E’ attorno a due grandi progetti che si dipana la resistenza del governo Musumeci. E in parte, fra un anno e mezzo, la speranza di una riconferma. Il primo è il Ponte sullo Stretto, di cui si abusa nelle discussioni (spesso da bar). L’altro, che secondo il presidente della Regione rappresenta “il più importante investimento di edilizia pubblica realizzato in Italia negli ultimi decenni”, è il mega centro direzionale che, non-si-sa-quando, dovrebbe sorgere a Palermo, in via Ugo La Malfa, nell’area che oggi ospita l’assessorato al Territorio e Ambiente. La parola d’ordine, appunto, è “quando”. L’iter sembrava ben avviato: il 12 marzo, infatti, era stata comunicata da palazzo d’Orleans l’aggiudicazione del concorso internazionale di progettazione. Ieri, però, è arrivata l’ufficialità dello stop: una sospensione, in realtà, utile a “verificare eventuali conflitti di interesse tra il raggruppamento titolare del progetto vincitore e il presidente della commissione aggiudicatrice”.

Il caso, sollevato da Striscia la Notizia, rischia di diventare il solito pasticcio alla siciliana: la commissione, formata da cinque membri, è presieduta dall’architetto francese Marc Mimram, che guarda caso ha collaborato a vari progetti con Leclercq Associès, uno dei tre studi che fa parte del raggruppamento d’imprese (con la Tekné S.P.A. di Milano in qualità di mandataria) che si è, per l’appunto, aggiudicato il bando. Mimram e Francois Leclercq hanno ricevuto – insieme – anche la Legione d’Onore francese. Strano che nessuno, prima della trasmissione di Canale 5, abbia segnalato l’anomalia. Dopo la sospensione del calendario di gara da parte del Rup (responsabile unico del procedimento) Antonio Leone, la Regione ha provato a metterci una pezza: “Stiamo esaminando il caso – spiega il dirigente generale del dipartimento regionale Tecnico, Salvatore Lizzio – e abbiamo chiesto un parere all’Ufficio legale della Regione e all’Avvocatura dello Stato. A breve, comunque, verrà presa una decisione sulle modalità con cui far ripartire la procedura e riprendere l’iter per la realizzazione dell’opera”.

Sulla questione, d’emblée, sono intervenuti i partiti d’opposizione con un paio di interrogazioni. I Cinque Stelle hanno chiesto al governo regionale “di chiarire se ci sono situazioni di incompatibilità, se è stata fatta una opportuna valutazione tra costi e benefici; se sono state rispettate le aree di intervento previste dal bando e se la procedura relativa all’iter di selezione è stata fatta in maniera trasparente, procedendo, come previsto dalla normative vigenti, allo svolgimento delle sedute con modalità pubblica o con modalità telematica pubblica”. Inoltre, rimarca il deputato Nuccio Di Paola, “noi non abbiamo mai smesso di scavare, mediante una serie di accessi agli atti, su un progetto di cui non si conoscono i reali benefici, visto che non sappiamo quale sia il patrimonio immobiliare delle Regione e quale il costo degli affitti per gli uffici”. Anche il Partito Democratico aveva chiesto la sospensione in autotutela della procedura di aggiudicazione del concorso “per scongiurare eventuali illegittimità”. Per una volta è stato accontentato.

Secondo Tuccio D’Urso, l’ideatore del progetto, che oggi si occupa di edilizia sanitaria per conto del commissario per l’emergenza Covid (Musumeci), lo scenario è meno cupo del previsto: “Il bando, al punto 3.9, parla chiaro: se c’è affinità con uno dei componenti della commissione, la pena non è la nullità della gara, ma l’esclusione del concorrente”, ha dichiarato a FocuSicilia. “Se si annulla la gara nascerà un contenzioso enorme”, specifica. Ma il progetto del centro direzionale ha un costo cospicuo – quindici milioni di euro – e sarà difficile convincere chiunque dei concorrenti, fosse anche l’ultimo classificato, a rinunciare a cuor leggero. Questo stop, in parte preventivabile, si sarebbe dovuto evitare. Restano, pur tuttavia, i dubbi su un’opera mastodontica che nelle intenzioni di Nello Musumeci dovrebbe riunire tutti gli uffici degli assessorati in unico plesso, consentendo alla Regione di risparmiare 25 milioni l’anno di fitti passivi. Cioè il corrispettivo riconosciuto al fondo Fiprs (il fondo immobiliare della Regione), che nel 2007 acquisì 33 immobili al prezzo esiguo di 1.000 euro al metro quadro e, subito dopo, li ridiede in affitto all’ente per oltre 20 milioni l’anno. Un affare da capogiro (per il fondo).

