saranno giornalisti e cantanti e claque e ballerine, non ci saranno dibattiti inutili, non ci saranno centometristi pronti a raccogliere l’eredità di chi non c’è più, al limite solo a proseguirne il lavoro, con serietà e rigore, e soprattutto lontani dalle luci della ribalta; un giorno non ci saranno polemiche, non ci sarà nessuno che urlerà i nomi di Paolo e di Giovanni fingendo una familiarità inesistente in vita; non ci saranno cravatte e giacche sudate; un giorno i politici si chiederanno perché i giornali avranno deciso di sottrarsi al balletto falso dei comunicati; un giorno il ricordo retorico sarà punito ai sensi di legge e ricorderemo con tenero imbarazzo le navi della legalità cariche di bambini innocenti e indottrinati; un giorno ci guarderemo e ricorderemo con vergogna quel tempo in cui celebravamo i morti di serie A e ignoravamo i morti di serie B; un giorno, quando avremo finalmente fatto pace con noi stessi, coi nostri peccati, con quello che avremmo dovuto fare e non abbiamo mai fatto e vivremo il 23 maggio e il 19 luglio come un giorno di lavoro serio e di lutto intimo, sarà un giorno bellissimo. E Palermo sarà davvero bellissima. Un giorno capiremo che sì, tutto questo dolore ci sarà stato utile, ma soprattutto che tutta questa melassa sarà stata il dazio necessario per arrivare dove sarà giusto arrivare, dove un dio buono ha il dovere di portarci, alla larga da questo triste show travestito da commozione. Un giorno.