La rappresentazione dell’incontro fra la Volo e i privati convenzionati, è l’immagine di una sanità sgualcita, frastornata, inerme. In cui la pretesa (della politica) di contenere la spesa, mal si concilia con l’esigenza di offrire ai siciliani un servizio alla portata di tutte le tasche. I laboratori analisi e gli ambulatori specialistici, che sembravano avere il coltello dalla parte del manico (garantiscono l’80 per cento delle prestazioni del sistema sanitario regionale), sono rimasti impigliati in un braccio di ferro che non promette nulla di buono. All’assessorato alla Sanità, presidiato da soli “tecnici”, forse non sanno fare bene i conti. E alla richiesta dei privati di garantire 60 milioni a copertura delle prestazioni fin qui erogate in extrabudget, si sono presentati con una proposta giudicata irricevibile: 11 milioni e non se ne parli più.

Macché. Il Cimest (Coordinamento Intersindacale di Medicina Specialistica ambulatoriale di territorio), che aveva sospeso lo sciopero in programma dal prossimo 31 marzo, ha gridato allo scandalo: “Davanti all’ostinata negazione del diritto alla cura dei siciliani che il governo regionale continua a mettere in atto – si legge in una nota – la specialistica accreditata esterna siciliana è costretta a confermare lo stato di agitazione e annunciare la sospensione dell’erogazione delle prestazioni in convenzione all’esaurimento del budget mensile di ogni struttura, vale a dire intorno al giorno 20 di ogni mese”. Significa che la trattativa non è mai partita davvero. E che le esternazioni del mese scorso, con quattro giorni di serrata e una manifestazione a Palermo per chiedere le dimissioni dell’assessore, non hanno smosso granché gli umori.

D’altronde Schifani l’aveva detto: “Non ci faremo intimidire dalle proteste di piazza”. Peccato che il governatore rifugga dalle questioni più serie e vada continuamente alla ricerca di qualche escamotage – dal caro voli alle autostrade, passando per la polemica coi dirigenti – per non occuparsi delle vergogne ataviche di questa terra. Un elenco a cui la sanità s’iscrive di diritto. L’assessore Volo, a differenza dei rappresentanti di categoria, non fa una grinza: “Abbiamo portato sul tavolo delle proposte che sono percorribili relativamente alle risorse che sono attualmente a nostra disposizione per il 2022 e per il 2023 – sostiene -. I sindacati ci hanno consegnato una controproposta che verificheremo nei prossimi giorni. Il tavolo è stato aggiornato e ci rivedremo tra otto giorni. L’incontro si è svolto in un clima di grande correttezza e siamo fiduciosi che una soluzione condivisa si possa trovare”. Fiduciosi, addirittura. Da questa nota emerge il divario insanabile fra due mondi che ascoltano frequenze e toccano interessi diversi. A tratti quasi inconciliabili.

Otto giorni difficilmente basteranno per ricucire. All’assessorato alla Salute, nel frattempo, potrebbe arrivare il nuovo dirigente alla Pianificazione strategica, che prenderà il posto di Mario La Rocca. I requisiti inseriti nel bando (rivolto agli ‘esterni’) portano dritti alla figura di Salvatore Iacolino, “l’uomo dei miracoli” cui spetterà l’ingrato compito di colmare le lacune sotto il profilo politico e amministrativo. E dare una scossa a un ambiente che Schifani, in campagna elettorale, aveva promesso di rendere agile e trasparente. L’obiettivo principale, cioè una maggiore sinergia coi privati, sembra fallito. Così, dopo aver ripetuto fino alla nausea, che “la nuova sanità dovrà guardare senza riserve al privato convenzionato, sia ospedaliero che diagnostico, nella consapevolezza che l’assistenza sanitaria costituisce una pubblica funzione al di là del soggetto che la eroga”, oggi il governatore si ritrova a difendere una sola posizione: “Dobbiamo potenziare il servizio sanitario regionale pubblico per non essere schiavi di nessuna protesta”. Regna la confusione, mista a un bel po’ di incoerenza. A farne le spese, come spesso accade, sono i siciliani. Che senza il raggiungimento di un accordo fra la politica e gli specialisti, dovranno dire addio alle cure ‘aggratis’.