La maledizione siciliana degli immobili affonda le proprie radici proprio in quegli eventi: oltre alla cessione di alcuni edifici, dove oggi sorgono fior di assessorati, il governo dell’epoca commissionò alla Spi (Sicilia Patrimonio Immobiliare) un censimento che sarebbe dovuto costare 13 milioni di euro. Ma di fattura in fattura si arrivò a 80, e poi, fra un contenzioso e un altro, con tutti gli oneri accessori annessi, a quasi 110. Per avere in cambio un lavoro incompleto, e sigillato per lunghi anni da una password introvabile. Soldi che, in un intreccio infinito, estero su estero, hanno arricchito le tasche di (in)gloriosi avventurieri collegati a società offshore. Il centro direzionale, in un modo o nell’altro, nasce come risposta a uno sperpero.

Sebbene, come detto, ci siano un sacco di riserve: la prima è dovuta ai costi. Il lavoro completo, infatti, vale 425 milioni. Chi è disposto a finanziare l’opera? La seconda, invece, riguarda la ‘filosofia’: che senso ha una figura così mastodontica nell’epoca dello smart working? Vero è che Musumeci mal digerisce il lavoro agile, e avrà tirato un sospiro di sollievo dopo le ultime indicazioni del governo Draghi, che riduce al 15% le prestazioni a distanza. Ma ciò non toglie che una migliore organizzazione degli spazi, con l’abbattimento dei canoni di locazione, e una riduzione degli sprechi (anche la carta costa), passano anche da un lavoro dematerializzato, digitale e sempre più decentrato. E invece no: con questa scelta da parte del governo, che per la verità necessita ancora di un passaggio in Consiglio comunale, a Palermo, si preferisce destinare alla politica un’intera cittadella. Un Pirellone siciliano su tre torri. Dopo il confronto Sala delle Lapidi, e raccolte le proposte, si passerà alla fase esecutiva, da realizzare entro 180 giorni, e alla gara internazionale di affidamento.

L’iter, però, sarà lungo e accidentato. Per di più la Regione è parsa molto evasiva di fronte a un’altra interrogazione presentata dai Cinque Stelle all’assessore Falcone per sapere se “nella proposta di realizzazione del Centro Direzionale siano state prese in considerazione (…) tutte le misure necessarie ed idonee a modulare la gestione del traffico veicolare da e verso il Centro medesimo, al fine di determinare un abbattimento degli inquinanti generati dal traffico veicolare motorizzato privato”. I grillini, inoltre, avevano chiesto di sapere “se nella valutazione del rapporto costi-benefici dell’opera, sia stata effettuata un’analisi inerente la possibilità di gestione dell’attività lavorativa e dell’offerta delle funzioni amministrative al pubblico tramite sistemi telematici a distanza, al fine di ridurre lo spostamento delle persone”.

La zona in cui si andrà a realizzare il mega centro, attualmente, non è servita da tram (il fiore all’occhiello di Orlando, da cui per altro è arrivata una ‘fumata bianca’), metro o altri mezzi pubblici e, sebbene nel piano originario è prevista la realizzazione di un parcheggio con 1.500 posti auto, l’idea di congestionare il traffico di un intero quartiere lascia perplessi. Ecco la risposta di Falcone: “Di concerto con l’amministrazione comunale – ha spiegato l’assessore alle Infrastrutture – sarà adottato nei tempi opportuni e previa analisi dei dati un progetto di mobilità sostenibile utile a garantire, anche in modo integrato, una rete di servizi adeguata al dimensionamento centralizzato degli uffici regionali”. Da questa considerazione, messa per iscritto, emerge che di studi sul traffico non ce ne sono molti. Troppa approssimazione, però, rischia di scompaginare i sogni rivoluzionari del presidente.