Il futuro del governo Schifani dipende, in parte, da cosa accadrà in queste ore all’interno di Forza Italia. A una settimana dal ritorno in aula per l’elezione del presidente dell’Assemblea (ruolo agognato da Fratelli d’Italia), è stato il governatore, che non cede quasi mai al ‘politicamente scorretto’, a far filtrare alcuni spifferi (mai smentiti) per porre un veto sul bis di Gianfranco Micciché alla presidenza di Sala d’Ercole. Un’ipotesi abortita lo scorso agosto, con buona pace di Micciché medesimo, quando FI ottenne la candidatura per Palazzo d’Orleans (scalzando Musumeci); ma tornata d’attualità negli ultimi giorni, dopo che Ignazio La Russa è stato eletto presidente del Senato e che De Luca, nel ruolo di guastafeste, ha spinto il vicerè berlusconiano a riprovarci: “Lo sosterrò”.

Micciché, che ha già manifestato l’intenzione di rimanere a Palermo (anziché al Senato), non vuole cedere sulle questioni di principio. Quelle – per intenderci – che lo hanno fatto sbottare negli ultimi cinque anni: in primis, la concessione dell’assessorato alla Sanità, sul quale rivendica un “diritto di prelazione” (non tanto per se stesso, ma per Daniela Faraoni, attuale manager dell’ASP di Palermo). L’alternativa, solo ventilata, è il suo ritorno alla guida del parlamento siciliano. Un incarico che Micciché ha ricoperto con passione negli ultimi cinque anni, guadagnandosi l’apprezzamento di molte componenti parlamentari (soprattutto Pd e 5 Stelle). E che, numeri e alleanze (trasversali) alla mano, non sarebbe proibitivo. A costo di spaccare la coalizione di governo, sempre più schiacciato sulle posizioni della destra: “Con Miccichè presidente dell’Ars – sono state le parole di Schifani, estrapolate da più contesti e pubblicate da Live Sicilia – mi dimetterei, prendendo atto di non avere una maggioranza, per sottrarmi al logorio, perché sono stato candidato ed eletto da una coalizione”.

Quella poltrona, per Schifani, deve andare a FdI. Altrimenti: fine dei giochi. La presenza di Micciché sullo scranno più alto sovvertirebbe le intese elettorali e alcuni obblighi di riconoscenza nei confronti di Musumeci (e della Meloni), che hanno scelto di farsi da parte, ma con la promessa di continuare ad acquisire posizioni e potere. Ma a gettare acqua sul fuoco, spegnendo sul nascere un incendio di proporzioni importanti, è stato lo stesso Micciché, al termine di un confronto col gruppo parlamentare di Fi: “Continuo a percepire una costante preoccupazione circa la mia possibile rielezione a Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana – ha dettato in una nota -. Così come tutti sanno, io sono una persona seria e 5 anni fa fui eletto su indicazione della maggioranza. Sono sicuro che anche questa volta sarà eletto il deputato indicato dalla nostra coalizione. Vorrei quindi rassicurare il presidente della Regione: non sono necessarie dimissioni perché io non sarò candidato alla Presidenza dell’Ars”.

All’interno del partito restano malintesi e criticità. Ma la criticità peggiore è non avere un governo a un mese e mezzo dal voto. Le trattative restano in alto mare e il tentativo di confinare in un angolo il leader del secondo partito della coalizione, non è andato giù ai suoi seguaci più stretti. Tra i quali Tommaso Calderone, ex capogruppo azzurro, che nell’ultima tornata elettorale è stato eletto anche alla Camera dei Deputati: “A Gianfranco bisognerebbe essere tutti grati perché i risultati che ha portato in Sicilia, da sempre, non li ha realizzati mai nessuno e nessuno mai li potrebbe portare. Quindi, tutti dovrebbero mostrargli rispetto, lealtà e gratitudine. Ha un solo difetto: è una persona di una bontà d’animo assoluta – sottolinea Calderone a Ilsicilia.it – e glielo dico sempre che è troppo buono, perché quando c’era da staccare qualche testa, doveva farlo senza pietà, non doveva lasciare né feriti né prigionieri”.

Una manifestazione d’affetto che suona come la rivendicazione di un risultato e di una storia. Ma non ancora di una conquista: le trattative per il governo, a partire dall’assessorato alla Sanità, restano in alto mare.