Tre miliardi e ottocentomila euro per un ponte lungo 3,3 chilometri, capace di ricongiungere la Sicilia al resto d’Italia, in effetti, sembrano un po’ tantini. Ma è la cifra stabilita nel contratto siglato nel 2006, dopo che il governo Berlusconi, l’anno prima, riuscì ad aggiudicare l’appalto per l’opera più simbolica nel bacino del Mediterraneo: a costruirla ci avrebbe pensato il consorzio Eurolink, nato all’uopo e direttamente collegato al gruppo Impregilo, lo stesso che negli anni ‘50 costruì la diga sul fiume Zambesi, al confine fra Zambia e Zimbabwe. Al tempo, nessuno aveva ipotizzato di collegare Messina e Villa San Giovanni anche se, come ricorda un articolo de “Il Fatto Quotidiano” di qualche giorno fa, il primo che tentò di attraversare lo Stretto – con delle botti disposte in fila – fu nel 250 a.C. Lucio Cecilio Metello. I romani, per intenderci.

E da Roma, da Firenze per la verità, è ripresa da poche ore la sceneggiata sul ponte: l’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, con una frasetta estrapolata dal suo ultimo libro (“La mossa del cavallo”, Marsilio editore), ha spiegato che “per vincere la sfida della povertà, serve più il ponte sullo Stretto che il reddito di emergenza”. Apriti cielo. Tutti gli emisferi della politica – da destra a sinistra, con l’eccezione dei Cinque Stelle (sempre abbastanza tiepidi) – hanno fatto propria l’idea di Renzi, che nel 1984 aveva dato il tormento a un ex ministro della Repubblica italiana, Carlo Signorile, che all’epoca si occupava di interventi straordinari nel Mezzogiorno. Disse che il ponte si sarebbe realizzato entro il ’94, anno dell’ingresso in scena di Silvio Berlusconi. Ci provò il Cav. a riportare in auge la tenue speranza, addirittura inserendola nel famoso contratto con gli italiani sottoscritto nello studio di Vespa alla vigilia delle Politiche del 2001, e poi riuscendo persino ad affidare la progettazione al gruppo Eurolink capeggiato da Impregilo (che nel frattempo è diventato Webuild).

Come si legge dalla presentazione sul sito ufficiale della società, Eurolink è il general contractor dell’opera i cui lavori sarebbero dovuti iniziare nel 2007 e finire nel 2012. Mentre la concessionaria è la Stretto di Messina spa, una società nata nel 1981 per “progettare, realizzare e gestire il collegamento stabile tra la Sicilia e il Continente”. E qui sorge l’inghippo: perché in realtà, a fronte di zero metri edificati, il ponte sullo Stretto è costato 312 milioni di euro, i soldi necessari alla gestione di questa “azienda di stato” (i soci sono Anas, Rfi, Regione Siciliana e Regione Calabria) che un decreto legge dell’ottobre 2012 poneva in liquidazione. Eppure, a distanza di otto anni, non solo non è stata liquidata, ma continua a succhiare denaro ai contribuenti per un milione l’anno (non siamo noi a sostenerlo, ma la Corte dei Conti). A completare le pratiche di liquidazione, nel 2013, è stato nominato dallo Stato un commissario, il professor Vincenzo Fortunato, che avrebbe percepito un compenso di 174 mila euro per i dodici mesi dell’incarico. Gliene sarebbero dovuti bastare tanti per archiviare la questione. Invece, il signor Fortunato – chi più fortunato di lui – è ancora lautamente retribuito.

