C’è un po’ di confusione nel cielo dell’antimafia. Ma non nel cielo cupo e inaffidabile dell’antimafia stracciona, quella dei tanti forcaioli che la utilizzano come un taxi per partecipare ai talk-show televisivi, per vendere un libro in più, per avere la scorta più blindata del mondo o per raggiungere un altro traguardo di carriera. C’è confusione nel cielo limpido e terso dell’antimafia più nobile: quella che rispecchia e tramanda, alla nostra memoria, il martirio di Giovanni Falcone. Tutto nasce da una domanda: ma Maria Falcone, sorella del giudice massacrato nella strage di Capaci, ha fatto bene o male a incontrare Roberto Lagalla, il sindaco di Palermo che, durante la campagna elettorale non rifiutò con la necessaria determinazione l’endorsement di Totò Cuffaro e di Marcello Dell’Utri, i due uomini politici mascariati a vita per la loro vicinanza a Cosa Nostra?

Potrebbe sembrare una discussione di lana caprina. Invece la domanda ha messo in campo sensibilità diverse. A cominciare da quella di Alfredo Morvillo, magistrato e fratello di Francesca, la compagna di Falcone stritolata anche lei dal tritolo mafioso. L’ex procuratore di Trapani, con una breve lettera a Repubblica prende le distanze dalla “pacificazione”, chiamiamola così, tra il sindaco e la sorella del giudice. “Iniziative per Capaci e sorrisi in fotografia”, aveva scritto il giornale sulla prima pagina dell’altro ieri, specificando che il riavvicinamento cancellava l’immagine della sedia lasciata vuota da Lagalla alla commemorazione del trentennale dell’attentato. Oggi la lettera di Morvillo definisce invece quell’incontro “un episodio tipico di una Palermo che non trova il coraggio di posizioni di chiusura intransigente verso scelte inaccettabili in tema di lotta alla mafia”.

Per trent’anni, da quel tragico 23 maggio del 1992, Palermo ha reso a Giovanni Falcone, a Francesca Morvillo e anche ai ragazzi della scorta trucidati sull’autostrada di Capaci, tutti gli onori della memoria. E i sindaci, che in questi trent’anni hanno amministrato la città, sono stati lì, accanto al dolore e alle lacrime dei familiari. Sarebbe stato possibile allontanare dalla cerimonia Leoluca Orlando, che pure ha insultato in vita il giudice Falcone accusandolo perfino di nascondere nei cassetti le prove contro Giulio Andreotti e Salvo Lima?

No. Perché Orlando, malgré tout, rappresentava, come sindaco, tutta Palermo. Lo stesso dovrebbe valere per Lagalla. Se si crede nella democrazia, bisogna credere nelle istituzioni. Falcone, quando lasciò il Palazzo di Giustizia per affiancare il ministro Claudio Martelli alla direzione degli Affari Penali sapeva che in quel governo c’erano personaggi che avevano lambito, se non addirittura fiancheggiato, il limaccioso mondo di Cosa Nostra. Lui abbracciava l’istituzione. Non i singoli uomini. Con i loro limiti, le loro contraddizioni, i loro peccati.