Al colpo di scena preparato da Giancarlo Cancelleri, capace in appena 72 ore di transitare dal Movimento 5 Stelle a Forza Italia, dal giustizialismo duro e puro agli applausi per Berlusconi, è seguita la “scenata”. Quella di Dino Giarrusso, che con Cancelleri condivide l’arte del trasformismo. Il parlamentare europeo, su Facebook, ha riversato litri di bile sull’ex leader grillino e compagno di partito. Concetti arcinoti, che Giarrusso non ha mai nascosto privatamente né pubblicamente. E che adesso, approfittando della polemica infiocchettata sabato al Politeama, spingono la politica sull’orlo della pantomima. Di un becero interesse per la poltrona, che prima veniva mascherato dal vangelo secondo Grillo; e poi da quello secondo Conte, che però s’è rivelato meno bravo dell’Elevato a trattenere le pecorelle smarrite di fronte a un ‘no’ (al terzo mandato).

Leggere Giarrusso per poco non rivaluta Cancelleri, conoscendo le acrobazie del primo e il tradimento dell’ultimo. “Questo è Giancarlo Cancelleri – sbotta Giarrusso – un politicante vecchio stampo, poltronaro e arrogante: lo è sempre stato, perché vi stupite che vada in Forza Italia? Di questi esempi potrei farne centomila, tutti simili: soldi, poltrone, ricatti, candidature promesse o minacciate, amici assunti negli uffici del M5s e pagati con soldi pubblici, compresi i condannati Ciaccio e La Rocca, legatissimi a Cancelleri”. Giarrusso fa sorridere perché ancora finge di sorprendersi per quanto accade in politica. Ma anche l’ex Iena, dopo un’esperienza alla Regione Lazio con la consigliera Roberta Lombardi, al Ministero dell’Istruzione con Fioramonti, e l’elezione al parlamento europeo nella lista del M5s, non ci ha pensato due volte ad abbandonare la zattera di Giuseppi. Ufficialmente con questa motivazione: “Non sono io che lascio il Movimento 5 Stelle, ma è il Movimento che ha perso i suoi valori. Quei valori come la partecipazione che, invece, io conservo”, disse in tv a ‘L’Aria che tira’.

Ma Conte fu un tantino più specifico: “Giarrusso l’ho incontrato spesso, anche di domenica, e mi ha sempre parlato e chiesto poltrone, vicepresidenze, posizioni, delegati territoriali. Non ho mai avvertito dissenso politico. Ora gli chiediamo coerenza, chi lascia il Movimento deve lasciare i suoi incarichi che ha grazie a noi. Il suo ruolo in europarlamento è per noi strategico”. L’ex Iena, però, all’Europarlamento c’è rimasto, pur in una posizione di anonimato che l’ha costretto a migrare in un ufficetto più periferico rispetto al cuore delle istituzioni di Strasburgo e Bruxelles. Il nostro eroe aveva subito tentato di imbarcarsi in una nuova avventura, ma con De Luca (come prevedibile) è andata malissimo. Anzi, è finita in tribunale per l’utilizzo del simbolo ‘Sud chiama Nord’, poi riconosciuto al suo legittimo proprietario: l’ex sindaco di Messina. Nell’arco di qualche mese – era gennaio – Giarrusso tentò di aprire un’altra porta, presentandosi a un appuntamento con Bonaccini, che nel frattempo concorreva per la segreteria del Pd con Elly Schlein. La sua presenza indigesta, però, ha rallentato l’adesione ai dem. L’ultimo segnale di fumo a inizio marzo: “Ho annunciato il mio ingresso nel Pd d’accordo con alcuni dirigenti – ha dichiarato a ‘Un giorno da pecora’ -. Poi, essendoci state delle reazioni di alcuni e visto che la sensibilità di qualcuno è stata toccata, d’accordo con i candidati alla segreteria ho detto ‘aspettiamo un attimo, facciamo fare le primarie e poi ne riparliamo’”.

