“La sensazione più bella è avere la gente con me. Mi piace sentirmi protetto da amici e conoscenti che mi danno una pacca sulla spalla quando mi incontrano per strada: la mia scorta sono loro e i loro sorrisi”. Giuseppe Piraino è l’imprenditore rimbalzato agli onori delle cronache per un gesto “eroico” che lui definisce ordinario, quasi banale. Una presa di distanza rispetto alla criminalità organizzata. Era il 29 settembre quando un mafioso, il cui nome comparirà fra i 46 arrestati della nuova “cupola” di Cosa Nostra, si avvicinò al costruttore per chiedere il pizzo. Lo aveva già fatto con gli operai del suo cantiere edile, minacciando di sbatterli fuori dalla sua “area di competenza” se in cambio non fosse arrivato un aiutino. Ma quella mattina, quando Sergio Marino ebbe occasione di riferire a Piraino, ottenne in cambio un netto rifiuto. E una registrazione, realizzata con una microcamera nascosta, che finirà ai carabinieri nel giro di poche ore. Solo qualche settimana dopo sarà la volta di tv e telegiornali.

La storia di Piraino è una storia di denuncia. Di chi non cede ai ricatti e alle vessazioni dei mafiosetti di turno, come li chiama lui, quasi a sminuire una funzione sociale sempre più confinata. L’imprenditore ha le idee chiare e, anche adesso che si ritrova per forza sotto la luce dei riflettori e con un servizio di scorta (quello vero) a disposizione, le rivendica con determinazione: “Una volta era praticamente scontato che il cittadino, sotto ricatto, pagasse il pizzo. Oggi no, ci siamo stancati. Chi investe in un’impresa deve far fronte all’aumento delle tasse, alle difficoltà economiche, a una serie di disservizi. Ecco perché quando arriva il “mafiosetto” è quasi scontato che lo si mandi a quel paese o, comunque, che si sia un atteggiamento diverso rispetto al passato”. Piraino ò da tempo iscritto all’associazione “Addiopizzo” ed è fresco vincitore del titolo di “Siciliano dell’anno” assegnato dal sito Live Sicilia attraverso un sondaggio rivolto ai propri lettori.

Anche la società ha smesso di considerare reietto chi si ribella alle angherie della mafia?

“Assolutamente sì. Un tempo venivi messo in un angolo, ti beccavi le occhiate e le frecciatine. Non ti venivano più a trovare a casa perché avevi denunciato, ed era inammissibile. E’ chiaro che le denunce sono ancora poche rispetto ai reati, ma rispetto agli anni ‘80 sono cresciute del 300 o 400%. All’epoca denunciava il 3%, e quel 3% veniva ucciso o esiliato in altre città per evitare di avere una vita scomoda”.

Com’è cambiata la sua vita da quella denuncia?

“Se vogliamo trovare l’aspetto più fastidioso, ho molte più responsabilità sulle spalle… Non posso permettermi di lasciare l’auto in doppia fila che qualcuno potrebbe rinfacciarmelo (sorride). Ma anche questo è un lato positivo”.

E le sue abitudini sono cambiate?

“Quelle quotidiane per niente. Né le mie, né quelle della mia famiglia. Anzi, ho acquisito sempre più coraggio e più passa il tempo più mi sento al sicuro. La gente mi ha etichettato come un eroe o un paladino della giustizia, anche se non mi reputo tale. Ma sento di dover dare l’esempio”.

Si muove mai con la scorta che le hanno assegnato?

“Ringrazio sempre la prefetta che ha attivato una scorta, su chiamata, nei confronti di tutti quei denuncianti che hanno a che fare con l’ultima retata. Ma ne ho usufruito una volta sola. Erano passati tre giorni da quando avevo denunciato l’estorsore e dovevo tornare al quartiere del Capo per fare la spesa con mia moglie e mia figlia. Non sapevo chi c’era ad attendermi e con quali intenzioni. Così ho chiamato i carabinieri e chiesto di essere scortato. Ma, a meno di minacce serie, non succederà più. Non mi pare corretto rompere le scatole a questi ragazzi che possono occuparsi di ben altro che non fare da scorta a cittadini comuni. E poi c’è molta gente che ci mangia sopra e non vorrei finire come loro…”.

Si spieghi.

“Avere una scorta è diventato quasi uno status symbol. E’ come se molti volessero rimanere sull’onda dei media per poter dimostrare di essere povere vittime, sempre sotto minaccia. Questo non è bello. Mi sono concentrato fin dall’inizio per mantenere la mia vita normale, senza scorte, fanfare o tappeti rosse. La denuncia del pizzo deve rimanere semplice come la denuncia di smarrimento di un portafogli. Non si può sollevare ogni volta un caso politico”.

