Se il presidente Musumeci avesse mostrato la stessa tenacia sfoderata per la nomina dei burocrati anche su altri fronti – ad esempio i mille tavoli che tengono impegnata la Regione a Roma, nel tentativo di liberare risorse aggiuntive e riavviare la spesa – la Sicilia sarebbe certamente fra i territori più virtuosi d’Italia. Ma così non è. Eppure il governo, alla vigilia della scadenza dell’ultima proroga (ieri), ha messo a segno il “grande colpo” che era rimasto in stand-by dal 16 febbraio, data in cui sarebbe dovuto maturare il turnover dei capi dipartimento, attraverso un atto d’interpello interno (tranne poche eccezioni). Vuoi per il Coronavirus, vuoi per i dubbi di natura giuridica, Musumeci aveva proceduto a piccoli passi. Oltre alla sostituzione dei dimissionari (Bologna subentrato a Vindigni al dipartimento al Lavoro, la Valenti a Taormina alla Formazione), la prima infornata di nomine era arrivata a fine maggio, e riguardava i quattro centri di spesa più importanti: Ignazio Tozzo alla ragioneria generale, Benedetto Mineo alle Finanze, la Valenti (confermata) alla Formazione professionale e Dario Cartabellotta all’Agricoltura. Poi il nuovo stop, fino a domenica, per chiarire gli ultimi contorni della vicenda.

Sono due, infatti, le chiavi di lettura che consentono di approfondire il lungo valzer dei burocrati: uno fa appello alla politica, e quindi alla possibilità di indirizzare le “nomine” sulla base (anche) dei desiderata dei partiti. Una specie di fantamercato che appassiona gli addetti ai lavori (pochi). L’altra chiave, invece, è legata alla giurisprudenza e alla liceità degli atti dell’amministrazione. Qualora venisse a mancare, il rischio è devastante: abuso d’ufficio e danno all’erario. Un dirigente di “terza fascia” nominato ai vertici della dirigenza, infatti, vede il proprio compenso (a carico dell’amministrazione) più che triplicato. Per cui sarebbe logico porsi due domande. Domande che si annidano in sedici anni di storie e di contenziosi, che una cosa però l’hanno chiarita: alle posizioni apicali della burocrazia possono ambire i dirigenti di prima e di seconda fascia, non quelli di terza. E’ sancito dalla legge regionale n. 20/2003, su cui è intervenuto anche il commissario di Stato, Romagnoli, per bocciare l’inciso (art.11, comma 5) secondo cui era possibile conferire gli incarichi “a dirigenti dell’amministrazione regionale appartenenti alle altre due fasce” oltre la prima. Sarebbe stata una palese violazione dell’articolo 97 della Costituzione. Poco dopo si è adeguata anche la Corte Costituzionale che ha dichiarato cessata la materia del contendere.

Non per la Regione siciliana, che ignorando numerose sentenze sul tema, ha deciso infischiarsene per sedici anni. Non ha tenuto conto, fra le altre, di una sentenza del Tar del 2012 che diede torto a due dirigenti di “terza fascia”, Salvatore Taormina e Alessandra Russo, contro la nomina di un’esterna (Patrizia Monterosso) a segretario della Regione; né, tanto meno, del pronunciamento del giudice del Lavoro, Elvira Majolino, che accoglie la causa intentata da Alberto Pulizzi, dirigente di seconda fascia, contro l’assessorato alle Infrastrutture e Mobilità della Regione siciliana, nei confronti di Fulvio Bellomo e Vincenzo Palizzolo, entrambi dirigenti di “terza fascia”, in cui si condannano le amministrazioni competenti a ripetere la procedura d’affidamento dell’incarico. Solo che furbizia e ostentazione hanno accomunato vent’anni di esecutivi regionali e nessuno s’è sognato di porre rimedio a una situazione incancrenita, che si innesca nel 2000 con la creazione della dirigenza di “terza fascia”.

