Quella che entro il 5 marzo varcherà l’ingresso di Sala d’Ercole, è una Finanziaria che scontenta tutti. Con pochissime (e ininfluenti) norme di spesa, coperture incerte, tagli corposi e un presunto disavanzo da ripianare. Che la Corte dei Conti metterà nero su bianco fra un mese o due. Che fare, nel frattempo? “Bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che, oggi, non siamo in grado di fare una Legge Finanziaria – dice Alfio Mannino, segretario regionale della Cgil -. Sarebbe più utile riprogrammare l’esercizio provvisorio per altri due mesi e confrontarsi coi magistrati contabili per accelerare il giudizio di parifica. E poi ricominciare daccapo. Ma almeno avremmo dati certi su cui basarci”. Mannino lo dirà anche ad Armao, che ha convocato le parti sociali per lunedì mattina. Ma il governo sembra aver già scartato l’ipotesi. L’assessore all’Economia, infatti, ha assicurato che si procederà pur in assenza del rendiconto parificato e che, per mettersi al riparo da eventuali nuovi buchi, verranno accantonati 100 milioni: “Sono insufficienti”, assicura Mannino.

Perché?

“Da voci di corridoio, la Corte dei Conti potrebbe certificare uno squilibrio che va da 300 a 400 milioni, e il decreto legislativo n.118 del 2011 parla chiaro: bisognerebbe ripianare quel deficit nei prossimi tre esercizi, a partire da quello in corso. Ecco perché non ha senso fare una Finanziaria che potrebbe avere una valenza di un mese o due prima di essere stravolta”.

Ma ci sono margini per migliorarla?

“Se non ci dovessero essere i margini per rinviarne l’approvazione, va certamente migliorata. E andrebbe riscritta seguendo alcune direttrici: in primis, gli enti locali. Di fronte alla crisi sociale che stiamo attraversando, non si può pensare che i comuni, cioè l’interfaccia dei cittadini, non abbiano certezza delle risorse disponibili. Un discorso a parte meritano le ex province. Il governo Musumeci non ha previsto nulla per gli enti d’area vasta, che invece, a differenza dei comuni più piccoli, dovrebbero attingere a competenze, professionalità e servizi più qualificati. Se per i primi sei mesi di legislatura andava bene puntare il dito contro Crocetta che le aveva abolite, dopo tre anni non ci si può ritrovare nella stessa, medesima situazione di allora”.

Quali sono le altre priorità?

“Rivedere la politica del welfare, e tutti quei servizi che erano stati tarati su un modello di società che non esiste più, che si è evoluta negli anni. A partire da qui, si potrebbe investire sulle politiche dell’infanzia, che sono strettamente correlate allo sviluppo dell’occupazione femminile e, perché no, sull’innovazione tecnologica. Ma dobbiamo farlo adesso”.

Ha toccato il tasto dell’innovazione, che è centrale nell’utilizzo prossimo venturo delle risorse del Recovery Fund. La Sicilia si farà trovare pronta? Cosa occorre?

“Servono le riforme. Le faccio un esempio su tutti. Il 70% del Recovery è destinato alla digitalizzazione e alla green economy. Ma come pensiamo di poter drenare le risorse a disposizione senza aver prima riformato il piano dell’energia? La nostra regione produce energia da fonti rinnovabili, ma non riesce ad utilizzarla perché mancano le reti per trasportarla e renderla fruibile. Vale la stessa cosa per i rifiuti: come faremo ad accaparrarci i fondi destinati alla transizione ecologica, al riciclo e al riuso, se non adottiamo un piano dei rifiuti all’avanguardia?”.

Sta dicendo che siamo spacciati e che le risorse finiranno altrove?

“Il rischio esiste. E il fattore tempo è determinante: le linee guida del Recovery stabiliscono che la progettazione deve essere pronta nel 2022, mentre le opere vanno realizzate entro il 2026. Bisogna, pertanto, costruire le condizioni normative e amministrative per essere pronti allo start. Ma se allo start devi ancora capire che progetti fare, rischi di arrivare fuori tempo massimo”.

Parliamo del futuro prossimo della Sicilia, senza andare troppo oltre. Quando vedremo i veri effetti della pandemia?

