Attenti a non ricascarci. L’idea di un centro direzionale mega galattico nel cuore di Palermo, che secondo Nello Musumeci dovrebbe consistere in tre grattacieli elevati in via Ugo La Malfa, è affasciante quanto rischiosa. Perché la Regione, diciamocela tutta, non ha sempre ha avuto un gran fiuto con le operazioni immobiliari. Questa costerebbe la bellezza di 280 milioni, che, sommati alla realizzazione di uno svincolo autostradale e a tutti gli oneri accessori del caso, rappresenta un volume d’affari prossimo al mezzo miliardo.

In questi tre edifici mastodontici – due di venti piani, uno di trenta: Repubblica ha già pubblicato il rendering e al progetto sta lavorando alacremente l’ingegner Tuccio D’Urso – ci andrebbero tutti gli assessorati della Regione e gli oltre 4mila dipendenti (in attesa di sbloccare le assunzioni). Una pretesa importante, che vuole riunire tutto l’apparato governativo e amministrativo dell’Isola sotto lo stesso tetto, come accaduto in Lombardia col Pirellone, per citare l’esempio più noto. In questo modo, dotandosi di uno spazio proprio (sarebbe la Regione a metterci ogni singolo euro), verrebbe “abbattuto” il costo degli affitti, che oggi succhia all’Ente qualcosa come 20 milioni l’anno. Sin dal 2006, anno in cui il governo Cuffaro cedette 33 immobili di proprietà, per affittarli il giorno dopo a costi non proprio esigui.

E’ proprio in quel momento, e da quella cessione, che nasce e si sviluppa il mito (o lo scandalo, per alcuni) di Sicilia Patrimonio Immobiliare, una società partecipata al 75% alla quale fu affidato il compito della “valorizzazione, trasformazione e commercializzazione del patrimonio immobiliare della regione e degli enti vigilati e finanziati”.  Le vicende di SPI furono al centro di numerose inchieste giornalistiche, degli approfondimenti della Corte dei Conti e di un paio di esposti non secondari: quelli di Rosario Crocetta, quando non era ancora diventato presidente della Regione (quando lo diventò, provò senza fortuna a re-impossessarsi – acquistandolo – dell’intero patrimonio (s)venduto da Cuffaro per meno di 200 milioni) e di Antonio Fiumefreddo, noto per aver guidato Riscossione Sicilia ed ex presidente del Consiglio di sorveglianza di Sicilia Patrimonio Immobiliare. Che nella natura di SPI non videro nulla di trasparente e vollero capirci qualcosa in più.

Ma ancora oggi è un bel problema espugnare il faldone completo delle informazioni che, più o meno arzigogolate, lasciano le proprie orme da dodici anni a questa parte. A rivelare le ultime evoluzioni è un articolo di Antonio Fraschilla su Repubblica, che non si spiega – testualmente – “come sia stato possibile per un ente pubblico erogare somme destinate a paradisi fiscali, senza incorrere in conseguenze giudiziarie”. E in effetti a fine 2014 la Procura di Palermo aprì un fascicolo per accertarsi se attorno alla cessione di quei 33 immobili si nascondesse un giro di tangenti, ma non ci furono sviluppi né indagati.

Perché mai avrebbero dovuto essercene? Nel 2006, attraverso SPI, la Regione cede 33 edifici a un fondo immobiliare che prende il nome di FIPRS (fondo pensioni dei regionali), di cui la Regione è proprietaria per il 35%. Il resto è suddiviso in parti uguali fra Trinacria Capital e Sicily Investments. Entrambe le società di cui sopra sono partecipate al 49% da Focus International (società del gruppo Prelios, ex Pirelli Re) e per il restante 51% da Banca Intesa, Unicredit e dai francesi di Natixis. In apparenza tutto normale. Almeno finché non si è saputo che Trinacria Capital e Sicily Investments hanno sede in Lussemburgo, noto paradiso fiscale.

C’è dell’altro ed è direttamente riferibile a SPI. Detto della partecipazione della Regione al 75%, il restante 25% è riconducibile a una società consortile – la Psp Scarl – che ha riunito nel 2006 il raggruppamento temporaneo di imprese che si aggiudicò il bando di gara per la valorizzazione del patrimonio immobiliare. Ma dietro questo 25% ci sarebbe Ezio Bigotti (il suo nome, dalle carte del processo Consip, in cui non è indagato, viene accostato più volte a Denis Verdini), un imprenditore di Pinerolo che, secondo varie ricostruzioni giornalistiche, avrebbe consolidato una delle attività collaterali alla dismissione e alla cessione dei palazzi della Regione: ossia il censimento dei beni regionali, un lavoro certosino svolto fra il 2007 e il 2009 che avrebbe fruttato la bellezza di 80 milioncini freschi.

Ma anche questo passaggio non è esente da sospetti. I soldi del censimento sarebbero finiti nella casse della società di Bigotti, la Finanziaria Bigotti, a sua volta detenuta per il 45% da Lady Mary II, con sede in Lussemburgo (aridaje). Finché nel 2010 – qui il racconto è di Mario Barresi su “La Sicilia” – un coraggioso assessore all’Economia del governo Lombardo, tale Gaetano Armao, blocca i pagamenti e inaugura un contenzioso che rischia di far sborsare alla Regione ulteriori 80 milioni. Finiranno in Lussemburgo anche questi? Intanto, sul sito della Regione, il buon Bigotti è ancora indicato quale amministratore delegato di Sicilia Patrimonio Immobiliare, una società ormai in liquidazione. Cliccando sul link che dovrebbe rimandare al sito web della partecipata, si accede alla pagina di un noto brand d’abbigliamento (sa tanto di fuffa, in verità). Dai saldi alla liquidazione il passo è breve.