Due indizi fanno una prova. Ieri, in un’intervista a ‘La Sicilia’, il commissario regionale di Forza Italia, Gianfranco Micciché, si è lasciato andare a una frase che va oltre una semplice riflessione. E’ quasi una confidenza: “Musumeci ricandidato? Dal suo atteggiamento mi sembra che non lo voglia più fare”. E allora, riavvolgiamo il nastro: 20 novembre 2020, il presidente dell’Ars parla a Buttanissima. Alla classica domanda – cioè se Musumeci possa essere di nuovo il candidato del centrodestra – ecco la risposta: “In questo momento si sta facendo di tutto, con impegno e in maniera scientifica, per evitare che lo sia”. Quella, però, non è una confidenza. E’ un giudizio di merito sull’operato del presidente, reo di aver creato un governo sempre più “Catania-centrico”. Di questi indizi, seminati qua e là in tre anni e mezzo di legislatura, ce ne sarebbero una marea. E gli appunti di Micciché su alcuni degli assessori in carica (i forzisti Falcone e Armao) rischiano di aprire una bella crepa nei rapporti di fiducia fra i maggiorenti della maggioranza.

Ma più che curarsi di chi, al momento, non pare pronto a sostenerlo (la lista è lunghissima), Musumeci dovrebbe preoccuparsi di chi, in questi mesi, l’ha lasciato solo. Cioè i Dioscuri del presidente: l’assessore all’Economia, Gaetano Armao, e quello alla Salute, Ruggero Razza. Su di loro aveva riposto una fiducia sconfinata, ed ecco il risultato: il primo, sconfitto materialmente lungo il tragitto della Finanziaria, con la sua rubrica fatta a pezzi dai franchi tiratori; il secondo, affondato dalle carte dell’inchiesta della Procura di Trapani, e da quelle intercettazioni più leggere che maligne. Uno scossone in piena regola che, nell’arco di una dozzina di giorni, ha fatto precipitare Musumeci nella polvere. Assediato da “iene e sciacalli” (per usare un paragone caro al governatore) e da una grossa fetta di siciliani che, alla luce di questa insopportabile pandemia, delle file interminabili per i vaccini, della confusione aberrante dei dati, ha perso ogni fiducia nell’istituzione regionale.

Musumeci continua a ripetere che il suo è un governo di persone perbene, ma il cattivo esempio (dei dipartimenti, dei funzionari eccetera) finirà per lasciare strascichi inevitabili su questa esperienza di governo. Partita con legittime ambizioni, forse anche troppe, e tramortita dall’incapacità di tenere a freno la lingua – “spalmiamo un poco i morti” è un’espressione dannosissima – e di far quadrare i conti dei decessi, dei tamponi, dei ristori. In questa maledetta legislatura non c’è altro modo di misurare il consenso se non coi parametri del virus: e questi mesi hanno affamato i siciliani, ridotto sul lastrico le imprese, visto morire gente. E’ un handicap difficilissimo da superare, e a parte rare eccezioni (Musumeci non è tra quelle), chi ha governato rischia di dover pagare un conto salatissimo. Inoltre, il presidente della Regione ha deciso di lasciar correre, di non bruciare un altro assessore alla Sanità, almeno finché l’inchiesta (trasferita a Palermo) non sarà in grado di riabilitare Ruggero Razza. Non importa quanto ci vorrà. E sebbene all’ex assessore vada rivolto un augurio comune di uscirne pulito, sul piano elettorale – sebbene il colonnello Nello ribadisca che “il consenso non ci interessa” – è una partita già persa.

Dopo aver perso Razza (che si è dimesso, responsabilmente), Musumeci ha visto l’altro scudiero, Gaetano Armao, schiantarsi contro il muro della Legge Finanziaria. Se la scorsa era di cartone – talmente immensa nei numeri, da rivelarsi mirabolante – questa è parsa di gomma, impenetrabile. Una tale sequenza di norme affondate, molte delle quali volute dal vicepresidente della Regione, non si era mai vista. L’aula, di soppiatto, ha organizzato una rivolta contro quest’assessore che – per usare un’espressione di Danilo Lo Giudice (gruppo Misto) – si è dimostrato “irrispettoso del ruolo dei parlamentari e del parlamento”. Armao voleva ridurre le pensioni dei regionali, e non ce l’ha fatta. Voleva attivare una convenzione con la BEI per 1,5 milioni di euro: bocciato. Voleva controllare i conti delle società partecipate con professionisti esterni: macché. Ha tentato di reintrodurre le agevolazioni fiscali per chi torna in Sicilia dall’estero: neanche per idea. Voleva affidare all’Irfis l’assistenza tecnica: ciaone. I pilastri della manovra si sono sgretolati. E Musumeci ha dichiarato chiusa la partita prima ancora che l’arbitro fischiasse la fine, onde evitare altre imbarcate.

