Anche questa settimana si porta dietro una buona dose di sfiga. La Regione siciliana, infatti, s’è vista impugnare la tredicesima legge dell’anno (su 23): è quella che riguarda la semplificazione edilizia. Rispetto alla sanatoria, già fustigata da palazzo Chigi, è un’altra norma per la quale, in sede di trattazione (lo scorso agosto), si era definito un percorso parallelo in modo da agevolarne l’iter. Ma anche in questo caso è andata male. Malissimo. Il testo relativo a “Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 10 agosto 2016, n. 16. Disposizioni varie in materia di edilizia ed urbanistica”, è stato stoppato perché va oltre le “competenze attribuite alla Regione siciliana dallo Statuto di autonomia in materia di tutela del paesaggio e urbanistica” e si pone in contrasto “con le norme statali di grande riforma economico-sociale”, violando “gli articoli 3, 9 e 117, secondo comma, lettere m) e l), della Costituzione”. Tutto da rifare, insomma. Anche in questo caso la Regione – legittimamente – sceglierà se resistere o meno di fronte alla Corte Costituzionale.

Ma un dato è chiaro: un bel pezzo del lavoro fatto nel 2021 dall’Ars è stato vanificato dal Consiglio dei Ministri, che prima di ieri aveva rispedito al mittente un’altra norma: quella che prevedeva l’erogazione di un contributo straordinario ai lavoratori della SAS (una partecipata regionale) che hanno prestato e prestano servizio in attività legate al funzionamento dei reparti Covid-19 e delle strutture sanitarie. “Dalle informazioni avute dagli uffici regionali – hanno spiegato i deputati Marianna Caronia e Carmelo Pullara (Lega) – sembra che secondo il governo nazionale i “bonus” Covid possano essere dati solo a quei lavoratori che hanno un contratto collettivo nazionale: una cosa assurda che se confermata dimostrerebbe la mancata conoscenza della situazione siciliana e dell’esistenza di un contratto collettivo regionale applicato anche al personale SAS. Al di là di questo aspetto formale, non si può però non sottolineare l’assurdità del mancato riconoscimento del bonus a centinaia di lavoratori che hanno garantito e tuttora garantiscono il funzionamento dei reparti Covid-19, non in astratto ma lavorandovi giornalmente per garantirne pulizia ed efficienza”.

In attesa che il bonus possa essere riconosciuto anche a loro – SAS è l’acronimo di Servizi Ausiliari Sicilia – nel Consiglio dei Ministri dello scorso 29 settembre, in sordina, Palazzo Chigi ha dato l’altolà ad altre norme che il parlamento regionale aveva mandato in porto. In alcuni casi all’unanimità e con festose dichiarazioni. A partire dalla legge in materia di accoglienza e di inclusione che, secondo il suo primo firmatario, l’on. Nuccio Di Paola (M5s), avrebbe dato uno strumento ai sindaci e garantito “interventi concreti per contrastare il fenomeno del caporalato”, regolamentato “la figura del mediatore culturale, centrale nel settore dell’accoglienza e inclusione”, e tutelato “anche da un punto di vista sanitario quei dimoranti che hanno subito violenze e mutilazioni”. Ma anche in questo caso al governo centrale non è andato giù l’eccesso di competenze in materia di diritto e di accoglienza, che lo Statuto autonomo siciliano non contempla.

