Pochi fuochi d’artificio (“aria fritta”, secondo qualcuno dei presenti), ma la conferma che la Regione continua a versare una quota ingente di denaro a società schermate dal segreto bancario, con sede in noti paradisi fiscali. Le Cayman di Tuccio D’Urso erano soltanto una suggestione, e l’ex dirigente all’Energia ha avuto modo di ribadirlo, ieri pomeriggio, di fronte alla commissione regionale Antimafia di Claudio Fava. Il verbale dell’audizione è stato secretato. D’Urso, che oggi ricopre l’incarico di soggetto attuatore del piano di riqualificazione degli ospedali siciliani, aveva fornito alcune anticipazioni a mezzo stampa. Spiegando che la nascita del centro direzionale della Regione, di cui è stato responsabile unico del procedimento, gli aveva procurato dei ‘nemici’, a partire “dagli anonimi possessori della maggioranza del fondo immobiliare a cui la regione versa 40 milioni di euro di affitti l’anno, protetti dall’anonimato azionario delle Isole Cayman, e in parte da ben noti proprietari immobiliari siciliani”.

Con la creazione del nuovo pirellone – il bando per la progettazione è all’ultima curva, manca la variante urbanistica del Consiglio comunale di Palermo – per molti, secondo D’Urso, sarebbe finita la pacchia. A pagare le conseguenze dei mancati introiti sarebbero, da un lato, alcuni immobiliaristi palermitani, assai facoltosi, che tuttora percepiscono dalla Regione fitti passivi consistenti (i contratti d’affitto sono regolarmente registrati all’Agenzia delle Entrate); dall’altro – questo è il capitolo più succulento della saga – gli “anonimi” che si celano dietro le due società che detengono, insieme, il 65% del fondo Fiprs, a cui finiscono ogni anno una vagonata di soldi: Trinacria Capital e Sicily Investments. L’altro 35% appartiene alla Regione.

Due scatole cinesi che non hanno sede alle Cayman, ma fanno capo a una piramide societaria che parte dallo stato americano del Delaware, e che attraverso Malta, arriva fino in Lussemburgo. Ossia la stessa destinazione individuata dall’avventuriero Ezio Bigotti, socio al 25% di Sicilia Patrimonio Immobiliare, per trasferire gli 80 milioni fatturati, fra il 2007 e il 2009, dalla Regione a Spi, e di riflesso alla sua “Lady Mary II”, in cambio della realizzazione di un censimento fantasma. Alla Regione l’hanno ritrovato di recente, peccato che i dati fossero ormai inservibili. In questa storia gli intrecci sono talmente tanti (e noti) che l’unica invocazione da fare – dato che la Corte dei Conti e la Procura hanno preferito non procedere – è alla trasparenza. Ci proverà la deputata regionale di Forza Italia, Marianna Caronia, che ha preannunciato un esposto alla magistratura. Mentre la commissione antimafia, dopo l’audizione di D’Urso, “sta lavorando per acquisire nuovi elementi”.

Tra i primi ad essere sentiti, su richiesta dei 5 Stelle, potrebbero essere gli ex dirigenti del Servizio 7 e 8, Elena Scalone e Marilù Miranda, oltre alla dirigente generale del Dipartimento Finanze, Benedetta Cannata, che nel dicembre 2018 firmarono una relazione per certificare il saldo dei fitti passivi della Regione. Lo fecero dopo un’interrogazione del MoVimento (primo firmatario Nuccio Di Paola) che il 26 settembre 2018 chiedeva all’assessore Gaetano Armao a quanto ammontassero “i canoni di locazione attualmente corrisposti dalla Regione siciliana” e, soprattutto, se vi fossero delle novità rispetto agli ultimi dati noti: quelli dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano che, nel 2017, aveva rilevato un costo per gli affitti pari a 58 milioni. Ebbene sì, le novità c’erano. Dopo un’attenta (?) ricognizione su input dell’assessore all’Economia, i tre dirigenti spiegarono a Di Paola che “il dato relativo all’ammontare del rapporto di locazione reso dalla Regione siciliana per allocare i propri Uffici riportato dall’Osservatorio non corrisponde a quello attuale, che risulta di 39.908.997,61 euro complessivi annui” di cui “24.315.551,21 euro è la cifra corrisposta al Fondo Immobiliare Pubblico Regione Siciliana”. Acronimo di Fiprs.

