Te lo confesso: il tuo curriculum mi aveva impressionato. Esperienze nei bar di mezza Europa, banconista ma anche addetta al ricevimento ma anche bartender (qualsiasi cosa significhi) ma anche addetta ai tavoli. E poi una bella presenza ci sta sempre, alta, mora, imponente. Mi sono detto: perché no? E ti ho fatto un contratto di due mesi, vediamo cosa sai fare.

Te lo confesso: sei stata protagonista di uno dei contratti a termine più disastrosi da quando l’uomo ha posato la prima pietra di questo bar, nel lontano 1957. Sciatta, svogliata, senza nerbo, l’espressione perennemente corrucciata. Nessuna voglia di lavorare né di imparare dai tuoi colleghi, da chi è qua da tutta la vita e tutto avrebbe da insegnarti.

Te lo confesso: vederti lavorare è stata una sofferenza per me e, ne sono certo, per tutti i clienti a cui consegnavi il cornetto e il caffè senza grazia, senza amore, aspettando che fosse l’ora di togliere il grembiule e di tornare a casa. Però ti ho aspettata. Mi sono detto: ha bisogno di tempo, di ambientarsi. Possibile che a Parigi faceva faville e in corso Tukory no?

“Ho bisogno di lavorare”, mi hai detto quando mi hai consegnato il tuo mirabolante curriculum, un pelo sotto quello di Marchionne. Ti dico una cosa: tutti, a parte i marchesi, i conti e i baroni che non hanno avuto la sfortuna di cadere in disgrazia, hanno bisogno di lavorare. Il punto è che il lavoro, poi, bisogna anche meritarlo.

Te lo confesso: sei capitata in uno di quei posti che ha come titolare un tizio che crede nel lavoro come dovere e non come diritto, una di quelle cose che bisogna conquistarsi giorno dopo giorno. Impegnandosi con serietà. Non è stato il tuo caso, sono sicuro che ne hai contezza perché stupida non sei, anzi.

Sai, mi chiedo spesso – me lo chiedo anche nella vita di ogni giorno e non solo dentro a questo microcosmo che è il bar – perché quelli come te non hanno la grinta e la voglia di prendere il mondo a morsi, perché non hanno il furore cieco che la tua età invece imporrebbe. Perché questa mollezza, questa superficialità, perché questa fallace sensazione che le cose debbano venirvi incontro e non piuttosto il contrario.

Il contratto scaduto non ti è stato rinnovato per questo. Non ho sentito nemmeno il dovere di spiegartelo perché la tua sciatteria neanche questo, secondo me, meritava. A quelli come te cito sempre l’esempio di una tua collega banconista. Si chiama Carolina e quand’è arrivata, un paio d’anni fa, sapeva fare poco o niente. Però l’ho tenuta, a dispetto di tutti. L’ho tenuta perché vedevo che si impegnava e che aveva voglia di imparare. Adesso Carolina lavora in pianta stabile, non fa storie se fa la mattina o il pomeriggio, lavora sodo, parla poco e malgrado la storia dolorosa – dolorosa assai – che si porta dietro ci mette passione e costanza anche se ha un curriculum che impallidisce di fronte al tuo.

Nemo propheta in patria, d’altronde. Consolati col mare di Mondello, pensa che qualcuno ne ha fatto pure un lavoro. Un tuffo, un bagno di sole, la granita con gli amici e una lamentela su Facebook sul lavoro che non c’è. Olé!