Questa storia sarebbe tornata buona per la notte di Halloween. Invece è (ri)emersa pochi giorni dopo, grazie alle parole di Silvio Cuffaro, dirigente generale al Dipartimento Finanze. Fratello di Totò, ex governatore e attuale segretario regionale della DC Nuova: “Stiamo stipulando un accordo con l’Agenzia del Demanio per affidare a Sogei l’aggiornamento annuale del censimento – ha detto a Repubblica Cuffaro jr -. Puntiamo a recuperare i fitti passivi, che ammontano a 30 milioni inclusi i 19,8 versati al fondo” Fiprs, “spostando le sedi degli uffici regionali e provinciali. Ci aiutano le circostanze: adesso i dipendenti sono circa la metà rispetto a 15 anni fa”. E in effetti è una storia (senza lieto fine) che risale a quindici anni fa, quando a capo della Regione c’era Totò Cuffaro.

E’ la storia di un censimento fantasma che, fattura dopo fattura, è costata a Mamma Regione una cifra monstre, superiore a 100 milioni di euro. Ma è anche la beffa di un lavoro pensato male, eseguito peggio, e mai terminato. Che fino all’altro ieri non era possibile consultare. Da qui la locuzione di “censimento fantasma”. Ossia la mappatura degli edifici regionali che Sicilia Patrimonio Immobiliare (Spi), una società tuttora in liquidazione, partecipata al 75% dalla Regione e al 25% da un consorzio di privati, avrebbe dovuto eseguire per la cifra concordata di 13 milioni di euro. La mansione rientrava in un pacchetto più ampio, che prevedeva la cessione di 33 immobili regionali al fondo Fiprs (il Fondo pensioni della Regione siciliana); immobili che la Regione svendeva a 180 milioni e che, immediatamente dopo, avrebbe ri-affittato per 19,8 milioni l’anno. Sono questi i soldi che Silvio Cuffaro vorrebbe far risparmiare al governatore Schifani, (forse) ignaro di tutto ciò.

Quello del censimento è un drama che affonda le sue radici in una delle pagine più occulte di palazzo d’Orleans. A effettuare la mappatura, per conto della Spi, avrebbe dovuto essere Ezio Bigotti, il socio di minoranza, con una storia giudiziaria borderline. E con una serie di società simili a scatole cinesi e riconducibili a paradisi fiscali (nel Lussemburgo). L’imprenditore di Pinerolo, che per un periodo ebbe come consulente anche l’ex assessore all’Economia Gaetano Armao, però, non ha mai consegnato il frutto del suo lavoro. Nonostante le fatture, da partire dal 2007, diventassero ogni anno più esose. Fino a raggiungere gli 80 milioni. A stoppare l’ultimo pagamento nei confronti della Spi, nel 2010, fu proprio Armao, assessore del governo Lombardo.

Una sentenza della Corte d’Appello di Roma, maturata in seguito a un lodo arbitrale, condannò la Regione a pagare altri 12 milioni. A questa decisione Palazzo d’Orleans ha scelto di contro-appellarsi (tecnicamente si chiama “riconvenzionale”), producendo come risultato una ulteriore sentenza da parte dei giudici che hanno obbligato Psp Scarl – ossia la società consortile controllata da Bigotti – a risarcire la Regione con 7 milioni e 404 mila euro, più gli interessi. E’ venuta meno, inoltre, la pretesa dell’azienda di ricevere un ultimo pagamento pari a 20 milioni. Il risultato di questa farsa siciliana, che è costata alle casse regionali 110 milioni complessivi, è un risparmio di 28 milioni circa. Un quinto dell’esborso complessivo, che – per inciso – non si sa bene chi abbia arricchito e in quale parte del globo.

Fin qui la storia. Il censimento, negli ultimi tempi, era tornato sulle pagine dei giornali per l’intervento della Corte dei Conti e per l’impuntatura del Movimento 5 Stelle. I magistrati contabili, nel giudizio di parifica del dicembre 2020, dichiaravano “non regolare lo Stato patrimoniale” della Regione. “L’unica certezza”, si leggeva nella relazione, è “che al momento non si può contare su una pronta visione complessiva della consistenza immobiliare e dello stato di utilizzazione e redditività dei beni, situazione che, peraltro, si perpetua da molto tempo ed alla quale sarebbe giunto il momento di porre finalmente rimedio”. E ancora: “E’ inammissibile che un ente come la Regione non abbia piena contezza della effettiva consistenza del proprio patrimonio”. L’obiettivo era ottenere una “ricognizione straordinaria del patrimonio immobiliare”, un’ipotesi a cui il M5s si è sempre opposto, chiedendo di riesumare i dati del vecchio, multimilionario censimento.

Solo un paio d’anni prima, in occasione dell’inchiesta della commissione regionale Antimafia, e del pressing della Corte dei Conti medesima, l’elenco dei cespiti era stato dichiarato ‘inservibile’. Questa conclusione, illustrata dall’assessore Armao all’aula di palazzo dei Normanni, arrivò in coda a un giallo misterioso: la Spi, a causa di un lungo contenzioso con la Regione, sigillò le informazioni sulla mappatura all’interno di un server inespugnabile, la cui password rimase fuori dalla disponibilità dell’Amministrazione. Una volta recuperata, però, l’amara scoperta: il lavoro di valutazione svolto da Sicilia Patrimonio Immobiliare era riferito alle rendite catastali di 15 anni prima. Così com’era non valeva niente. Pertanto andava aggiornato.

Oggi, però, l’esito a sorpresa. I dati del censimento sono stati resi pubblici. Nonostante l’ultimo aggiornamento risalga al 2016, gli immobili della Regione – come scrive Repubblica – risultano 4.147 e adesso sono stati catalogati nel dettaglio, in un elenco che consente di scoprire ad esempio che circa duemila sono terreni, mentre gli altri sono edifici e immobili di altro genere. L’altro dato oggettivo è che i fitti passivi continuano a gravare sulle casse della Regione per una cifra che Cuffaro jr stabilisce in 30 milioni, di cui la stragrande maggioranza (19,8) al Fondo pensioni in virtù di un contratto di locazione che a partire dal prossimo 31 dicembre si potrà scegliere di non rinnovare. Sia perché molti dei locali in uso alla Regione risultano inutili (oltre che cari); sia perché l’obiettivo di Schifani, sulla scia di Musumeci, è completare il mega centro direzionale che solo poche settimane fa, dopo una serie di ricorsi e controricorsi, è stato aggiudicato. Costerà 425 milioni di euro, ma l’area in cui sarà realizzato (da progetto) non è ancora stata espropriata.

In attesa che qualcosa accada, o che l’ennesima illusione sortisca i suoi effetti, una domanda rimane inevasa: che fine hanno fatto i 110 milioni di euro sborsati dalla Regione, e quindi dai cittadini siciliani, per pagare un censimento inutile? Averlo ritrovato quindici anni dopo, non cancella il peso di uno scandalo che ha penzolato sulla testa di molti governatori, di tantissimi assessori e pure di qualche giudice, senza che qualcuno muovesse un dito. E’ un’altra storia senza lieto fine. E soprattutto senza verità.