I 23 milioni di euro assegnati all’Esa, l’Ente di sviluppo agricolo, per la realizzazione di alcuni progetti in cui risulta partner o capofila; i 374 milioni riscossi nell’Isola grazie all’impegno di Riscossione Sicilia; la nomina del nuovo presidente di Airgest, la società di gestione a partecipazione regionale (per oltre il 99%) che gestisce lo scalo morente di Birgi. Sembrano notizie grandiose, ma rischiano di rivelarsi un abbaglio di mezza estate. Il brodino somministrato ai carrozzoni regionali prossimi a sparire. E che il governo Musumeci, per bocca del suo leader, pensava in buona parte di cancellare.

Ve la ricordate Riscossione Sicilia? Da qualche tempo a questa parte – come per ogni malefatta su cui il governicchio preferisce non mettere la faccia – ne parla solo il Movimento 5 Stelle. Nel corso di una infuocata seduta della commissione Bilancio dello scorso giugno, il deputato grillino Luigi Sunseri aveva specificato che “da Roma ci dicono chiaro e tondo che, sia nel caso in cui si pensi a un nuovo ente regionale sia nel caso in cui si cerchi l’incorporazione con l’Agenzia delle entrate, la costruzione di un nuovo sistema di riscossione deve avvenire necessariamente attraverso l’interlocuzione con lo Stato”. Il punto è che Riscossione così com’è non può rimanere. Si trascina sul groppone una montagna debitoria pari (circa) a 400 milioni di euro, per buona parte nei confronti del Monte dei Paschi di Siena e della Regione stessa. E perdite stimabili in 34 milioni. Solo stimabili, perché l’ultimo bilancio redatto dalla partecipata guidata da Vito Branca, un avvocato tributarista e uomo di fiducia di Musumeci, risale al 2016 (la sua nomina è, però, del 2018). Nell’ultimo biennio non c’è traccia della gestione economica della partecipata.

Eppure lo stesso Branca non ha lesinato complimenti ai suoi 700 dipendenti, che nel 2018 hanno portato a casa un primato invidiabile: aver riscosso il 68,9% dei contributi spettanti all’Agenzia delle Entrate. “Non può che essere condiviso – ha spiegato il presidente di Riscossione – l’impegno in tal senso profuso dall’ente, essendo obiettivo primario di Riscossione Sicilia S.p.A. quello mirato ad ottimizzare l’attività di riscossione sia spontanea che coattiva. A tal proposito, va sottolineata l’attività della società e del personale tutto che hanno notevolmente contribuito al raggiungimento degli obiettivi dichiarati dall’Agenzia delle Entrate. Grazie all’impegno profuso da Riscossione Sicilia S.p.A., nell’anno 2018, sono state conseguite riscossioni su carichi iscritti a ruolo dall’Agenzia delle Entrate per un totale di 374 milioni. Si tratta – conclude Branca – di un risultato assolutamente significativo, tenendo conto di quanto dichiarato dall’Ente che ha comunicato un riscosso, nel medesimo anno, pari a 543 milioni con una contribuzione di Riscossione Sicilia S.p.A. pari al 68,9%”.

Non dice nulla Branca a proposito dei problemi atavici di Riscossione. Con la complicità della Regione. Nel silenzio condiviso, restano al vaglio un paio di ipotesi: 1) la liquidazione; 2) la scissione in bad and good company, per permetterle di sopravvivere come è avvenuto – facendo le debite proporzioni – ad Alitalia. In questo modo – ma è la Regione che deve decidere modi e tappe – si potrebbero “far confluire personale e attività all’Agenzia delle entrate, che gestisce il servizio di riscossione in modo più efficace, più efficiente e più organizzato”, come sostengono i sindacati. Un’ipotesi di fusione che piace anche ai grillini e sarebbe preferibile rispetto alla formazione di un nuovo soggetto giuridico incaricato di gestire la riscossione dei tributi e delle altre entrate della Regione siciliana. Lo scorso giugno, la commissione Bilancio ha approvato una risoluzione che impegna il governo a indicare al più presto una soluzione. “La costruzione di un nuovo sistema di riscossione – hanno spiegato i tre firmatari (Sunseri, Tancredi e Zito) – non può avvenire sulla base di disposizioni regionali generiche, ma queste devono essere vincolanti e vanno concordate direttamente con lo Stato. E’ indispensabile, in qualsiasi caso, avviare la concertazione tra la Regione Siciliana e il ministero dell’Economia”. Invece Palermo non avrebbe risposto alle note del Mef, il Ministero dell’Economia, che chiedeva lumi sulla situazione contabile dell’ente. Su, non siate timidi.

