Prima di giudicare la transizione ai vertici della Federico II, bisognerà capire se la scelta del presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, “risponderà soprattutto a interessi di parte”, come teme Marco Romano, direttore del Giornale di Sicilia, nel suo editoriale. Dal nome del sostituto di Patrizia Monterosso, si capirà se il metodo-Balilla, che per anni è attecchito in via Notarbartolo, sede dell’assessorato al Turismo, s’è impossessato dell’anima del palazzo più nobile, quello dei Normanni, che proprio la fondazione con a capo la dottoressa Monterosso ha reso innovativo e immortale, sottraendolo – per usare un’altra espressione di Romano – “alla ultradecennale esclusiva e inaccessibile ombra di non sempre limpidissimi intrighi e intrallazzi politici”.

Per il momento ci limitiamo a un giudizio sommesso, di fronte però a una decisione che già appare sciagurata. E rozza. Perché notificare alla direttrice della Federico II il suo licenziamento con una Pec, merita una condanna decisa. Non è un metodo da galantuomini, tanto meno per chi riveste una carica istituzionale super partes, come quella di presidente dell’Ars. Anche se ancora non ci sono abbastanza elementi per dubitare della buona fede di Galvagno; c’è solo da attendere la versione del massimo inquilino dell’Assemblea, che in forza del suo prestigio avrebbe potuto comunicarla diversamente. Innanzi tutto alla diretta interessata. Anziché formulare, con un risicato preavviso, l’invito a raccogliere le proprie cose e lasciare gli uffici.

Da questa storia usciranno ridimensionate le istituzioni coinvolte e quasi certamente la Fondazione, sempre che non si trovi il modo di individuare un professionista serio, capace di conservare l’eredità della Monterosso e custodire lo spirito del tempo applicato all’arte. Se dovesse trattarsi di un esponente di Fratelli d’Italia, in nome di un’appartenenza prevalente, allora saremmo di fronte a una frittata. Al paradosso dell’egemonia culturale. Il timore c’è, e non è figlio dell’essere prevenuti. Ma da sei anni, ormai, il partito di maggioranza relativa – che molti credono assoluta – ha conquistato gli asset regionali più importanti, da cui è possibile azionare leve di potere quasi sconfinate. Grazie ai soldi, alle relazioni, ai faccendieri. Il caso del Turismo, specie durante l’interregno di Nello Musumeci e Manlio Messina, ne è un esempio fulgido.

Ma riavvolgendo il nastro, c’è un altro “licenziamento” meritevole di menzione. Quello di Giorgio Pace da sovrintendente della Foss, la fondazione dell’Orchestra Sinfonica Siciliana. Correva l’anno 2018 e l’assessore al Turismo era Sandro Pappalardo, che poi sarebbe finito a fare il consigliere all’Enit in quota FdI, lasciando spazio alla scalata di Manlio Messina. Alla fine del mandato di Pace mancavano sei mesi, ma la premura di farlo fuori prevalse su qualsiasi logica e finì per innescare tormenti e pentimenti all’interno di un’Orchestra che ancora oggi vive d’instabilità profonda. Alcuni strani movimenti portarono alla guida della Foss Ester Bonafede, dichiarata incompatibile un secondo dopo, e in seguito Antonio Marcellino, da subito inviso al Cda. Che decadde. Al posto del Consiglio si insediò per un paio d’anni il Commissario straordinario Nicola Tarantino, presidente della Sicilia Film Commission e fedelissimo del Balilla: durante la sua reggenza si susseguirono una marea di abusi non degni di una istituzione lirica dall’antico lignaggio. Che a distanza di tempo ha ritrovato una guida, anch’essa sul crinale dell’incompatibilità: Andrea Peria.

