Oggi è il primo giorno di scuola per i dipendenti regionali richiamati al lavoro dopo lo smart working e la pausa forzata per il Coronavirus. Il 50% (almeno) del personale tornerà in ufficio – nei dipartimenti e nelle società partecipate – così come ha “ordinato” qualche settimana fa il presidente della Regione Nello Musumeci, stanco di sentirsi dire che “le pratiche sono ferme” e che “i lavoratori da casa non producono”. Tutto era nato da un’inchiesta giornalistica di Repubblica, che lo scorso 11 giugno aveva testato come su 8.231 regionali censiti, uno su cinque era a casa, ma in congedo o con la 104. Altro che lavoro agile. Così Musumeci, dopo aver appurato “disservizi e ritardi non più tollerabili”, si è convinto che l’unico modo per tenere incollati i dipendenti al pc fosse quello di fargli strisciare il badge. Richiamando tutti alle proprie responsabilità, come si fa coi bambini dopo aver marinato la scuola.

Il primo destinatario della moral suasion (si fa per dire) è stata l’assessore alla Funzione pubblica, Bernadette Grasso: “Si invita la signoria vostra – scriveva in una lettera il capo del governo – ad assumere con estrema urgenza le iniziative necessarie al fine di consentire il progressivo rientro in tutti gli uffici regionali, ivi inclusi quegli degli enti vigilati e delle società partecipate, dei rispettivi dipendenti, con una percentuale di presenza giornaliera comunque non inferiore al 50 per cento della dotazione complessiva fermo restando il rispetto delle vigenti prescrizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza del personale”. Il lento ritorno dei dipendenti in ufficio – dopo un naturale rodaggio per verificare se le scrivanie fossero abbastanza pulite e i dispenser di gel igienizzante pieni – è iniziato venerdì scorso, quando alcuni dipartimenti hanno riaperto le porte: si tratta di Infrastrutture, Agricoltura, Funzione pubblica, Economia ed Energia. Da oggi tocca agli altri, sebbene non si conoscano i criteri: chi rientra e chi resta a lavorare da casa? Ma soprattutto, perché?

I sindacati continuano a sostenere la necessità del rispetto delle misure anti-contagio. Che non significa soltanto distanziamento sociale: “Il Siad-Cisal – ha detto il segretario Angelo Lo Curto – farà sopralluoghi nei posti di lavoro per verificare se siano stati forniti a tutti i dipendenti i necessari dispositivi di sicurezza come mascherine, gel e visiere, oltre che il rispetto delle distanze tra le postazioni di lavoro. C’è un protocollo nazionale, firmato dal governo con le parti sociali, che va applicato alla lettera”. Durante il lockdown in molti hanno manifestato dubbi sulle condizioni igieniche di assessorati e dipartimenti, risultati carenti – tranne in casi eccezionali – sotto il profilo della sanificazione. Nelle ore successive alla convocazione di Musumeci, i sindacati hanno parlato di “una richiesta condivisibile, ma solo se prima saranno garantite le misure necessarie a tutelare la salute dei lavoratori e dei cittadini in tutti gli uffici, da quelli centrali ai più periferici”.

Ricordando alla politica come il ricorso allo smart working “non è stato il capriccio di qualche direttore generale, ma un obbligo imposto dal governo nazionale per preservare la salute di tutti gli italiani nel bel mezzo di una pandemia che ha provocato migliaia di vittime”. Ma la politica siciliana, che negli anni non è stata in grado di produrre una riforma della burocrazia, e che non ha approvato alcuna norma di armonizzazione per “rivedere” i criteri d’accesso alle posizioni apicali della dirigenza (il caso della “terza fascia” è sempre attuale), oggi decide di affidarsi al mantra old but gold. Senza capire, però, che spalancare gli uffici non equivale ad aumentare l’efficienza e la produttività della pubblica amministrazione.

