La storia di Gaetano Armao – una lunga storia di militanza politica e amministrativa, di partitini dello zero virgola, di titoli di studio imponenti e amicizie che riescono persino a superarli – va riassunta dalla fine. Cioè, da questi primi mesi trascorsi a Palazzo d’Orleans come vice-governatore e assessore al Bilancio. Una mansione per niente nuova, dato che il suo primo ingresso nel governo siciliano è datato 2009, quando il suo amico fidato Raffaele Lombardo decise di coinvolgerlo prima come assessore alla Presidenza, poi ai Beni Culturali e infine – sorpresa? – all’Economia. Serve e serviva a far quadrare i conti Armao, ma finora si è incagliato su alcune questioni, anche di carattere personale, che ne hanno minato operato e credibilità.

La vicenda con Riscossione Sicilia

All’indomani dell’impugnativa della legge di Stabilità da parte del governo Conte (luglio 2018) il Movimento 5 Stelle lo ha definito “tecnicamente incapace” e “intellettualmente disonesto” per aver posto la firma su una “finanziaria infarcita di errori macroscopici”. Ma ha anche voluto evidenziare lo status del vice-Musumeci: quello di “re dei conflitti d’interesse in Sicilia, vedasi caso Riscossione”.

Riscossione Sicilia è la società incaricata di gestire la riscossione dei tributi e delle altre entrate della Regione. Guarda un po’, si tratta di una partecipata sottoposta al controllo dell’assessorato all’Economia (e di chi, sennò?), retto proprio da Gaetano Armao. Il quale risulta moroso nei confronti del Fisco, non avendo pagato 22 cartelle esattoriali per il valore di 392mila euro che Riscossione gli avrebbe notificato. Neanche la calura estiva è bastata a far passare sotto traccia il palese conflitto d’interessi: il 31 luglio, infatti, i vertici di Riscossione hanno messo in allarme tutti i dipartimenti della Regione, chiedendo a ogni singolo ufficio (ne esistono una cinquantina fra centrali e periferici) degli eventuali rapporti finanziari con l’assessore. Con l’obiettivo dichiarato di pignorare lo stipendio, e qualsiasi altro di tipo di entrata, ad Armao. Il quale, travolto dallo scandalo, aveva promesso (ma non risulta che lo abbia fatto) di rimettere la delega Riscossione in mano al governatore Musumeci.

Le contestazioni di Riscossione riguardano i mancati versamenti di Armao allo Stato derivanti dalla sua attività di avvocato amministrativista. Una pessima pubblicità che rischia di incrinare una volta per tutte la sua credibilità e tenuta politica. Per questo l’assessore ha deciso di sfogarsi, prima di passare alle vie di fatto: “L’azione messa in campo da Riscossione contro di me è abusiva e pretestuosa. Ho ottenuto da tempo la rottamazione di tutte le cartelle esattoriali che mi vengono contestate. E ciò basta per interrompere ogni procedimento nei miei confronti”. Ma oltre alla questione meramente pecuniaria, ci sarebbe quella cosiddetta morale: “Questa azione contro di me è cominciata quando decisi di candidarmi alla presidenza della Regione e va avanti adesso. Chiunque dovrebbe preoccuparsi se ciò accade a un assessore all’Economia. C’è un’evidente violazione del più elementare diritto di riservatezza, oltre che profili di illegittimità penalmente rilevanti anche in termini di immagine”.

Il pignoramento dello stipendio

Un altro tema “pecuniario” che lascia tuttora perplessi, è legato al pignoramento dello stipendio dell’assessore (un altro!) da parte del giudice (ormai ex) della sezione fallimentare del Tribunale di Palermo, Giusi Bartolozzi, che di Armao è compagna di vita e, dallo scorso 4 marzo, anche di partito, essendo approdata alla Camera dei Deputati col diktat di Silvio Berlusconi. Ogni mese quasi 7 mila euro vengono sequestrati al buon Armao per effetto delle decisioni della Bartolozzi, che intanto s’è beccata un esposto al Csm da Carmela Transirico, ex moglie del compagno, per aver “avviato una precisa strategia, di facile lettura documentale” con la quale ha inteso “aiutare Gaetano Armao a frodare i suoi creditori, rendendo inaggredibili tutti i suoi beni, mobili e immobili, nonché i suoi compensi”, consentendogli così di non adempiere agli obblighi verso l’ex moglie e l’ex famiglia.

La carriera politica dell’avvocato

Ma facciamo un salto indietro nel tempo, alla scoperta del magico mondo di Armao. Dopo essersi convertito sulla via di Lombardo, nel 2012 si unisce al potente assessore alla Sanità, Massimo Russo, e fonda “Palermo Avvenire”, un partitino che fa cilecca alle Amministrative di Palermo nonostante una lista infarcita di medici e i soliti proclami (“Non vogliamo i voti della mafia”): il 3,2% non fa scattare seggi in Consiglio. Nel frattempo, concedeteci l’ennesima parentesi, si fa impugnare 80 norme della Finanziaria 2012, che l’ultima a confronto sembra una passeggiata di salute. Chiusa parentesi. Nel 2015 decide di riprovarci: ecco Sicilia Nazione. Che nel 2016 si evolve nel Movimento Nazionale Siciliano; nell’agosto 2017 diventa Siciliani Indignati – ma dove sono finiti uomini e donne che “combattono, da anni, la mala gestione del governo regionale”? – e prima di Natale, cambia ancora nome e si trasforma in Unione dei Siciliani.

L’impegno civico e autonomista di Armao, che fa credere a Berlusconi di avere un plotone di voti al seguito, aveva convinto l’ex Cavaliere a puntare su di lui come front runner alle Regionali del 5 novembre, prima che la coalizione, più saggia di Silvio, facesse quadrato attorno a Musumeci. Ben venga il ticket, anche se Armao alla prova del nove nemmeno si presenta: ritira la lista degli indignati e, a causa del mancato inserimento del suo nome nel listino presidenziale, sceglie di non candidarsi nemmeno. Appioppa il cognome al suo consulente politico, tale Pietro Garonna detto “Armao”, che si schiera con Forza Italia e manco viene eletto. Ma il vero Armao, grazie all’investitura dell’uomo venuto da Arcore, fa comunque tombola diventando vice-presidente. Non è tutto. Anche la sua dolce metà, Giusi Bartolozzi, fa breccia nel cuore di Berlusconi: al punto che diventa capolista nel collegio di Agrigento e approda a Montecitorio in pompa magna.

Non è ancora il momento del “vissero felici e contenti”. Prima, potrebbero esserci altre ricompense. Sono bastati gli spifferi a far imbizzarrire chi al ruolo di Micciché ambisce e, più in generale a creare subbuglio all’interno di un partito che guarda con sospetto e fastidio alle avventurose scalate di un personaggio con troppe storie e zero voti.