Per tentare di aggirare l’ostacolo, la Regione, anziché indire un concorso per garantire la progressione di carriera o procedere con una selezione “esterna” (è la terza fattispecie prevista dalla legge regionale 20/2003 sulla conferibilità degli incarichi dirigenziali), ha rallentato le nomine e chiesto pareri a destra e a manca: prima al Cga, che ha ritenuto di non doversi esprimere su una questione che aveva generato contenziosi (e, pertanto, ha considerato la richiesta “inammissibile”); poi, giovedì scorso, all’Aran, l’agenzia per la rappresentanza negoziale della Regione siciliana, che però interpreta contatti e non norme, e non ha alcuna competenza per esprimersi nel merito. L’agenzia presieduta dall’avvocato Ninni Gallo dovrebbe dare una risposta entro oggi. Nel frattempo la Regione ha bypassato il parere e ogni genere di precauzione. Il 7 marzo scorso, il deputato regionale del Pd, Nello Dipasquale palesava il rischio di produrre atti illegittimi, ma il presidente della Regione non ha mai risposto alla sua interrogazione.

Furbizia e necessità, in questo caso, sono il volto della stessa medaglia. Perché, come ha evidenziato la richiesta di parere inoltrata da Musumeci al Cga il 6 maggio scorso, nella terza fascia “si registrava il maggior addensamento della dirigenza regionale (1204 unità), mentre le altre due erano totalmente, la prima, o pressoché, la seconda (8 unità), sguarnite. E soggiunge che alla data della richiesta la consistenza numerica della seconda fascia si era ulteriormente assottigliata a 6 unità, per effetto di pensionamenti, e si ridurrà a 4 entro la fine dell’anno. Tanto mentre il Governo regionale si accinge, per l’intervenuta scadenza della quasi totalità degli incarichi dirigenziali, a conferire i nuovi incarichi”. Insomma, non c’erano e non ci sono i numeri per garantire una selezione basata su un atto d’interpello interno, giacché fra i dirigenti in dotazione alla Regione in pochissimi vantano i galloni della “seconda fascia”. Entro la fine dell’anno, saranno soltanto in quattro: l’ex parlamentare Salvo Giuffrida, Alberto Pulizzi, Cono Antonio Catrini e Donata Giunta, che a questo giro non ha partecipato al turnover. Gli altri tre, invece, sono rimasti fuori dai giochi. Il più giovane è Pulizzi, 51 anni, attuale dirigente generale all’Istituto regionale dell’olio e del vino.

Tutto ciò premesso, il governo è andato avanti. Musumeci ha deciso di togliere il dipartimento dei Rifiuti a Salvo Cocina, la cui firma compare sulla pratica che ha concesso l’ampliamento per 1,8 milioni di metri cubi alla discarica dei Leonardi, a Grotte San Giorgio. E l’ha affidato a Calogero Foti, capo fino a ieri della Protezione civile. E’ stata promossa anche Carmen Madonia, capo di gabinetto del governatore, che adesso andrà a rivestire l’incarico di dirigente generale alla Funzione pubblica e al personale. Mentre Giovanni Bologna, burocrate buono per tutte le stagioni, continuerà a riempire la casella del dipartimento al Lavoro (ad interim), oltre ad occupare l’Ufficio legislativo e legale di palazzo d’Orleans. Fra le new entry anche Maria Concetta Antinoro, architetto, che andrà a dirigere l’Autorità di certificazione dei programmi finanziati dall’Unione Europea, e il ritorno di un cuffariano doc come Rino Beringheli, che va all’Urbanistica al posto di Giovanni Salerno (transitato al Corpo Forestale). Tutti di “terza fascia”, va da sé.

Nello Dipasquale, il deputato “impiccione” del Pd, però non si arrende: “Non posso non ribadire con forza l’illegittimità amministrativa e contabile di tale condotta che mette in serio pericolo la funzionalità stessa dei dipartimenti per le conseguenze amministrative che ne derivano. Non comprendo l’ostinazione e l’atto di forza consumato da questo governo regionale anche a discapito degli stessi funzionari ‘prescelti’, certamente meritori, ma che da tanto, troppo tempo, attendono quei concorsi che daranno il giusto riconoscimento alle grandi professionalità in seno al personale regionale”. Dipasquale, che tre mesi fa ha presentato un’interrogazione a riguardo (e ancora attende una risposta), individua un modo per uscire dall’impasse: “L’attuale vacatio della dirigenza legittimamente può e deve essere affrontata attraverso l’indizione di nuovi concorsi pubblici anche utilizzando la riserva, a oggi mantenuta dalla legge Madia, del 50% per il personale interno, in possesso dei requisiti culturali e professionali, che merita giustamente la possibilità di un avanzamento di carriera”. Ma gli atti illegittimi restano illegittimi. Così l’ennesimo atto d’arroganza, in un giorno non troppo lontano, potrebbe costare carissimo a questa povera Regione.