La pandemia, che a molti paesi europei ha insegnato la declinazione del “lavoro agile”, nell’Isola – invece – non sembra aver portato benefici. Anche se nelle ultime ore, da parte dell’assessore Grasso, è arrivato un piccolo accenno di modernità: l’idea è continuare, previa contrattazione sindacale, con la sperimentazione dello smart working per il 20% del personale in servizio (per quattromila postazioni virtuali). Che, a scanso di equivoci o pressapochismi, potrebbe garantire un risparmio sugli affitti, sul costo delle utenze, sul consumo della carta (che l’ultima riforma sulla semplificazione delle procedure burocratiche dovrebbe, comunque, bandire) e sul costo dei materiali di cancelleria. Una piccola rivoluzione smart che la Grasso sembra voler considerare: “Da parte nostra c’è la disponibilità a coprire le spese aggiuntive – ha detto l’assessore – ad esempio su energia e connessione”.

E che comunque non potrà prescindere dal ruolo di “sentinella” richiesto ai dirigenti generali, i quali dovranno vigilare, con un monitoraggio costante, sui risultati portati a casa dai “lavoratori agili” (una pratica, magari, da adottare anche al chiuso degli uffici). Il Siad-Cisal, come riportato da Repubblica, ha stilato un report sull’attività in smart working degli ultimi mesi e i risultati sono in parte incoraggianti: i dipendenti del dipartimento Infrastrutture che hanno lavorato da casa, ad esempio, hanno “erogato finanziamenti per oltre 150 milioni di euro”; quelli dell’Agricoltura hanno “determinato l’erogazione di oltre 30 milioni di euro agli agricoltori biologici, l’attivazione dei bandi per erogare 800 mila euro quale sostegno al settore vitivinicolo o hanno definito le graduatorie degli agriturismo o adottato il bando misura Ristrutturazione e riconversione dei vigneti”; le Motorizzazioni civili, invece, hanno garantito “tutte le attività legate agli esami di guida, alle immatricolazioni, alle revisioni” e alle Attività produttive sono stati effettuati “tutti i pagamenti degli stati di avanzamento lavori inerenti i finanziamenti approvati”.

In smart working, inoltre, sono stati sbloccati il 60% dei fondi per i comuni. E’ andata malissimo, invece, con le pratiche della cassa integrazione in deroga: in una lettera di qualche giorno fa, l’ex dirigente generale Giovanni Vindigni (poi dimissionario) ha spiegato che i dipendenti presenti in ufficio erano 6 o 7. Qualcosa, da casa, non ha funzionato per il verso giusto. Anche se alla fine le colpe sono state addossate al sistema: “Circa due domande su tre, al passaggio dalla piattaforma del Dipartimento Lavoro a quella Inps risultavano irricevibili, pur se corrette, per problematiche tecniche legate alla piattaforma informatica dell’Inps”. Così si è preferito resettare la piattaforma, e questo ha fatto perdere tempo. Laddove è la macchina a dare i problemi, e non l’uomo, c’è poco da fare.

Ma resta il fatto che la Regione siciliana, alla luce delle numerose vertenze che riguardano il personale (Buttanissima, una settimana fa, ha sollevato quella del “comparto non dirigenziale”), più che ridurre i problemi al mero “presenzialismo”, dovrebbe innescare un cambio di marcia a 360 gradi. Che parta, per lo più, dai vertici. Invece, di recente, sono stati nominati a capo dei dipartimenti figure legate alla politica – alcuni dei quali protagonisti della stagione cuffariana (avviata una ventina d’anni fa) – solo in base a un atto d’interpello interno, per di più fondato su regole che la giurisprudenza negli anni ha contestato. Non è stato più indetto un concorso, e questo nuoce gravemente alla professionalità di chi fa parte della pianta organica e avrebbe diritto, legittimamente, a uno scatto di carriera. Si ricorre di rado a figure esterne (Federico Lasco è fresco di nomina alla Programmazione), privando la Regione di professionalità che potrebbero rimettere in moto la macchina. Invece, nel silenzio-assenso dei provvedimenti e delle procedure (sempre uguali), va avanti lo scontro fra politica e regionali. L’una non si fida degli altri, e viceversa. Ma sembra più una pantomima.

Il prossimo teatro di scontro (o di confronto) sarà la Finanziaria. I dipartimenti, una volta che sarà arrivato l’ok di Roma e di Bruxelles, dovranno predisporre bandi e avvisi per rendere operative le numerose misure previste dall’ultima Legge di Stabilità, che ormai da un paio di mesi sono “congelate”, venendo meno al requisito principe dell’emergenza. La politica è già in ritardo, e uno scherzo del destino ha deciso che sarà solo la burocrazia a poterla salvare la faccia.