Il percorso intrapreso da Pd e Cinque Stelle dal giorno dell’insediamento del Conte-due, con la trasposizione, a Sala d’Ercole, dello spirito e del sentiment di un’alleanza nuova, forzata e persino un po’ innaturale, ha subito una dura battuta d’arresto dal giorno della frantumazione dei grillini. La fuoriuscita del gruppo di cinque deputati, sintomo di una “guerra fredda” che covava da tempo, ha regalato al governo Musumeci un po’ di respiro e la certezza, in aula, di essere ancora maggioranza. Non ha interrotto, però il cammino di Santiago dei due partiti: difficile, lungo, sconnesso. Ma certamente complice. Il Pd e i Cinque Stelle siciliani sono stati fra i primi a sperimentare un’alleanza “reale” per le Amministrative dello scorso anno, quando sono riusciti a far eleggere insieme il sindaco di Termini Imerese, Maria Terranova. E al di là della prudenza (quanto mai necessaria) appare scontato che l’esperienza all’opposizione converga in un progetto comune per far fuori – politicamente – Musumeci. Rimane sullo sfondo un dubbio enorme: che faranno i renziani? Nell’Isola, comunque, hanno mostrato un certo iperattivismo e negli ultimi tempi sono passati all’incasso, specie a Palermo, conquistando lo scranno più alto del Consiglio comunale, e accompagnando – alle loro condizioni – Leoluca Orlando verso la pensione. Ecco gli scenari.

MOVIMENTO 5 STELLE – Il Movimento, in generale, non gode di buona salute e i riverberi del malpancismo sono giunti fino a Palermo. L’ammaccatura di un anno e mezzo fa, quando cinque “ribelli” sono migrati altrove, sembrava riassorbita. Ma a vacillare, dopo la fine del Conte-bis e l’avvento di Draghi, sono i rapporti con la Capitale. Fino ai giorni immediatamente precedenti all’insediamento del nuovo governo, i grillini siculi “suggerivano” ai colleghi di non accordare la fiducia. Tuttora, la nostalgia per l’avvocato del popolo prevale su qualsiasi forma di realpolitik; si scontra sull’odio seriale – in senso figurato, va da sé – verso il purpurrì con Lega e Forza Italia. Solo l’ipotesi di insignire Giuseppi del ruolo di capo politico sembra averli ammorbiditi. Nel frattempo, però, il M5s siciliano ha perso alcuni elementi di valore: dall’europarlamentare Ignazio Corrao, approdato ai Verdi, passando per Giorgio Trizzino, fresco di adesione al gruppo misto della Camera dei Deputati; senza dimenticare Alessio Villarosa, ex sottosegretario all’Economia, fatto fuori per essersi astenuto sulla fiducia al nuovo esecutivo. Mentre a Palermo alcuni esponenti di calibro, fra cui Giampiero Trizzino, hanno ingoiato il rospo e vanno avanti. Anche i rapporti con Cancelleri, che per un attimo sembravano vacillare, sono tornati saldi. Restano due incertezze: quanto vale il Movimento in Sicilia (difficilmente il 48% come nel 2018) e come procederà l’alleanza col Pd. Dalle Amministrative erano giunte discrete indicazioni, ma di quella alleanza – adesso – non resta che “una base su cui lavorare” (parola del capogruppo Giovanni Di Caro).

PARTITO DEMOCRATICO – C’è grande curiosità attorno al destino del Pd, e al riequilibrio delle forze e delle correnti al suo interno, dopo l’avvicendamento romano fra Zingaretti e Letta. L’unico contraccolpo serio per il partito siciliano – al momento – è l’esclusione di Peppe Provenzano dai quadri di governo, che aveva garantito un filo diretto con l’Isola e l’opportunità, per i dirigenti di partito, di appuntarsi qualche spilletta al petto. Il “compagno di Milena”, adesso, è stato richiamato in servizio nella segreteria di Letta, e la Sicilia ha ripreso coscienza della sua marginalità. Le battaglie di principio su alcune questioni, a partire dalla parità di genere, ha messo in difficoltà Musumeci e il suo governo. Il lavoro dell’opposizione a Sala d’Ercole funziona. Ma i circoli hanno chiuso, la classe dirigente si è sgonfiata e il tributo da pagare all’esperienza di governo di Crocetta è ancora altissimo. Resta l’idea del “campo largo” che il segretario regionale Anthony Barbagallo ha fatto propria sin dall’insediamento dell’estate scorsa. Ha detto bene, però, l’ex parlamentare della Dc, Calogero Pumilia, in un suo intervento sul nostro giornale: “Proprio perché è un partito di sinistra, non può vivere se non produce politica, se non alimenta aspettative, non incarna valori, non riesce a essere interprete e portavoce della profondissima crisi e della crescente marginalità della Sicilia all’interno di un Mezzogiorno da tempo scomparso dall’agenda nazionale. Il Pd, per uscire dal letargo nel quale si trova, per essere visibile e competitivo, dovrebbe diventare del tutto altro da quello che è in Sicilia”.

GLI ALTRI – Nella realtà composita della politica siciliana, una menzione a parte meritano i renziani, che a Palermo hanno costruito il loro feudo felice. A casa di Faraone, è stato cooptato il presidente del Consiglio comunale Totò Orlando, dopo la nomina di un nuovo assessore in quota IV (Toni Costumati). Mentre il gruppo di Italia Viva è il più numeroso a Sala delle Lapidi. Un’attività frenetica che ha messo in discussione l’amministrazione dell’altro Orlando, Leoluca, ma allo stesso tempo gli ha allungato la vita sino a fine legislatura. Quando i renziani saranno finalmente liberi di muoversi e stringere accordi al centro per prendersi le chiavi delle città (con Francesco Scoma?). Ma se a Palermo, inteso come Comune, il quadro è abbastanza chiaro, sulle sorti dei cinque deputati all’Ars resta il mistero: D’Agostino e Tamajo, ex di Sicilia Futura, hanno contrattato con l’Udc e con Musumeci la promozione di Daniela Baglieri ad assessore ai Rifiuti. E guardano apertamente verso destra. Gli altri – Sammartino, Cafeo e Laccoto (tutti usciti dal Pd) – sono guardinghi.

Gli ex grillini di Attiva Sicilia, negli ultimi giorni, hanno perso pezzi: la presidente del progetto civico, Valentina Palmeri, ha sposato la causa dei Verdi. Gli altri potrebbero trovare spazio, secondo indiscrezioni, nelle liste di Diventerà Bellissima. Chi resta, orgogliosamente e comunque, dall’altra parte della barricata è Claudio Fava, che alle ultime Amministrative coi suoi Cento Passi ha ben figurato. Potrebbe essere il presidente della commissione regionale Antimafia il prossimo candidato per Palazzo d’Orleans: stavolta, però, alla guida del centrosinistra unito.