In una delle opere poetiche più toccanti di Jorge Luis Borges si allude alla “Cifra”. All’apparenza quel testo – leggero come una brezza di intelletto – racconta di ciò che, veramente, può ancora salvare una umanità disorientata e dispersa.

Ma davvero pochi versi possono rivoluzionare il destino di un mondo immerso nelle contraddizioni di se stesso? Sarebbe come affermare che un malato possa risollevarsi da una grave patologia grazie solo alle espressioni di conforto del medico. Impossibile – verrebbe da dire – se si affronta il problema solo dal punto di vista della scienza e facendo del caso clinico l’esempio applicabile per tutti.

In altre (e più semplici) parole, nel suo acquerello poetico Borges non vuole ergersi a chirurgo dell’umanità, ma a suo umile suggeritore.

Lui vuole dare una visione del mondo in cui la salvezza dell’individuo diventa strumento di consapevolezza collettiva.
Una coscienza del singolo che si trasforma in civiltà condivisa.

A ben guardare, la profondità di questa costruzione dei rapporti umani è tale che toccherebbe ogni ambito del vivere.
Anzi, in essa risiede lo stesso motivo della nostra esistenza in vita.

Perché veniamo al mondo per renderlo migliore di come l’abbiamo trovato e per dare ai nostri figli l’orgoglio di una Patria, ovvero l’identità di un luogo di genesi felice.

Lo smarrimento di questo valore (e con esso la perdita di ogni punto cardinale del nostro percorso umano) ci ha portato fino a qui.

Quello in cui ci dibattiamo è un labirinto fatto di alte ed invalicabili mura costruite sulla paura, sull’odio, sul sopruso, sulle finzioni sociali e sull’interesse economico.

L’esito di tutto ciò è solo l’infelicità che avvolge il quotidiano di ogni individuo.

La “Cifra” della nostra dimensione umana, invece, deve rivoluzionarsi aprendosi ad una diversa concezione del vivere collettivo.

Cominciando dal modo in cui l’altro è chiamato ad interagire come compagno di questo viaggio sconosciuto nel domani.
Uscendo dal labirinto che l’uomo stesso ha creato attorno a sé per effetto di ancestrale cannibalismo e avidità di potere.

Lo so, più di uno tra voi riterrà assai infantile questo modo di guardare alla realtà dei rapporti umani ed alla possibile cura dei mali.

Però è singolare che un piccolo bibliotecario di un sobborgo di Buenos Aires – stranamente chiamato Palermo – abbia saputo raccontare la sua Verità attraversando gli oceani.

Evidentemente nelle sue parole poetiche vi è qualcosa di rivoluzionariamente universale. E per questo dovremmo – tutti – ascoltarle…

“Un uomo che cura il suo giardino, come voleva Voltaire.
Colui che ringrazia che nel mondo ci sia la musica.
Colui che scopre con piacere un’etimologia.
Due impiegati che giocano una silenziosa partita a scacchi in un bar del sud.
Il ceramista che pensa ad un colore e ad una forma.
Il tipografo che compone bene una pagina, anche se non gli va.
Una donna ed un uomo che leggono le terzine finali di una certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che ha subito.
Chi preferisce siano gli altri ad avere ragione.

Queste persone, che noi ignoriamo, stanno salvando il mondo…”