Secondo i calcoli dell’ingegnere Tuccio D’Urso, confermati all’Antimafia, il totale dei fitti passivi della Regione è di circa 60 milioni (40 per il Fiprs). Ne ballano complessivamente una ventina. Fuori dal computo del dipartimento Finanze, infatti, resterebbero (in assenza di prove documentali il condizionale è d’obbligo) gli affitti di locazione di alcuni edifici destinati all’assessorato all’Agricoltura e ai Beni culturali. Il M5s vuole vederci chiaro, per questo ha preteso l’audizione dei dirigenti dell’assessorato all’Economia: “Le cifre – ha spiegato l’on. Di Paola in una nota – sono totalmente diverse, e vorremmo capire il perché. Sono errate le cifre forniteci dal dipartimento o quelle riportate da D’Urso? O, ancora peggio, le spese negli ultimi due anni sono lievitate paurosamente? Tutte e tre le ipotesi ci sembrano abbastanza gravi: è doveroso fare chiarezza agli occhi dei siciliani, considerato che si parla di soldi dei contribuenti”. In aula, sollecitato sull’argomento, è tornato anche l’assessore Armao: “Non essendo mai stato dirigente delle Finanze – ha risposto piccato -, l’ingegnere D’Urso non si è mai occupato di affitti. Le sue esternazioni su queste vicende non credo possano essere oggetto di confronto parlamentare. Io mi rifaccio a quanto scritto negli atti ufficiali”.

Difficile ipotizzare il finale di questa storia, sempre che venga scritto. La Regione, che nel 2007 cedette al fondo Fiprs 33 immobili a un valore sottostimato (circa 200 milioni), qualche tempo dopo li riprese in affitto per 20 milioni l’anno. E in parallelo commissionò a Sicilia Patrimonio Immobiliare la mappatura di tutti i suoi edifici per una cifra spropositata – 80 milioni di euro – che a causa di un contenzioso si gonfierà fino a superare i 110. Nel 2017 il tentativo di recompra dei 33 immobili promosso da Crocetta naufragò, mentre non si è ancora concretizzato quello del governo Musumeci di cedere il 35% del fondo immobiliare al Fondo pensioni, per scaricare il peso degli affitti sulle pensioni dei dipendenti regionali. I canali col Fiprs sono ancora aperti, anche se per Armao “i componenti del fondo, ad oggi, sono riconducibili a banche. Noi teniamo i rapporti solo col proprietario, cioè il gruppo Proelios”. E comunque, “se io e i miei dirigenti ravviseremo eventi e fatti in contrasto con la legge, informerò la procura della Corte dei Conti e la Procura della Repubblica. Su questa storia da parte mia non c’è mai stata alcun tipo di indulgenza”.

L’unico modo per uscire dall’impasse, secondo l’ingegner D’Urso (e dello stesso Armao), è costruire un centro direzionale che riunisca tutti gli assessorati e i dipendenti sotto lo stesso tetto – in via Ugo La Malfa a Palermo – azzerando i costi d’affitto e i rapporti coi paradisi offshore. E’ una battaglia senza quartiere, un modo simbolico per proiettare nel futuro “la storia millenaria della nostra terra”. Un prodigio della natura, o dell’architettura, che nasce da parallelismo audace: ‘anche i francesi all’inizio non volevano la Tour Eiffel’. I Cinque Stelle, infatti, continuano ad essere scettici: oltre che sul fronte urbanistico (l’ultima parola spetta al Consiglio comunale di Palermo), anche su quello della smaterializzazione degli uffici (la pandemia ci ha insegnato la pratica dello smartworking) e della mobilità. La zona in oggetto, infatti, è poco servita dai mezzi pubblici e l’impatto di un centro direzionale – dicono – sarebbe devastante sui livelli di congestionamento del traffico. Ultimo, ma non per ordine d’importanza, il tema dei costi: l’opera sfiora i 500 milioni di euro. Coi soldi versati ogni anno al fondo Fiprs l’avremmo già pagato.