L’articolo 117 della Costituzione sarebbe stato violato anche da un paio di altre norme: la legge n. 21 del 29/07/2021 “Disposizioni in materia di agroecologia, di tutela della biodiversità e dei prodotti agricoli siciliani e di innovazione tecnologica in agricoltura”; e la n. 22 del 03/08/2021 “Disposizioni urgenti in materia di concessioni demaniali marittime, gestione del servizio idrico integrato nell’ambito territoriale ottimale di Agrigento e di personale di Sicilia Digitale S.p.A. Disposizioni varie”. Quest’ultimo è un polpettone avvelenato con cui si garantivano ad Aica, la nuova concessionaria del servizio idrico di Agrigento, cinque milioni di euro a valere sul Fondo Contenziosi per la sua attivazione (o la provincia sarebbe rimasta senz’acqua). E tre milioni ai dipendenti di Sicilia Digitale per pagarci stipendi e arretrati, considerando il peso di un recente pignoramento. Lo stop al ddl sull’Agroecologia, invece, ha irritato le deputate Foti e Palmeri: “Quella approvata dall’Ars è una legge innovativa – si sono giustificate – che sostanzialmente recepisce gli obiettivi del Green Deal europeo. L’impugnativa ci sembra per altro una prevaricazione dello Statuto regionale e della sua autonomia”. Anche su queste “leggine” approvate prima della pausa estiva, adesso, pesa l’incertezza del domani.

Come già accaduto per il condono edilizio, recentemente cancellato da palazzo Chigi; o per l’articolo 36 dell’ultima Legge di Stabilità, utile alla stabilizzazione degli Asu (l’assessore Scavone ha annunciato l’intenzione della Regione di resistere di fronte alla Consulta). Tenere il conto delle impugnative è un esercizio sempre più complicato, che pone il governo e l’Assemblea di fronte a una questione di metodo oltre che di merito. Di legittimità costituzionale e di forzature sconsigliate. Ma questo rush finale di campagna elettorale, in cui a Sala d’Ercole si è lavorato pochissimo (e in vista dei ballottaggi la situazione difficilmente migliorerà), è stato segnato da altre “fregature” che consentono alle opposizioni, di tanto in tanto, di emettere un gemito contro il governo. E nulla più.

In primis la bocciatura delle Sezioni riunite della Corte dei Conti, in composizione speciale, della parifica del rendiconto 2019. In realtà la magistratura contabile ha accolto i motivi del ricorso presentati dalla Procura, ravvisando uno scostamento di 8,6 milioni del Fondo crediti di dubbia esigibilità; ma soprattutto ha avanzato sospetti di legittimità costituzionale su una legge del 2016 che ha consentito alla Regione, negli esercizi a venire, di pagare un mutuo con lo Stato da 127 milioni l’anno attraverso l’utilizzo del Fondo sanitario. Se la Corte Costituzionale accogliesse il ricorso, potrebbe scatenarsi un effetto domino sui bilanci degli ultimi cinque anni. Uno sfacelo che l’assessore Armao tende a ridimensionare. Nel frattempo, però, bisognerà rimettere mano a un documento contabile che la giunta prima, e il parlamento poi, avevano approvato in fretta e furia, senza attendere gli esiti del ricorso contabile.

In questi giorni di frenesia politica, però, c’è un’ultima sconfitta da segnalare: il fatto che l’Aeroporto di Comiso, a pochi mesi dalla sua introduzione, dovrà rinunciare alla continuità territoriale con Roma e Milano. I collegamenti, garantiti fin qui da Alitalia (a mezzo servizio, fra l’altro, considerate le limitazioni della pandemia), moriranno assieme alla compagnia di bandiera il prossimo 15 ottobre. Bisognerà aspettare sette mesi e il nuovo bando per consentire a Ita, che ne raccoglie l’eredità, di partecipare. Quello temporaneo, ripubblicato dall’Enac, è andato deserto. Nessuna compagnia, alle condizioni proposte dall’Avviso, ha deciso di assumersi l’impegno. Nessuna. L’ottenimento della continuità territoriale – ch’era tornata utile ad abbattere gli odiati costi dell’insularità su cui l’assessore Armao fa la guerra (a parole) da sempre – è un’umiliazione per la classe politica tutta. Sia la Regione che lo Stato avevano co-finanziato la misura, ma entrambe, adesso, si arrendono di fronte all’imponderabile.

Termina così un’altra settimana di ordinaria amministrazione. In cui la vita di tutti i giorni, fra stangate e bocciature, è andata come sempre. Solo con qualche comizio in più da celebrare.