Le prossime sofferenze potrebbero arrivare, però, anche dal pubblico. Dalle Asp in particolare, che in base alle ultime indicazioni fornite dall’assessorato, dovranno ritagliare i tetti di spesa del 25 per cento. Le prime rinunce riguardano il personale (i precari Covid, del settore tecnico, hanno già pagato un prezzo con la mancata proroga), col rischio reale di un taglio ai servizi. Senza l’ausilio del privato convenzionato, inoltre, le liste d’attesa s’allungheranno (alcuni Cup hanno esaurito l’agenda del 2023 per la prenotazione di alcuni esami specifici) e i Pronto soccorso saranno sempre più affollati. Le stesse Asp, in questo momento, sono rette da commissari straordinari che entro il 30 giugno dovranno essere rimpiazzati da direttori generali a seguito di regolare procedura pubblica. Tutto ciò per metterli al riparo dalle ingerenze della politica, che non mancheranno neppure stavolta. Il continuo ricambio dei manager, però, non depone a favore del buon funzionamento degli ingranaggi. Che già scricchiolano.

L’Asp di Palermo è diventata ormai “il simbolo dell’inefficienza operativa, del gattopardismo dirigenziale, del doppiogiochismo burocratico”, scriveva qualche giorno fa il direttore di Buttanissima, Giuseppe Sottile. Dal giugno dell’anno scorso, infatti, sul tavolo del commissario Daniela Faraoni “c’è un decreto dell’assessore che dispone il pagamento, alle strutture convenzionate, delle prestazioni erogate in extra budget nel 2021, l’anno funesto dell’emergenza Covid. Ma la dottoressa Faraoni non si decide a scucire i soldi. Prima diceva che l’Asp non aveva il personale necessario per definire i conteggi. Trovato il personale e fatti i conteggi ha sostenuto che bisognava aspettare la firma dei contratti. Firmati i contratti, continua lo stesso a non pagare”. Allungare un “regalino” ai privati, in questo periodo, potrebbe essere percepito come un segno di scarsa riconoscenza nei confronti delle battaglie del presidente della Regione, che coi privati è ai ferri corti? La risposta non arriverà mai, ma vista l’incertezza dei tempi, il dubbio è giusto porselo.

Fra l’altro, proprio l’Asp di Palermo nei giorni scorsi ha subito una strigliata da parte di Schifani per aver lasciato una bambina diabetica senza l’apparecchio per il controllo della glicemia (il caso, ovviamente, era finito sui giornali): “Mi auguro di non dover più leggere pubbliche denunzie di cittadini siciliani costretti a rivolgersi ai giornali per avere garantito il diritto alla salute – aveva detto Schifani -. Questo rimpallo di responsabilità lascia sconcertati, a maggior ragione se coinvolge piccoli pazienti. Desidero chiedere scusa alla mamma e alla famiglia e mi auguro che vicende come queste non abbiano più a verificarsi”.

E’ solo uno degli episodi che ogni giorno finisce nel calderone degli scandali irrisolti. La sanità è un settore della pubblica amministrazione che vale, da solo, 9 miliardi del bilancio regionale. Che fa gola a partiti e politici. Che è stato al centro di una battaglia campale nel corso della stagione di Nello Musumeci e che oggi, al netto delle frizioni politiche fra Schifani e Micciché, non risulta amministrato con la necessaria cura. Gli scioperi dei privati, uniti a quelli dei precari (altra questione gestita con superficialità), hanno incendiato i primi mesi di legislatura. Ma hanno portato a un solo risultato: la polarizzazione tra i due estremi. Da un lato ci si sforza di urlare per suscitare una reazione; dall’altro, con stucchevole nonchalance, ci si fa scivolare addosso tutto quanto. E il finale è sempre più mesto.