C’è un elemento che rende Leoluca Orlando un “animale politico” più di quanto non suggeriscano le bandiere fatte sventolare a bordo delle Ong, le magliette rosse utilizzate come simbolo d’accoglienza, o i risultati raggiunti in vent’anni da sindaco: quell’elemento è la gestione del potere. In cui il professore si è dimostrato abilissimo. Al culmine del settimo mandato a palazzo delle Aquile – non ce ne saranno altri nell’immediato – il professore ha rispolverato gli strumenti della partitocrazia, abbandonati alla vigilia dell’ultima campagna elettorale per dar vita a un progetto civico di ampio respiro (ma tristemente naufragato). Dopo il tentativo di Italia Viva di mettergli il bastone fra le ruote, stanco di subire angherie che lo hanno fatto sfigurare più volte nel corso di quest’ultima legislatura, lasciandolo come un re nudo, il sindaco di Palermo ha praticamente obbligato i due assessori renziani a dimettersi. In caso contrario, li avrebbe cacciati lui. Leopoldo Piampiano (Attività Produttive) e Tony Customati (Verde e Cimiteri, in carica da appena quattro settimane) si sono visti sfilare la poltrona da sotto il sedere.

Ma non è tutto. La dimostrazione più plateale di questa ritrovata vigoria e di questo decisionismo imperante, è arrivata all’indomani dell’astensione dei consiglieri comunali di Italia Viva, che ha determinato la bocciatura del piano triennale delle Opere pubbliche: Orlando, facendo dimettere un paio di componenti del cda della Rap (la società della nettezza urbana), ha di fatto silurato Giuseppe Norata, il presidente. Ovviamente in quota IV. Colui che, a sentire Davide Faraone, “ha preso tre avvisi di garanzia per tenere le strade pulite e non far perdere la faccia al sindaco. E che sarebbe andato via con le sue gambe”. “Con la discarica satura e a costo di un altissimo prezzo – ha rincarato la dose Dario Chinnici, capogruppo renziano a Sala delle Lapidi – Norata ha preferito rischiare in prima persona pur di evitare che le strade della città si riempissero di immondizia”. Lo stesso destino potrebbe toccare a Michele Cimino, renziano ai vertici dell’Amat: lo strumento della vendetta, d’altronde, è il più praticato per archiviare la contesa.

Anche se da qui alle prossime Amministrative, cui non potrà partecipare da candidato sindaco, il primo cittadino dovrà superare molti ostacoli per rimanere a galla. Più delle interviste, degli appelli, delle esibizioni muscolari e culturali, dei populismi spiccioli, dovrà dedicarsi alle piccole pratiche da retrobottega che gli consentiranno: a) di approvare gli atti utili alla città, a cominciare dal piano regolatore; b) di resistere agli attacchi e sventare la ‘minaccia’ di una nuova mozione di sfiducia che fa molta gola al centrodestra (le ha invocate Marianna Caronia, di Forza Italia) e ai “ribelli” di ogni latitudine. Questa volta i numeri ci sarebbero. Per arrivare al termine della legislatura e porre le basi del futuro – più per gli altri che per sé – servirà meno narcisismo. Orlando, secondo le voci che circolano in queste ore, potrebbe candidarsi da capolista al Consiglio comunale, ma il rischio è di aver lasciato alle proprie spalle solo macerie.

Il primo effetto delle diatribe di questi giorni è aver orientato gli ex amici dem, ora in Italia Viva, a seguire altre strade. A battere con ostinazione la via del modello Draghi, che da Palermo potrebbe allungarsi fino alla Regione. Col suo tentativo di mettere in mezzo la Lega – Faraone ha smentito di aver richiesto la presenza in giunta del Carroccio – ha contribuito a fortificare un asse “contro di lui”. Ultimo capolavoro di un mandato sterile di soddisfazioni. “Non c’è mai stato un ragionamento per un nostro ingresso in giunta – dice il consigliere leghista, Alessandro Anello – E’ un tema che qualcun altro ha utilizzato come diversivo. La verità è che è finita un’era: l’Amministrazione comunale fa acqua da tutte le parti e la disfatta del sindaco è acclarata. Il fatto che Orlando dica ‘mai con la Lega’ per noi è una medaglia. Questa coalizione non ha uno straccio di programmazione”.