Ne riparleranno. Nel frattempo il girone infernale degli ex grillini cresce a dismisura. Per restare in Sicilia toccano gli addii di Ignazio Corrao, transitato nel gruppo dei Verdi europei, e dei cinque parlamentari dell’Ars (poi divenuti quattro) durante la scorsa legislatura, fondatori del progetto civico ‘Attiva Sicilia’, che alla fine sarebbe confluito in Diventerà Bellissima e, solo di straforo, in Fratelli d’Italia: alle ultime Regionali 4 su 4 sono stati bocciati alle urne, e solo la Pagana, moglie di Ruggero Razza, è stata ripescata nella squadra di governo per volere dello stato maggiore romano. Sempre sull’Isola ricade, invece, la scelta dell’ex viceministro all’Economia, Laura Castelli, diventata un po’ a sorpresa la portavoce del movimento ‘Sud chiama Nord’ di Cateno De Luca: “Ci siamo conosciuti quando io sono stata viceministro e lui era sindaco, e abbiamo lavorato insieme per dossier sulla sua città – disse la Castelli al momento del “sì” -. Qualche mese fa mi ha raccontato il progetto che aveva in mente, e ho ravvisato molte cose in comune con quello che abbiamo fatto al ministero per i Comuni. Per questo non ci trovo nulla di straordinario, ho trovato una certa affinità di visione con lui”. Per l’ex viceministro non è andato a buon fine l’approdo nel partitino di Luigi Di Maio, durato lo spazio di una campagna elettorale (anche se Giggino è l’unico a non aver perso un giro: è appena diventato l’inviato Ue nel Golfo Persico).

Qualcuno, come l’ex ministro alle Infrastrutture Danilo Toninelli, ha dovuto arrendersi al tetto dei due mandati, e non ha potuto ricandidarsi al parlamento nazionale (fa l’assicuratore, gira l’Italia in camper e posta i video su Youtube). Dicasi la stessa cosa per i siciliani Vito Crimi e Alfonso Bonafede, che non hanno mai dismesso la maglia dei Cinque Stelle. Come Virginia Raggi, che ha ancora un bonus da spendere dopo aver fatto cinque anni il sindaco di Roma. Altri se la sono data a gambe: Repubblica riporta del caso di Max Bugani, che aveva incarnato la teologia grillina (“Nessun dialogo con gli altri partiti, no a dare una struttura di partito al M5S”) e oggi è finito a fare l’assessore comunale con il centrosinistra nella sua Bologna, passato dai bersaniani di Articolo 1 e finito al Pd.

“C’è chi invece si è buttato sul lavoro – scrive Matteo Pucciarelli – come Manlio Di Stefano. Ex viceministro agli Esteri, poi transitato in Impegno civico con Di Maio, come rivelato dal Foglio oggi è senior advisor di un colosso americano dell’industria aerospaziale. E pensare che per anni incarnò la politica internazionale non allineata del M5S, attenta alle ragioni russe e cinesi (…) Dopo la fallita elezione a Bruxelles, l’ex sindaco di Livorno Filippo Nogarin è diventato amministratore di Metropark (gruppo Fs), nominato da Gianfranco Battisti, arrivato alla guida delle Ferrovie grazie ai 5 Stelle”. E ancora “l’ex deputato Giorgio Sorial, uno di quelli della prima ora che si batteva contro il Tav e contro le concessioni private delle infrastrutture, nel 2021 viene nominato presidente dell’ente traforo del Monte Bianco. A corredo simbolico della conversione si scattò un selfie in viaggio, elegantissimo, seduto dentro una Rolls Royce: transizione completata, rivoluzione normalizzata”.

Anche in Sicilia tanti altri hanno preferito abbandonare la nave. Dal senatore Mario Giarrusso, indomabile, al medico Giorgio Trizzino, ex direttore sanitario del Civico, stanco delle angherie di un partito che non valorizzava il merito. Lui, a differenza di altri, ha mantenuto il garbo evitando di sparare sulla Croce Rossa. Tanti altri se ne sono andati, in cerca di una carriera migliore: come la catanese Tiziana Drago, che ha ottenuto la riconferma al Senato con Fratelli d’Italia. Questi Cinque Stelle, i nuovi apolidi della politica, senza destra né sinistra, si sono rivelati un circo pieno di opportunisti, di approfittatori e di qualche brav’uomo puntualmente deluso. La lista è destinata ad allungarsi.