Apertura, partecipazione, inclusione. Il nuovo Pd prende man mano forma. Da pochi giorni Davide Faraone è stato proclamato ufficialmente segretario del partito in Sicilia. La quiete dopo la tempesta. Ma alla tempesta provocata dal mancato svolgimento delle primarie, fa seguito anche una trattativa asfissiante per cercare di coinvolgere nel processo dell’araba fenice quel pezzo di partito che si è di fatto staccato, appellandosi ai ricorsi e rifugiandosi sull’Aventino. Lo stesso pezzo di partito che si riconosce in Teresa Piccione, e, prendendola un po’ larga, in Nicola Zingaretti, che sembra possedere tutte le carte in regola per diventarne il segretario nazionale. Possibile che la tregua, tanto auspicata in queste ore da Faraone, si traduca nella conferma di Giuseppe Lupo come capogruppo all’Ars. Ma per il momento non filtrano indicazioni nette. Quello che filtra, da una conversazione di politica con Faraone, è la sua voglia di rimettere in gioco il popolo del Pd, spesso emarginato dalle decisioni, sbagliate fra l’altro, assunte dal gruppo dirigente.

E’ stato un percorso congressuale accidentato. In questa fase, rischiano di prevalere gli strascichi della battaglia congressuale o siete già orientati alla costruzione del nuovo Pd?

“E’ stato un percorso azzoppato e non per colpa mia. Sin dall’inizio ho chiesto una competizione all’insegna del far play, ho chiesto che prevalesse la partecipazione, il voto libero, unico antidoto per rimotivare i nostri elettori. Avevo proposto anche una elezione aperta e libera dei segretari provinciali oltre che di quello regionale. Ho anche detto che avrei accettato tutte le regole che ci avessero sottoposto e ho anche proposto, per quella breve parentesi congressuale, una mia idea del Pd, alcuni punti programmatici. Purtroppo siamo per molti aspetti una organizzazione pachidermica, vecchia, lenta, che rischia di perire in una società mobile e rapida. Adesso credo si debba guardare avanti, con senso di responsabilità e costruendo le condizioni per un percorso unitario. Il nemico non è Davide, è Golia, un governo sovranista che sta picconando i pilastri della democrazia, della Costituzione e dell’Europa e sta affondando l’Italia e soprattutto il Mezzogiorno”.

Crede anche Lei, come ha detto Zingaretti, che la mancata celebrazione delle Primarie sia stata un’occasione persa?

“Assolutamente sì e mi dispiace tantissimo che sia finita così. Mi sarei esaltato, e penso anche i nostri elettori, vedendo file di gente pronte a votare per il futuro del Pd. Ho deciso di metterci la faccia proprio per salvare le Primarie, perché non le voleva nessuno. Se avessi detto sì alla proposta di indicare un mio prestanome come segretario in tanti avrebbero applaudito, ma quella non era la ricetta per un Pd in coma profondo, non era soprattutto un’operazione di unità. Perché l’unità è un valore e io ci credo e farò di tutto affinché si costruisca senza sotterfugi e inciuci, la spartizione dei gruppi dirigenti in una stanza è altra cosa, la malattia infantile di una politica che dobbiamo lasciarci alle spalle”.

Come si mette ordine all’interno di un partito che è reduce da anni di gestione confusa e da risultati elettorali modesti?

“Aprendolo, aprendolo, aprendolo. Andando oltre, chiedendo a donne e uomini, giovani e stranieri di darci una mano facendoli sentire a casa loro. C’è una comunità fuori da via Bentivegna che è molto più entusiasmante di una classe dirigente che spesso ha fatto il suo tempo e che deve dare la possibilità a chi vuole di entrare, scegliere, decidere, partecipare”.

Come si ritorna allo “spirito del 40%” (il risultato delle Europee 2014) che più volte ha invocato nelle ultime settimane?

“Recuperando il coraggio di quei giorni, parlando agli elettori che non si riconoscono nell’estremismo e nell’incompetenza, che sono stanchi dei selfie e chiedono meno tasse, più investimenti, una sicurezza che non leda i diritti delle persone, mettendo insieme chi, provenendo da tradizioni diverse, si riconosce nell’Europa delle opportunità e soprattutto nella democrazia e nella Costituzione”.

Faraone scende (decisamente) in campo. Non che non lo abbia fatto da parlamentare nazionale, ma quanto è stimolante per Lei occuparsi più da vicino di questioni siciliane?