Già, che resta di Palermo? Ad esempio le 800 bare accumulate in un tendone al cimitero dei Rotoli, simbolo di una città che ha fatto perdere la dignità ai vivi e ai morti; i problemi irrisolti della discarica di Bellolampo e della monnezza per strada, fetida cornice di una bellezza magnifica e inespressa; restano i problemi legati alla viabilità e alle opere pubbliche martoriate, che non trovano compimento; resta il deserto delle vie del centro, svuotate delle attività commerciali che l’avevano reso florido. Resta la sensazione rassegnata di non essere riusciti ad accompagnare la crescita esponenziale del turismo; di non aver saputo contrastare la pandemia con strumenti all’altezza (le attività produttive, in questa fase, saranno determinanti per permettere alle attività di ristorazione di risollevarsi: ma il turnover degli assessori complica tutto). La grande bellezza è svampita di fronte all’accidia politica, alla voglia smodata di restare il primo della classe e di non concedere nulla agli altri; di non saper mediare tra le forze (assai diverse) di una coalizione caracollante, dove tutti si odiano e non hanno mai fatto nulla per nasconderlo.

Alessandro Anello

L’analisi di Anello, poi, è spietata: “E’ fallimentare soprattutto la gestione degli assessorati strategici – spiega il commissario cittadino della Lega a Palermo -: non si può pensare di restare per quasi un anno senza l’assessore al Bilancio, o di affidare i Lavori pubblici a un assessore che, materialmente, sta facendo cadere i ponti, dimostrando tutta la sua incompetenza. Tanto meno può occuparsi di pianificazione della mobilità e del traffico un assessore col pallino del tram, a cui non interessa dei cittadini rimasti intrappolati nel traffico per alcuni provvedimenti folli, come la chiusura di via Ruggero Settimo. Tutto ciò denota un’assenza di programmazione, che si traduce in un fallimento su tutta la linea. Il sindaco, inoltre, dimostra di non saper ascoltare, e anziché cercare di portare avanti l’attività amministrativa, si trincera dietro errori fatti da altre amministrazioni o altri enti”.

Resta in piedi l’ipotesi di un’altra mozione di sfiducia, anche se “noi l’avevamo presentata l’anno scorso, coscienti del fatto che mandarlo a casa sarebbe stato un bene per la città. Ma gli stessi consiglieri che oggi si sono resi conto della gravità della situazione – argomenta Anello -, all’epoca non ci seguirono. Io dissi che sarebbero stati 18 mesi di lenta agonia”. Il comportamento delle opposizioni, in aula, resta il medesimo: “I provvedimenti per il bene della città saranno portati avanti, ma la cattiva gestione di alcuni assessori sarà evidenziata – spiega ancora Anello -. Ricordo che le mozioni di sfiducia esistono anche per i singoli componenti della giunta, non solo per il sindaco”.

La grosse koalition di Orlando si è sgretolata e la Lega è la foglia di fico per nascondere nove anni ingloriosi. Monopattini elettrici e piste ciclabili non basteranno a salvare le apparenze. “Da tempo la nostra forza aveva rilevato contraddizioni profonde, nell’azione politica di Italia Viva, che hanno frenato l’attività di governo – spiegano i quattro consiglieri di Sinistra Comune, vicini all’assessore alla Viabilità Giusto Catania -. Adesso bisogna pianificare una strategia comune tra la giunta e le forze politiche che vogliono proseguire il percorso programmatico condiviso, perché riteniamo fondamentale raggiungere gli obiettivi di mandato e superare le criticità nella gestione della città”. Il pensiero va subito ai Cinque Stelle. “Italia Viva crede nel gioco di squadra e nel rispetto delle forze politiche – era stato il messaggio dei renziani, prima del bing bang -. Sono altri a continuare in corse solitarie con finalità personalistiche ed elettorali, come dimostrano le dichiarazioni a mezzo stampa e le scelte compiute in solitaria o fantomatici documenti firmati da alcune forze di maggioranza con le opposizioni, in spregio agli impegni assunti con i palermitani”.

Sull’altare di questa polveriera è stato sacrificato il bene di Palermo. E qualcuno certamente dovrà risponderne. Ma una cosa è certa: Orlando ha annientato il civismo perché s’è ricordato di quanto sia bello agire in nome e per conto dei pochi partiti che gli sono rimasti intorno. Ha scelto chi escludere e chi salvare. Ha partecipato all’assemblea del Pd ed è proprio al Pd, che spesso lo ha deluso, che spera di strappare la promessa di un futuro insieme. “Tra i democratici ci sono tante anime – ha detto il suo vice, Fabio Giambrone – Mi auguro che prevalga quella accogliente. Il Pd di Letta ci piace. Col segretario Barbagallo ci vedremo nei prossimi giorni. Nel percorso che immaginiamo ci sono anche i Cinque Stelle”. Orlando e gli orlandiani hanno imbandito la tavola, mentre là fuori la citta brucia. Eppure, secondo Anello, il professore “è rimasto solo, con assessori che rappresentano solo se stessi, la maggior parte dei quali sono tecnici prestati alla politica, che non si sono mai misurati con il consenso dei palermitani. L’unico invito che posso rivolgere al primo cittadino è di farsi da parte”. Perché è finita un’epoca.