Da un lato gli sbarchi che con Salvini son diminuiti – è la solita tiritera – dall’altro il lavoro della magistratura che è notevolmente aumentato. La politica dei porti chiusi – solo per le Ong, dato che i barchini di disperati continuano a catapultarsi sull’isola di Lampedusa – ha prodotto già un’inchiesta multipla a carico del Ministro, terminata con il pronunciamento del Senato che ha negato al Tribunale dei Ministri di Catania l’autorizzazione a procedere contro il leader della Lega, accusato di sequestro di persona aggravato per il caso Diciotti. Ma dietro l’angolo si nascondono nuove insidie: Salvini, infatti, potrebbe finire nuovamente nel mirino dei giudici competenti, qualora la procura distrettuale di Catania, diretta però da Carmelo Zuccaro (tra un attimo vi sveleremo i motivi di quel “però”) dovesse decidere che esistono gli estremi per metterlo sotto inchiesta. Con la stessa accusa di qualche mese addietro.

L’ultimo caso, in ordine di tempo, riguarda i migranti salvati in mare della Sea Watch 3, la nave olandese che nell’ultima decade di gennaio aveva prelevato 47 disperati sulle coste libiche e li aveva condotti e fatti sbarcare – dopo alcuni giorni trascorsi in rada a Siracusa – al porto di Catania. Lo stesso dove i 177 migranti della Diciotti, a fine agosto, erano stati trattenuti a bordo malgrado il governo italiano avesse concesso al comandante Massimo Kothmeir di attraccare. I casi sono simili, ma per capire come Salvini e le politiche migratorie del governo gialloverde abbiano ingolfato la magistratura e “tenuto in ostaggio” la politica italiana, occorre fare un passo indietro

AQUARIUS E IL CARICO DIRETTO IN SPAGNA

Giugno 2018. A una manciata di giorni dall’insediamento del governo Conte, scoppia il caso Aquarius, la nave con a bordo 629 migranti che Salvini, inscenando il primo atto muscolare della sua politica a protezione delle frontiere, decide di respingere. “I porti in Italia sono chiusi” spiega il capo del Viminale, che si prende del “fascista” dall’ong tedesca Lifeline, ma riesce nell’intento: spedire i disperati a Valencia, in Spagna, dopo giorni di stenti in mare. “Non siamo più gli zerbini d’Europa” spiegherà Salvini in un’intervista. Il salvataggio dei profughi avviene, comunque, attraverso il prezioso contributo due imbarcazioni italiane, entrambe della Guardia Costiera: si tratta di Dattilo e Orione, che li scortano fino alle coste spagnole.

FERRAGOSTO DI FUOCO: ARRIVA LA DICIOTTI

L’episodio che riguarda Aquarius non è nulla rispetto all’estate di passione che attende Matteo Salvini. Tra pescherecci e mercantili che vengono tenuti volontariamente al largo delle coste italiane – c’è un’immagine di turisti in spiaggia a Pozzallo che cozza con la Alexander Maersk, carica di profughi, a cui è impedito di avvicinarsi a terra – il Ministro dichiara guerra alle Ong e fa di tutto, usando i social, per intimorirli. Finché la “bomba” non gli esplode fra le mani. Nella notte fra il 14 e 15 agosto l’italiana Diciotti interviene in acque maltesi dopo che il governo di quel Paese decide di non soccorrere i 190 migranti a bordo di peschereccio di fortuna. Alcuni vengono portati in ospedale a Lampedusa, per gli altri 177 comincia la seconda parte del viaggio della speranza. Che li conduce dritti alle coste siciliane: è al porto di Catania che Diciotti giunge la sera del 20 agosto, mezz’ora dopo le undici. A bordo povere anime stremate, fuggite dai campi di prigionia libici e spinti dai soliti approfittatori (alias “trafficanti di essere umani”) sulla rotta più facile, quella italica. Salvini si impunta: concede l’attracco (attraverso il ministro competente, Toninelli) ma impedisce a chiunque di lasciare la nave. Può salire soltanto il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, che da quel momento (è il 22 agosto) entra di diritto nella “black” list del Capo del Viminale.

PATRONAGGIO E L’INCHIESTA PER SEQUESTRO DI PERSONA

Dopo aver appurato che a bordo le condizioni sono disumane e aver definito “illecito” il trattamento subito dai migranti, Patronaggio lascia passare qualche giorno – l’UE si accorda sulla ripartizione dei migranti, che il 25 agosto possono abbracciare madre terra – e poi lo iscrive nel registro degli indagati. L’accusa è sequestro aggravato di persona. E’ il 7 settembre che il leader del Carroccio spacchetta la busta in diretta Facebook e la esibisce come trofeo. Il pm di Agrigento, per una questione di competenze, trasmette il fascicolo alla procura di Palermo prima e a quella di Catania poi. Ma Carmelo Zuccaro, nemico giurato delle Ong ormai da tempo immemore (anche se non è questo il caso di una Ong), chiede l’archiviazione per il Ministro, che in quanto tale – però – dovrà essere giudicato da un collegio di “esperti”: quello del Tribunale dei Ministri di Catania. Entro 90 giorni. Il verdetto fa rumore: Matteo Salvini va processato. Ma occorre l’autorizzazione a procedere del Senato della Repubblica, la Camera in cui esercita il suo ruolo di parlamentare. La questione rischia di far saltare il tappo al governo, così il Movimento 5 Stelle, dopo un lungo discutere che si consuma fra web e palazzi, decide di “assolvere” Salvini, votando contro l’autorizzazione e salvando il Ministro da un processo che sarebbe potuto costargli dai 3 ai 15 anni di detenzione. “Non lascerò mai morire nessuno in mare – ha detto Salvini dopo il verdetto -. E non ho mai pensato di intervenire per sequestro di persona. Per andare a processo dovrei dire una bugia. Ma io ho agito nell’interesse della nazione e dei miei figli”. Altra tiritera.

