Movimento 5 Stelle e Lega, probabilmente in quest’ordine, alle prossime Europee potrebbero fare il pieno anche in Sicilia. E confermare un trend che li vede come i due partiti maggiori – con i dovuti distinguo, per esempio in chiave grillina – in tutta Italia. Ma in nome e per conto di quali misure economiche Di Maio e Salvini scenderanno sull’Isola a riscuotere consenso? L’economia siciliana è pressoché stagnante: secondo le ultime rilevazioni Istat il prodotto interno lordo rimane più o meno invariato rispetto al 2018, quando i due partiti filo-governativo presero il posto, in corsa, di Paolo Gentiloni e del Pd. In linea del tutto teorica, l’incremento del Pil potrebbe vacillare fra lo 0 e lo 0,3%. Nulla di significativo rispetto a un quadro che rimane impietoso e che anche alla voce “occupazione” fa registrare una drammatica paralisi.

Il tasso di disoccupazione, nel corso dell’ultimo anno, è rimasto invariato: 21,5%. E quello dell’occupazione è cresciuto in modo impercettibile: dal 40,6 al 40,7%. Insomma, col nuovo governo a trazione grillina – il M5S alle ultime Politiche ha sfondato il 50% in numerosi centri dell’Isola – non si è creato un solo posto di lavoro. E se i dati, di per sé negativi, vengono comparati con l’ultimo anno pre-crisi, il 2008, c’è davvero da preoccuparsi. Ad esempio, leggendo che le industrie siciliane hanno perso 71 mila lavoratori (nel complesso lavorano 115 mila persone in meno rispetto a dieci anni fa). Gli unici settori a godere di una salute discreta sono la martoriata agricoltura, che registra diecimila occupati in più rispetto al 2008, e il turismo (+ 3 mila). Vanno malissimo l’edilizia e i servizi.

E se proprio si dovesse dare ai siciliani un motivo per votare Lega, ma soprattutto 5 Stelle, occorrerebbe esplorare un altro aspetto delle politiche (non) attive del Lavoro. Quello legato al Reddito di Cittadinanza e all’informata di sussidi che oggi il governo, in deroga a qualsiasi ricetta legata agli investimenti e al lavoro, propina agli abitanti di questa terra. Anche qui parlano i numeri e suggeriscono che la Sicilia è la seconda Regione, dal 6 marzo in poi, per il numero di domande presentate e utili ad ottenere il famoso assegno da 780 euro (in cambio c’è solo la “promessa” di impegnarsi nella ricerca di un lavoro grazie all’ausilio dei centri per l’impiego che si vuol rendere operativi).

C’è di più: il 32% delle domande per ottenere il Rdc arrivano da Campania e Sicilia. Siamo a un terzo del totale. Dalla sola città di Napoli sono giunte più richieste che dalla Lombardia. Stando ai dati forniti dal Ministero del Lavoro, quello diretto da Luigi Di Maio, il 6,4% delle famiglie siciliane e campane ha richiesto il sussidio (contro l’1,6 della Lombardia, solo la Calabria è davanti con il 7,1%). Questa percentuale è il termometro di quanto si stia male e di quanto la povertà si sia infiltrata, nel tempo, all’interno di una regione che non vede di fronte a sé neanche un timido segnale di sviluppo. Le domande compilate in Sicilia – sia nei Caf che alle Poste, ma anche online sul sito del governo – sono 128mila (sulle 806mila totali). La prima risposta ai richiedenti arriverà dopo Pasqua, non appena l’Inps avrà completato i controlli. I primi assegni, direttamente sulle card emesse dalle Poste, poche settimane dopo. Sarà il primo, vero feedback per un pugno consistente di siciliani, che in cambio di una fila al Caf o della dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro compilata nei centri per l’impiego, vedrà recapitarsi a casa un discreto “aiutino”.

Ma nessuno, nel frattempo, avrà incoraggiato le imprese con investimenti e sgravi fiscali per demolire quella piaga tremenda della disoccupazione giovanile, per dirne una. Il tasso di povertà assoluta al Sud (10,3) è il doppio rispetto al Nord (5,3). E mentre a Roma si dibatte sulla Flat Tax e su Quota 100, una serie di misure che vengono più facilmente incontro ai distretti produttivi del Nord Ovest (dove i governatori di Veneto, Lombardia e Friuli sono quelli col più alto indice di gradimento: sarà un caso?), la politica siciliana è ferma al palo. E a un anno e mezzo dall’insediamento del nuovo governo, non è stato messo a punto un pacchetto di soluzioni utili a contrastare la decrescita o incentivare la crescita. E il disagio è vivo – e non per colpa della Regione – anche in quelle realtà industriali che un tempo rappresentavano motivo di vanto: impossibile non pensare a Blutec, con i lavoratori di Termini Imerese costretti ai salti di gioia solo per aver ottenuto dal governo la cassa integrazione in deroga (anziché un rientro in fabbrica che, a causa degli scandali di Blutec e di investimenti andati in fumo, appare sempre più lontano).

Del sistema produttivo rimangono soltanto dei ricordi sbiaditi. O degli audaci tentativi – sembrano più delle visioni incantate e incantevoli – di fare della nostra terra il nuovo centro del Mediterraneo (vedi il porto hub di Palermo, al centro dei pensieri di Eurispes). Nel frattempo i centri urbani si svuotano, le intelligenze si disperdono, le saracinesche si abbassano.  E il 26 maggio si vota. Per premiare chi e cosa lo decideranno i siciliani.