C’era una volta una rotonda. Intorno ad essa le macchine arrivavano, si incastravano, si incasinavano. I clacson urlavano, gli automobilisti si incazzavano, si insultavano. Poi una notte la povera rotonda è stata smantellata, cancellata, puff. All’incrocio, il giorno dopo, gli automobilisti erano smarriti, la rotonda svanita. Le auto però continuavano ad arrivare a un soffio l’una dall’altra, in una sorta di Tetris di fari, paraurti e lamiere.

Passarono un po’ di settimane e una notte gli operai compirono il miracolo: la rotonda fu ripristinata in poche ore di lavoro. Il giorno dopo ci fu grande sorpresa, qualcuno brindò al centro dell’area delimitata dai cordoli, qualcun altro continuò a imprecare quando si trovò bloccato nell’ingorgo.

Alla vigilia della visita del Papa, la povera rotonda venne di nuovo smantellata in poche ore, sempre all’ombra della luna. Quando il giorno dopo i passanti se ne accorsero pensarono che era per rendere più fluido il traffico nel giorno in cui il Santo Padre e con esso migliaia di fedeli sarebbero andati in direzione del raduno.

Passarono pochi giorni, la rotonda era quasi dimenticata. E invece una mattina, all’improvviso, spuntò uno spartitraffico. Non era più circolare ma triangolare. L’incrocio è lo stesso, ma adesso non si può più girare intorno ai cordoli: o vai a sinistra o a destra, stop. La povera rotonda capì di essere stata abolita, sacrificata per salvaguardare il fegato di decine di automobilisti che ogni giorno perdevano minuti preziosi all’incrocio. E così, mesta e silenziosa, si dileguò.

Questa è la storia della povera rotonda, non quella sul mare cantata da Fred Bongusto ma solo quella nel traffico di corso Tukory. Quella da cui ogni giorno transitano studenti e professori diretti all’università, pendolari che arrivano in città, medici, infermieri, pazienti e famiglie che raggiungono gli ospedali della zona. Quella che, un esperimento oggi e uno domani, troverà finalmente pace. Prima o poi.