“Non ho mai smesso un attimo di occuparmi della mia Sicilia, sono cresciuto facendo politica a Cruillas, San Lorenzo, Zen nell’ordine, poi all’università, ho battuto casa per casa della mia regione da dirigente nazionale del Pd e ancor di più da sottosegretario dei governi Renzi e Gentiloni. Basta visitare i miei social per verificarlo, non vi chiedo di credermi in parola. Ho commesso errori, ma non ho mai rifiutato il confronto, anche duro. L’ho fatto anche quando ho capito che il governo Crocetta non era in grado di dare alla Sicilia quella svolta che aveva promesso. Questa nostra terra andava messa sottosopra, ci ho scritto un libro, non ci siamo riusciti e sottosopra ci siamo finiti noi. Adesso dobbiamo far tesoro degli errori commessi e riconquistare la fiducia dei siciliani. So che possiamo farcela se riusciremo da opposizione a creare un’alternativa vera, seria, concreta e credibile. Questa è la sfida che abbiamo davanti e devo dire che mi appassiona”.

Sono ripartiti i congressi nei circoli e nelle federazioni provinciali? Entro quanto tempo l’assemblea potrà contare sui restanti 120 delegati? 

“Entro i primi mesi del prossimo anno. Ma vi devo dire che il problema che mi assale non è tanto questo, quanto se riusciranno a delineare una foto reale della società o replicheranno un partito distante dai cittadini. Non mi frega un tubo di avere un circolo in cui c’è un fantomatico dirigente che tiene in un cassetto un pacchetto di tessere a fa scappare chiunque voglia dare una mano”.

Ora che l’esperienza dei “padroni delle tessere” sembra al capolinea, come si porrà il Pd nei confronti degli elettori? Quali strumenti adotterà per riacquisire consenso?

“Ho in mente un Pd che rafforzi la partecipazione nelle forme tradizionali che conosciamo, e quindi più circoli nelle città, nei piccoli comuni, ma anche nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università, ma che sperimenti nello stesso tempo altre forme di partecipazione che avranno pari dignità rispetto a quelle tradizionali. Un esempio: partiremo con una piattaforma social che abbiamo chiamato “Proposta positiva”, uno spazio sul web che consentirà a tutti di partecipare, proporre, scegliere, decidere. E poi vogliamo capovolgere la piramide, davvero, e, se mi consente una battuta, uno che si chiama Faraone, lo può fare. La nostra organizzazione dovrà avere al centro il punto di vista dell’iscritto, del simpatizzante e non quello del dirigente. E soprattutto dovrà partire da una domanda: come faccio, a chi sceglie di avvicinarsi al Pd, a fargli vivere un’esperienza divertente e coinvolgente che lo faccia sentire utile? Ecco, credo che dobbiamo ripartire da questo”.

Nel suo discorso d’insediamento ha sottolineato il concetto di “emergenza democratica”. Non c’è il rischio che questa disciplina dell’antipopulismo – invocata da destra a sinistra – diventi una moda per “troppi”?

“Sì, siamo di fronte ad una emergenza democratica e quello che è successo prima di Natale in Senato, lo dimostra. Questo governo ha negato agli italiani e alle opposizioni di conoscere ed emendare l’atto più importante per un governo, la manovra economica, un provvedimento che danneggia il Sud e spacca l’Italia in due. Contro questo disegno di Lega e Cinque Stelle, che è quello di tagliare risorse nel mezzogiorno, farlo diventare casa di riposo e dell’assistenzialismo, mentre si dà il via all’autonomia rafforzata alle regioni del Nord, penso che noi dobbiamo reagire. Al di là delle etichette, populismo o antipopulismo, politica o antipolitica, credo che la sfida sia quella di far tornare di moda, visto che lei cita la moda, il Sud, i diritti, l’Europa, la solidarietà. Deve tornare di moda il rispetto della Costituzione e delle Istituzioni. Deve tornare di moda la politica. Ecco se riusciamo a costruire una rete di “venditori” di questi valori e principi fondanti in uno stato di diritto avremo fatto un favore non a noi, ma al Paese”.

Al di là del contrasto alle politiche gialloverdi, cosa prevede la proposta del Pd?

“Abbiamo due visioni economiche alternative. Abbiamo proposto una contro-manovra, avrebbe portato lo spread a livelli più normali, abbassato le tasse, dato fiato alle imprese e alle famiglie, e soprattutto non avrebbe causato una emorragia di posti di lavoro, così come sta succedendo con il decreto dignità, e avrebbe anche rilanciato gli investimenti e non avrebbe bloccato i cantieri e le infrastrutture già finanziate. Abbiamo due visioni antitetiche sui diritti civili, sulle politiche sociali, sul terzo settore, sulla sanità. Non avremmo mai tartassato lo straordinario mondo delle associazioni no profit, non avremmo mai pensato di toccare le pensioni, non ci sarebbe mai passato per la testa di fare da cassa di risonanza dei no vax. Abbiamo, infine, una visione di un’Italia che da Nord a Sud possa correre alla stessa velocità e di una Europa che va cambiata e non cancellata. Abbiamo un’idea di lavoro e di assistenza diversa da loro. Dobbiamo dimostrare che dopo questi pazzi non toccherà ai gilet gialli o alla troika, ma che può esistere un’alternativa politica seria e credibile”.