Ma il grande polverone che reca l’etichetta dei meloniani è, appunto, il turismo. Che in Sicilia come altrove si è conquistato la nomina di feudo per gli appetiti di una ristretta (mica tanto) “corrente” che fa capo al Ministro Francesco Lollobrigida, il cognato d’Italia, e allo stesso Manlio Messina. E’ dal podio dell’assessorato che si sono consumati i due principali scandali rispetto ai quali il partito della premier non ha mai fornito spiegazioni: né sull’affidamento diretto di due shooting fotografici, sulla Sicilia e il cinema, alla società lussemburghese Absolute Blue, per circa 6 milioni in due anni; né sulla distorsione del programma SeeSicily, che da strumento di ripresa per gli albergatori colpiti dagli effetti della pandemia, si è trasformato nel tovagliato delle feste su cui apparecchiare un enorme sperpero di denaro.

Nel caso di Cannes, in nome dell’ “esclusività” (mai provata) dei servizi resi, si decise di impacchettare una proposta all inclusive – anche dei soliti investimenti in materia di comunicazione (511 mila euro) per l’allestimento di Casa Sicilia (900 mila euro) – senza, però, consultare operatori diversi da Patrick Nassogne, la cui società era sprovvista di certificazione antimafia e non aveva neppure versato la fidejussione alla stipula del contratto. Il provvedimento, recante la firma di un dirigente, venne sospeso in autotutela da Schifani, sostenuto da un pronunciamento del Tar. Il pericolo fu scampato, i soldi vennero persi, anche se nessuno ha mai fatto ammenda: l’unica mossa successiva, da parte del governatore, fu la staffetta assessoriale fra Scarpinato (ignaro di tutto, a quanto pare) ed Elvira Amata, proveniente dai Beni culturali.

Quest’ultima, come noto, sostenitrice di tutte le iniziative del Balilla, compreso il “successone” di SeeSicily, dove rispetto ai 70 milioni di partenza, quasi 25 hanno foraggiato la voce “comunicazione”. Per finanziare la cartellonistica nelle stazioni dei treni e negli aeroporti, ma soprattutto gli spot in tv (414 mila euro per Ballando con le Stelle) e sulla carta stampata. Tra i destinatari privilegiati dell’assessorato, ieri e per sempre, comparivano i grandi gruppi editoriali del Nord Italia, compreso Rcs Sport, che proprio nelle ultime ore ha ottenuto la rassicurazione di Amata sul ritorno in pompa magna del Giro di Sicilia (a partire dal 2025). “La comunicazione – disse Luigi Sunseri, presidente della commissione UE all’Assemblea Regionale, del M5s – è solo servita ad accreditare Musumeci e Messina presso i big player della comunicazione, ad affidare finanziamenti con procedure spesso ingiustificate e a finanziare eventi dalla dubbia capacità di potenziamento dei flussi turistici”. Procedure ed eventi su cui resta puntato il mirino della Corte dei Conti e della Procura di Palermo, oltre che della Commissione Europea, che ha rimarcato la sequela di “gravi irregolarità finanziarie” di SeeSicily, arrivando a minacciare la sospensione dei contributi. Ovviamente erano fondi europei…

Oltre a non fare ammenda di fronte agli errori, e di non arrossire di fronte all’evidenza, alla Regione si va oltre. Si persevera. Così sono fioccati i soldi (per le Celebrazioni Belliniane, costate 3 milioni, circa 900 mila euro sono finiti all’unica società che ha risposto alla procedura negoziata indetta dalla Regione per la fornitura di servizi promo-pubblicitari); e gli incarichi (la Bonafede è stata riciclata a Taormina Arte, come Beatrice Venezi, che nella stessa fondazione sta concludendo la gavetta di direttore artistico, prima di ambire al Massimo. Nel frattempo si esibisce al Politeama).

Sarebbe un peccato e un terribile spreco se si decidesse di utilizzare anche la nobile Federico II, presidio d’arte e di intelligenza, come mero strumento elettorale. Tanto che l’addio di Monterosso si materializza a ridosso delle Europee. Per il nuovo innesto, però, non sarà facile utilizzare la precedente ricetta, quella che ha consentito alla fondazione di automantenersi grazie alla biglietteria e al bookshop, e di reinvestire il fatturato in programmi culturali ambiziosi. Insomma, potrebbe non essere il luogo giusto per dinamiche affaristiche che mal si conciliano con l’amore per la cultura. Speriamo non lo diventi.