Non solo: caso più unico che raro, la giunta è stata costretta a ritirare in autotutela il rendiconto 2019, prima della parifica della Corte dei Conti, per aver scoperto un buco da 319 milioni imputabile a ‘residui attivi’ mai cancellati. Il fatto increscioso ha costretto Musumeci a nominare una specie di commissione di tre ispettori, del cui lavoro – però – non si hanno notizie. Ad oggi, l’ultimo bilancio parificato è quello di tre anni, e dalla prossima udienza della magistratura contabile potrebbe venir fuori un altro disavanzo (che comporterebbe il congelamento di altra spesa). Un cappio al collo per la Sicilia, che non riesce a liberarsi di alcuni peccati capitali risalenti agli ultimi vent’anni di “allegra gestione” (cit.) . Armao ha passato in giunta sette degli ultimi dodici anni, buona parte di questi al Bilancio. Eppure, eccolo lì. Anche lui, come Musumeci, a dare le colpe ai suoi predecessori. Anche lui, come il presidente, a collezionare sconfitte e insuccessi, che rispetto ai guai della sanità hanno solo qualche vetrina in meno. Ma non possono passare inosservati.

Mentre Razza attende in panchina il suo turno, Armao ha già annunciato in un’intervista che la prossima volta non ci sarà. Né al governo né all’Ars. Si dedicherà ad altro. Dopo aver creato frizioni dentro Forza Italia (“Gli altri non lo vogliono perché è arrivato lì gratis, senza cercarsi un voto”, ha detto Micciché), ha però tirato la volata al suo presidente: “Musumeci dev’essere confermato, altrimenti sarebbe una dichiarazione di fallimento”. Già, ma come? Chi sarà a trainare il colonnello Nello verso una riconferma a Palazzo d’Orleans? Il rapporto con Forza Italia sembra di nuovo infreddolito; quello con gli altri alleati non è mai sbocciato. “Ora tutti sono convinti della impossibilità di un secondo mandato”, diceva un big di Fratelli d’Italia, coperto dall’anonimato, all’indomani della bufera giudiziaria di Trapani. E anche la Lega, con cui Razza e Musumeci hanno flirtato a lungo, ha deciso di sfondare al centro, alleandosi con gli Autonomisti. Nel tentativo (ambizioso, ma fin qui riuscito) di dar vita al nuovo contenitore moderato del centrodestra siciliano. Per non parlare della scheggia impazzita di De Luca, sempre sferzante nei confronti del governatore.

Diventerà Bellissima, per il momento, è rimasto il corpo estraneo di uno schieramento che fa acqua da tutte le parti. Che viene surclassato in aula con il voto segreto. Che non si siede attorno a un tavolo da tempo immemore. “E’ necessaria una riunione di maggioranza e sarò io stesso a convocarla – ha detto Micciché nella sua intervista a ‘La Sicilia’ – perché se qualcuno pensa che a un anno e mezzo dalle elezioni possiamo dare questo spettacolo si sbaglia. Così non si può andare avanti. Ci vuole più capacità, ma prima ancora più disponibilità, di ascolto da parte del governo regionale e del presidente Musumeci”. Sarà anche vero che Musumeci non vuole più fare il presidente. Ma è altrettanto vero che – abbandonato dai suoi compagni di viaggio prediletti – nessuno abbia così tanta voglia di concedergli una seconda chance. Claudio Fava lo descrive così: “Musumeci è Macbeth alla vigilia dell’ultima battaglia, ormai ossessionato dai suoi fantasmi. E questa è una cosa che prevale sul lato politico – dice il presidente dell’Antimafia a Live Sicilia – un uomo ammalato di solitudine e paranoia, che chiama gli avversari politici ‘sciacalli’ con questo richiamo alla prosa littoria. Sta diventando una parodia, diverso da come lo ricordavo. Se lasciasse sarebbe un bene per lui, lo dico con affetto”.