Una situazione persino più caracollante e contradditoria è quella che investe l’Esa, l’arcinoto ultimo carrozzone della Prima Repubblica, su cui il presidente Nello Musumeci, in caso di mancata cancellazione, sembrava persino disposto ad aprire una crisi di governo. Non solo l’Esa è sopravvissuto ai venti di guerra e alle minacce di archiviazione, ma oggi – lo dice il suo direttore generale Fabio Marino, prossimo alla pensione – si è guadagnata un’importante fetta di finanziamenti per portare a termine progetti che (evidentemente) non si sono estinti ai tempi della riforma agraria: “Se 23 milioni di euro vi sembrano pochi… A tanto ammontano le attività di progettazione predisposte dall’Ente di Sviluppo Agricolo come capofila o partner, e già finanziate, che intercettano contributi nazionali, finanziamenti comunitari, regionali e di fondazioni private, con un potenziale che, a seguito delle istruttorie in corso, potrebbe toccare i 43 milioni di euro” ha detto Marino. Un successone.

O un altro brodino che maschera la vera situazione dell’Ente di sviluppo agricolo, che in più di un’occasione Buttanissima ha portato a galla. Segnalando, a inizio agosto, come il mancato esame dei Bilanci consuntivi 2017 e 2018 avrebbe dovuto comportare, in termini di legge, la decadenza degli organi di amministrazione e la nomina di nuovi commissari. L’Esa, però, è un ente fuori dal mondo. Da ormai dieci mesi non ha un presidente né una guida né un consiglio d’amministrazione “a norma”. Ne fanno parte un paio di consiglieri in rappresentanza delle organizzazioni di categoria che non possono avere interlocuzioni con la politica, tanto meno produrre atti o redigere documenti. Il vulnus creato dall’Amministrazione regionale, come più volte evidenziato dai sindacati, potrebbe prefigurare i presupposti per alcuni reati come l’omissione di atti d’ufficio e i danni all’erario.

L’Esa, inoltre, è un vortice di guai. E’ stata sottoposta a continui pignoramenti, ha diversi contenziosi aperti, e un debito di 10 milioni per opere di canalizzazione mai completate. Ma vanterebbe anche un credito con la Regione pari a 28 milioni di euro con una sentenza passata in giudicato: nel 2008 la Regione ne acquistò cinque immobili senza sborsare un quattrino. A proposito di immobili: è questo uno dei principali motivi per cui il carrozzone continua a respirare. Nell’immenso patrimonio immobiliare dell’Esa, rientra l’edificio di Via Libertà a Palermo, l’ultima residenza dei Florio. Per affittare il solo pian terreno, una grossa azienda del lusso aveva offerto 25 mila euro al mese. C’è un gruppo di “potenti” che a quel patrimonio non ha mai tolto gli occhi di dosso. L’assessorato al Bilancio avrebbe provato a garantirsi un diritto di prelazione qualora l’Esa fosse stato soppresso. Ma in caso di liquidazione i beni verranno utilizzati per pagare le spese, non come merce di scambio. A meno che qualcuno non s’inventi qualcosa.

Tre le altre partecipate in crisi di cui, però, si è soliti sottolineare la faccia meno triste della medaglia, c’è Airgest. La società di gestione dell’aeroporto Vincenzo Florio di Trapani è al 99,95% della Regione. E’ appena tornato alla guida – e Musumeci ci fa grandi progetti insieme – Salvatore Ombra, che ha già gestito gli anni del boom, quando da Trapani arrivarono a passare quasi due milioni di passeggeri in un anno. Sembra, però, l’ennesimo brodino. Oggi la crisi nera di Birgi imporrebbe prudenza: il bilancio della società fa segnare un rosso di 5 milioni di euro, e per il quinto anno consecutivo è in perdita. E i passeggeri nel 2018 sono diminuiti del 60% secco rispetto a un anno prima, quando si era già consumata la fuga di Ryanair.

Anche la Jonica Trasporti, una costola dell’Ast (l’Azienda siciliana dei trasporti), è a un passo dalla liquidazione. Si tratta di una compagnia mista pubblico-privata in mano per il 51% alla Regione e per il 49% ad Antonello Montante, che copre alcune tratte nel Messinese e vanta un parco dipendenti di 18 unità. Da quasi un decennio fa registrare una perdita fissa che oscilla fra le 300 e le 500 mila euro annue. A giugno l’assemblea dei soci di Ast e il presidente Gaetano Tafuri avevano preannunciato il taglio di alcuni rami secchi, fra questi Jonica. Che nell’ultimo “collegato”, assieme all’azienda madre, si era vista negare dall’Ars un contributo da 10 milioni per far viaggiare gratis militari e categorie svantaggiate.

Non se la passa meglio Sicilia Digitale, che un anno fa ha visto il proprio capitale sociale raschiare il fondo del barile (intorno al mezzo milione) e non si aggiudica più una commessa nemmeno a pagarla oro. Il futuro dei 116 dipendenti dell’azienda, che fu di Antonio Ingroia con un altro nome (Sicilia E-servizi), è appeso a un filo. Nemmeno la Regione dimostra più di crederci: per l’ultimo piano triennale informatico – investimento complessivo sui 40 milioni di euro – a Sicilia Digitale sono stati affidati compitini di seconda fascia. Un declassamento in piena regola. Ma almeno loro, a differenza di Esa e Riscossione, hanno fatto a meno di esultare.