Non è tutto. La società pubblica Stretto di Messina spa, nel tempo, ha chiesto a Roma 325 milioni per gli oneri sostenuti per lo sviluppo del progetto, al netto – ovviamente – degli importi che le dovranno essere riconosciuti a titolo di indennizzo o di risarcimento. La Spa non è ancora stata liquidata nonostante le sollecitazioni dei giudici contabili – alcuni parlamentari, più i sindaci di Messina e Villa San Giovanni, hanno sollecitato le procure in merito all’accertamento di un danno all’erario per la mancata costruzione del ponte – ma la cosa più sorprendente e drammatica è che la società si intestardisca a fare causa allo Stato sebbene “quanto eventualmente ottenuto in sede di contenzioso – scrive la Corte dei Conti – è destinato a tornare agli azionisti pubblici dopo l’estinzione della società”. E questo è un controsenso, dato che si parla di una società dello Stato, dove Anas detiene oltre l’81%.

Ma la beffa più beffa di tutte dovrebbe ancora arrivare. Sia Eurolink che Parsons Trasportation Group, project manager del ponte, all’indomani della decisione del governo Monti di rinunciare all’opera (anno 2013) , avviano una battaglia legale per ottenere un risarcimento. La prima, Eurolink, inoltrò una richiesta da 700 milioni di euro, che nell’autunno del 2018 il Tribunale per le imprese di Roma ha respinto. Non contento, però, il gruppo Impregilo-Salini ha presentato ricorso e attende di conoscerne l’esito. La Parsons vorrebbe 200 milioni, ed è impegnata in una battaglia all’ultimo sangue di fronte alla Consulta. La società americana, con sede in Virginia dal 1944, chiede l’illegittimità costituzionale del decreto 187/2012, che stabilisce modalità di rimborso e indennizzo – per il mancato completamento dell’opera – che esulano dalla normativa generale in  materia di appalti pubblici. Secondo la legge vigente (il decreto di cui sopra), dopo la caducazione del contratto per la rinuncia dello Stato, alla Parsons andrebbe riconosciuta, “a definitiva e completa tacitazione di ogni diritto e pretesa”, oltre al valore delle prestazioni progettuali contrattualmente previste e direttamente eseguite, una percentuale del 10% di questo importo.

Troppi pochi soldi per la società Usa, specializzata in ingegneria delle infrastrutture, che infatti ha impugnato il provvedimento e spera in una ricompensa maggiore. Secondo l’avvocatura dello Stato, invece, la legge-provvedimento del 2012 – che sancisce la caducazione del contratto (ossia la perdita di efficacia degli atti giuridici) e non la rescissione unilaterale – è pienamente legittima, se riportata a un contesto di crisi come quello dell’epoca. Per tutto il tempo del procedimento giudiziario in sede civile, la Stretto di Messina spa continuerà a sopravvivere (e sperperare). Eurolink e Parsons l’hanno citata. E’ in buona compagnia, dato che gli altri soggetti interessati (eventualmente) dal pagamento delle penali sono la presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Col senno di poi, e dell’oltre-poi, questo ponte sarebbe stato meglio farlo.

Oggi, però, la levata di scudi per riproporre l’opera stona parecchio rispetto al quadro che vi abbiamo presentato. E sembra saperlo – bene – anche il presidente della Regione Musumeci, che si è mostrato possibilista ma fino a un certo punto: “Periodicamente si torna a parlare del Ponte sullo Stretto, sul quale tutti conoscono la mia posizione: sono da sempre favorevole e non ho mai cambiato opinione. I siciliani sanno che l’unica volta in cui si è stati a un passo dall’avvio dell’opera è stato per impulso del governo Berlusconi e la nostra coalizione non ha mai cambiato opinione. Se  assieme al ministro Franceschini e al senatore Renzi si registrerà una nuova posizione da parte del governo Conte, sarò felice di mettermi a disposizione”. Già, perché l’idea malsana di questa mega infrastruttura sul Mediterraneo, piace pure al Ministro Dario Franceschini, che vorrebbe permettere all’Alta Velocità di approdare in Sicilia (a breve arriverà a Reggio Calabria). Allo stato maggiore dei renziani (da Faraone e Sammartino), che ha subito sposato l’idea dell’ex premier. E per finire a tutto il centrodestra, da Salvini in giù. Tutti si dicono pronti, ma nessuno ha il coraggio di cominciare. Questa storia ci sembra di averla già sentita da qualche parte.