E’ come quando per il Festival di Sanremo (anzi festivàl con l’accento alla francese, come deliziosamente piaceva a Mike) annunciano che la superospite della serata sarà Alessandra Amoroso. Capirai! Qui alla Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – nella vulgata: Mostra del Cinema – scelgono come madrina un’altra Alessandra, la Mastronardi. Aricapirai! Quella dei «Cesaroni» e di tante altre fiction, piazzata dalla potentissima agenzia che ne rappresenta immagine e interessi perfino in un film di Woody Allen, assolutamente secondario il fatto che fosse il più brutto che il regista abbia girato nel corso dei suoi 83 anni («To Rome with love») e uno dei più brutti nella storia più che centenaria della Settima Arte, dalla locomotiva dei Lumière ad oggi, fidanzata con fascinoso divo americano, of course. Anche in un ruolo così, di bambolesco se pur scintillante accessoriato, non si passa certo indenni: e dunque tutti a criticare gli occhiettini, le mossettine, i sorrisini, le inflessioncine della madrina di turno, il suo discorsetto sulla prima volta di mamma e papà (come spettatori al cinema, ovvio), la magia irreplicabile dello schermo (irreplicabile, proprio il cinema…).

Il fatto è che questi festival o mostre che dir si voglia sono diventati da tempo un baraccone (qualcuno dice anche una baraccopoli vista la facilità con cui il pomello del rubinetto viene via perfino nel più titolato dei 5 stelle extralusso o considerato l’ammasso con cui sono stipati ormai, nelle case in affitto, con i giornali in crisi, gli inviati). Non fosse stato per il fremito di sdegno femminista spalmato nelle dichiarazioni della presidentessa della giuria, la regista argentina Lucrecia Martel, contro lo “stupratore” Roman Polanski in gara con un suo film, ci sarebbero rimasti il vestito Jeeg Robot/giubotto salvagente da dimostrazione predecollo di Catherine Deneuve, la rete da pesca nella quale avevano da poco issato a riva Juliette Binoche e perfino il voile animalier di Daniela Santanché nelle nuove acconciature troneggianti di chignon bruni manco fossero profiteroles. Comunque, l’artista sudamericana, che ha restituito un senso alla parola politica in tempi di antipolitica, ha giurato che guarderà il film senza pregiudizi. Risate in sala.

Un altro bel colpo di scena “politico” potrebbe arrivare da Palermo se solo Franco Maresco, altro gareggiante per il Leone d’oro come Polanski, replicasse l’assenza dello scorso anno, quando però non era in competizione. Chissà, più che l’assenza tout court potrebbe essere più accattivante una temporanea diserzione dal Lido, potrebbe per esempio farsi fotografare, buste della spesa cascanti dalle braccia come un’accreditata iconografia da intellettuale disorganico ormai vuole, mentre compra granseole al mercato di Rialto. Chissà, Maresco non è tipo che lesina sorprese. Cosìcché anche lui potrebbe farci dimenticare la visione della Sandrocchia Milo – ormai opinion woman nei pomeriggi da pensionato di Rai1 con Pierluigi Diaco – che in Laguna mostra fiera ai cineoperatori l’anello di fidanzamento regalatole dal suo toyboy (boy si fa per dire) quarantanovenne. Attorniata dall’ormai insostituibile drappello di sosia, supertruccate e superagghindate come lei che se un po’ gli addetti si confondono caricano sul fercolo per il Palazzo del Cinema una Milo falsa al posto di quella vera.

Cosa volete farci? E’ il cinema, gente. O meglio, più che il cinema è quello che gli gira intorno. E’ un ministro dei Beni culturali, Bonisoli, in smoking forse all’ultimo giorno di ministero, ma vuoi farti scappare un’occasione così, vuoi che uno il red carpet non lo acciuffi anche fosse l’ultimo metro che gli stanno tirando via da sotto le suole?

Per il cinema, quello vero, per la magia (irreplicabile, sic) dello schermo bianco, mica bisogna per forza andare a Venezia, pregasi ripassare vicino casa, 7 euro e spicci, 4 o 5 nei pomeriggi infrasettimanali, 10 per il 3D.