Ha ricevuto, prima dell’ultimo caso, altre richieste di pizzo nella sua vita da costruttore?

“L’unico episodio risale al 2007, ma è stata una cosa semplice e indolore. Lavoravo in un cantiere e sono passati due signori con aria mafiosetta: dicevano che c’era da pagare perché bisognava campare le famiglie dei carcerati. E, io con faccia altrettanto arrogante, ho detto loro che si fossero ripresentati a chiedere soldi li avrei denunciati ai carabinieri. Non sono più venuti e non mi hanno fatto altre richieste, né minacce. La cosa si è chiusa lì”.

E invece, dopo la denuncia di Marino, qualcuno ha provato a fargliela pagare?

“Qualcuno ha inviato delle e-mail, su cui sta indagando il nucleo specializzato dei carabinieri, in cui mi si descriveva come una persona pericolosa, che picchia le donne, e che avrebbe persino minacciato la giornalista Stefania Petyx di Striscia la Notizia. Per fortuna con lei sono in ottimi rapporti e abbiamo dimostrato che si tratta di falsità. Era il classico mascariamento, ma ho dovuto dare conto e ragione a molti giornalisti che si sono visti recapitare queste e-mail in posta. Ovviamente ho fatto una denuncia contro ignoti e l’indagine è in corso. E’ stata l’unica cosa sgradevole che mi è successa”.

Lei ha detto che questa forma di ribellione nei confronti della mafia parte dai piccoli gesti, quelli dei comuni cittadini, e non dalle istituzioni.

“E ne resto convinto. Non bastano comunicati stampa e apparizioni in tv a convincere un imprenditore a denunciare il pizzo. Serve l’esempio dell’amico, del parente, del vicino di casa. Il senso civico deve svilupparsi dal basso, dalla strada. Troppo facile accanirsi sui politici, è un urlo sordo. Prendete il caso di questi giorni a Palermo: c’è un sacco di spazzatura per strada e tutti se la prendono col sindaco. Ma aspettate un secondo. Che c’entra il sindaco coi frigoriferi, i materassi, i mobili accatastati lungo la strada? Chi li ha messi lì? Se un tentativo di rivolta non parte dalla base, è meglio stare zitti. La cultura del senso civico andrebbe instillata nei bambini. Negli anni ’80 e ’90 non si è fatto, ecco i risultati… Ho sentito dire a qualcuno che con la mafia le cose andavano meglio perché c’era un equilibrio… Ma queste sono bestemmie. Chi dice queste cose non sa cos’è la mafia. Andassero a spiegarlo a quei poveretti che ancora oggi piangono i propri genitori, saltati in aria per fare da scorta a un magistrato o a un collaboratore di giustizia”.

Che immagine le rimane impressa della stagione stragista di Cosa Nostra?

“Ricordo la città blindata, l’esercito a controllare ogni angolo. Il giorno di Capaci ero alla Fiera del Mediterraneo. La mia compagna venne a cercarmi in lacrime per dirmi che era stato ammazzato Falcone.  Sono pezzi di serenità che vengono tolti a un ragazzo, e che si porterà sempre sulle spalle. Tutti quelli che hanno vissuto quella stagione ora sono esausti e trovano la forza di ribellarsi. Ma poi questi mafiosi di oggi cosa rappresentano?”.

Secondo Lei, cosa rappresentano?

“Sono figure piccole e continueranno a perdere, come accaduto a Riina, Provenzano. Si sono ridotti a vivere nei semi-interrati, nei sotterranei. Ma che vita è? I mafiosi di un tempo comandavano la città dalle loro belle ville, dove ospitavano i politici più influenti. Quelli di oggi sono piccoli delinquenti che si limitano a controllare lo spaccio di cocaina o questi quattro furbetti che vanno a chiedere il pizzo. Sono davvero penosi”.

Salvini ha detto che nel giro di mesi, o al massimo anni, cancellerà la mafia in Italia.

“I politici sono bravi a giocare con le parole e con i media. Salvini sa meglio di me e di tutti noi messi insieme che la mafia non la sconfiggi in poche ore, settimane o mesi. Credo che con quella frase abbia voluto dare uno scossone. Non esiste la ricetta vincente. Molti politici negli ultimi anni sono stati collusi con la mafia, lo dimostrano i vari arresti operati in Regione, alla provincia, alla Camera di Commercio. Siamo lontani dal poter dire che qualcuno sia sul punto di sconfiggerla”.