Nonostante il congelamento degli ordini subito dai brand italiani subito dopo il bimestre gennaio/febbraio 2020 e le difficoltà di approvvigionamento da parte delle industrie, il settore Moda, che andava a gonfie vele prima del lockdown, grazie anche alla digitalizzazione delle sfilate e la maggior possibilità di fruizione di esse da parte degli utenti, si riprenderà nel terzo semestre del 2021 per poi ritornare in auge nel 2022, come può emergere dalle stime di Confindustria Moda, presentate in questi giorni.

Le perdite registrate nel 2020 si attestano sul 26%, frutto di una analisi che considera un campione di oltre trecento aziende su tutto il territorio italiano. Nel complesso, nel 2020, la pandemia ha “bruciato” 25 miliardi di fatturato del settore tessile-moda-accessorio e ha determinato un calo generalizzato dell’export compreso tra il 24 e il 26 per cento, rispetto l’anno passato. Un duro colpo per gli addetti ai lavori, ma anche per tutta l’economia italiana, dato che la filiera della moda in Italia rappresenta l’8,5% del fatturato annuo (oltre 80 miliardi) e il 12,5% dell’occupazione (quasi 500 mila addetti) dell’industria manifatturiera italiana. Si stima, infatti, che il sistema di subfornitura italiano rifornisca il 60% della moda di qualità del mondo e che l’industria tessile italiana raggiunga il 77,8% del totale delle esportazioni europee.

Nonostante il settore sia indubbiamente uno dei più colpiti dalla crisi legata alla pandemia, secondo solo al settore ricettivo e del turismo, il saldo commerciale del fashion si attesta a 17,4 miliardi di euro, confermando il settore come il primo contributore alla bilancia commerciale del Paese fra le tre F (Fashion, Food, Forniture). Ora, dunque, con il piano di vaccinazione, la ripresa è possibile e tangibile ma bisogna proseguire senza perdere tempo perché, altrimenti, c’è il rischio che all’estero il prodotto italiano possa perdere appeal nel momento in cui i consumatori stranieri non sono più abituati a vederlo. Ma saranno proprio le competenze distintive locali e la qualità del Made in Italy a spingere le imprese a riportare la produzione (o parte di essa) in Italia, come è già avvenuto per brand come Prada, Benetton, Piquadro e Falconeri e a farci auspicare che la moda italiana, data sia dalle piccole che medie e grandi industrie, mantenga alto il nome che lo ha sempre contraddistinto.