GENNAIO, ANCHE LA SEA WATCH RIMANE IN APNEA

Prima che Rousseau, la giunta per le immunità e il Senato si pronunciassero a favore del Ministro, qualcos’altro in Italia era successo. Bisogna riavvolgere i nastri fino allo scorso gennaio, quando la nave di una Ong olandese, la Sea Watch 3, soccorreva 47 migranti (fra cui 15 minori non accompagnati) in acque libiche. E vira dritta sull’Italia. Nasce una nuova, l’ennesima pantomima. L’imbarcazione rimane dodici lunghissimi giorni al largo di Siracusa, in attesa che qualcuno decida di indicare un porto sicuro a quei poveri scappati di casa e all’equipaggio. Salvini, come al solito, non vuole saperne. Alcuni parlamentari italiani, disobbedendo a un esplicito divieto, riescono a salire a bordo della Sea Watch (fra di loro c’è Stefania Prestigiacomo, forzista), e denunciano le condizioni in cui versano i migranti. Mentre a terra sorgono sit-in e capannelli per invocare la loro liberazione.

L’INDAGINE DELLA PROCURA DI ROMA

Il 31 gennaio viene concessa l’autorizzazione allo sbarco, il 2 febbraio il procuratore Zuccaro apre un’inchiesta “inversa”, per valutare se nell’operato della Ong ci fosse qualcosa d’illecito, il sospetto di un favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Conclude che no: non c’è nulla di tutto questo. Mentre la Capitaneria di Porto procede a una ispezione. Ma chi ha impedito lo sbarco immediato alla Sea Watch? Sollecitato da un esposto dell’associazione Borderline, in cui si chiede di indagare per omissione in atti d’ufficio, un nuovo magistrato irrompe sulla scena: si tratta di Sergio Colaiocco, della procura di Roma. Il quale ha ritenuto che nei confronti dei profughi della Sea Watch ci sia stata una limitazione della libertà personale, al pari degli occupanti della Diciotti. E ha aperto un’inchiesta “contro ignoti”.

A DECIDERE E’ IL SOLITO ZUCCARO

Gli atti, un paio di giorni fa, finiscono a Siracusa. Ma nel solito rimpallo di responsabilità e competenze territoriali, secondo il procuratore reggente Fabio Scavone spetta alla Procura distrettuale del capoluogo etneo valutare se esistono profili penali di competenza del Tribunale dei ministri. Quindi le carte tornano a Catania, a quel Carmelo Zuccaro che nel caso della Diciotti aveva chiesto al Gip di archiviare la posizione di Salvini. Prima gli toccherà capire se esiste l’ipotesi di reato profilata a Roma, ed eventualmente a chi contestarla. Poi potrebbe orientarsi nella medesima direzione di qualche mese fa: chiedere al Gip l’archiviazione (o viceversa, di perseguire l’autore del reato). Se dovesse andarci di mezzo un esponente del governo (lasciamo a voi immaginare chi), Zuccaro finirebbe col rivolgersi al Tribunale dei Ministri, riaprendo il balletto (con annessa una potenziale crisi di governo e di coscienza) con il Senato.

IL (DIS)SEQUESTRO DELLA MARE JONIO

Nel frattempo, fatto non secondario, un’altra nave di una Ong è stata sequestrata a Lampedusa. Trattasi di Mare Jonio, battente bandiera italianissima (e il vessillo di Palermo). Aveva soccorso dei migranti fuggiti dalla Libia e, costretta da un ciclone mediterraneo e infischiandosene del diktat della Finanza, aveva puntato dritta su Lampedusa per lasciarli sbarcare. Salvini ha invocato il carcere per i registi dell’operazione – la Ong Mediterranea ha acquistato il vecchio rimorchiatore dopo aver ottenuto una fidejussione bancaria da alcuni parlamentari di sinistra fra cui Nichi Vendola e Nicola Fratoianni – ma Patronaggio, che stavolta ha preso a indagare sul reato di “favoreggiamento all’immigrazione clandestina”, non ha ancora fatto luce. La nave dopo un lungo fermo è stata dissequestrata. Ed è rientrata nelle disponibilità della Ong di Casarini, un ex irriducibile di sinistra, rappresentante dei centri sociali. Che ha promesso: “Noi non ci fermiamo, salveremo altre vite”. Con la buona pace del fegato di Salvini e di una magistratura siciliana rimasta impantanata nella politica dei “porti chiusi”.