Se le parole hanno un senso e, dunque, se quello che è accaduto rivela “approssimazione, sciatteria e inadeguatezza” da parte del ministro Lamorgese, se il ministro non ha capito” ed ”è grave” o se invece “ha capito e tollerato” ed ”è ancora più grave”, se “si è permesso a quel cretino che non può andare neanche allo stadio” (guai a pronunciare la parola fascista, ndr) “di stare a piazza del Popolo”, se è inadeguato anche l’intervento in Aula del ministro, “scritto da solerti funzionari” ma senza un minimo di assunzione di “responsabilità politiche”, se c’è un clima di doppia morale per cui “se ci fossi stato al Viminale” la sinistra si sarebbe indignata (e onestamente questo è vero, ndr), se, gran finale, neanche in Cile a urne aperte “si usano gli idranti contro la folla urne aperte”, se tutto questo è vero, la logica conseguenza del ragionamento porterebbe alla richiesta di dimissioni o quantomeno a un atto politico conseguente. Il Cile è Cile, se è tale, è parola che implica delle conseguenze immediate da trarne, a meno che il titolare dell’invettiva non ne subisca il sinistro fascino, sentendosi a casa, ma questo smentirebbe la critica. E invece Matteo Salvini conclude il suo intervento con un polemico, ma altrettanto innocuo: “Buon lavoro, signor ministro, se fa il ministro perché per ora non ce ne siamo ancora accorti”. Continua sull’Huffington Post