“Temo nella seconda parte del 2021. E le spiego il motivo: il governo nazionale, con tutti gli errori e i limiti del suo operato, fin qui ha messo in circolazione 110 miliardi. Io credo che dopo i ristori promessi da Draghi, non potremo stressare ancora a lungo le finanze pubbliche. Tutti fanno affidamento alla gestione del Recovery ma, ammesso che l’iter non subisca intoppi, non vedremo i soldi dell’Europa prima del secondo trimestre dell’anno prossimo. Senza ristori e con lo sblocco delle cartelle esattoriali, la seconda parte del 2021 potrebbe presentare effetti drammatici. E’ a quel punto che la Regione dovrebbe mettere in campo le proprie risorse”.

Il problema è che la Regione, come si evince dall’ultima bozza di Finanziaria, non ha risorse. E l’effetto della manovra bazooka si è già esaurito.

“In realtà dobbiamo ancora spendere qualcosa come 1,5 miliardi di residui della vecchia programmazione europea, e ci troviamo dentro uno scenario normativo in cui il Ministero, sulla base di un’indicazione dell’Unione, ci dice che questi soldi – purché aggrediscano le conseguenze sanitarie ed economiche della pandemia (come la tutela degli ammortizzatori sociali o delle imprese, o il rafforzamento del sistema sanitario) – possiamo spenderli come vogliamo. Perché non fare una ricognizione delle dotazioni disponibili e immetterle subito nel circuito economico?”

Cosa farebbe?

“Interverrei sul trasporto pubblico locale. Prevedendo premialità per tutti i comuni che decidono di convertire le infrastrutture di base e i macchinari, puntando sull’elettrico. Certo, è un investimento importante, ma garantirebbe un ritorno economico certo. A partire dal risparmio di carburante…”.

Avveniristico. Ma qui siamo di fronte a uno scenario in cui molte imprese hanno chiuso e altre sono destinate a fare la stessa fine.

“Io non credo che supereremo l’emergenza sanitaria a giugno o luglio di quest’anno. Ma dovrà per forza attenuarsi. E’ mai possibile che una terra come la Sicilia non abbia ancora investito un centesimo sul turismo? Se i numeri saranno gli stessi dell’estate scorsa, un’azienda su due sarà costretta a chiudere”.

See Sicily, il pacchetto di iniziative studiato dall’assessore Messina nell’ambito della Finanziaria 2020, ha avuto poche adesioni. Eppure aveva una dotazione economica di 75 mln.

“La misura non è stata performante. L’idea di fondo – presentare pacchetti turistici organici – non era male. Ma da noi le filiere sono sempre molto frammentate ed è difficile mettere insieme alberghi, operatori, servizi, trasporti… Paradossalmente, era una misura troppo ambiziosa per la capacità d’assorbimento del nostro sistema. Adesso occorre una campagna aggressiva: bisogna fare qualsiasi cosa – ad esempio, dare soldi alle compagnie aeree per incentivare le rotte sull’Isola – perché non possiamo più permetterci che centinaia di migliaia di imprese finiscano travolte”.

Lei ha parlato prima di fondi comunitari. Se effettivamente la Regione ha in pancia 1,5 miliardi e non riesce a spenderli, sarà pure un problema di burocrazia. C’è una norma ad hoc, in Finanziaria, per trattenere in servizio una manciata di dirigenti che compiranno 67 anni e che si occupano di programmazione comunitaria. Basterà?

“Il nostro problema è che abbiamo un centro di spesa per ogni dipartimento regionale: 34 in tutto. Mentre la Regione Campania, che ha i nostri stessi fondi strutturali, ne ha soltanto tre. Piuttosto che trattenere i burocrati o avere una macchina frammentata in 34 segmenti – in cui uno non sa quello che fa l’altro – bisognerebbe concentrare la spesa dei fondi strutturali su tre dipartimenti: da un lato per avere maggiore omogeneità e coerenza sugli interventi, dall’altro per esercitare maggiore controllo sui processi amministrativi”.

E magari accompagnare questa riduzione dei centri di spesa, con la riqualificazione di una burocrazia troppo anziana. Un processo sui cui pesa l’accordo Stato-Regione e il divieto di assumere.

“Infatti credo che sul personale sia stato fatto un grave errore. Serviva un altro tipo di ragionamento: dare nuova linfa e prevedere concorsi per figure e professionalità di cui oggi siamo sprovvisti. I dipendenti di oggi devono essere nativi digitali. Piuttosto che bloccare in maniera semplicistica assunzioni e turnover, occorreva costruire misure più flessibili”.

Armao e Musumeci l’hanno sempre detto: non si tratta dell’accordo più favorevole, ma è quello che contiene le condizioni migliori che è stato possibile ottenere.

“C’è un altro tema su cui abbiamo sollecitato l’assessore Armao, che non è stato portato avanti negli ultimi negoziati: mi riferisco alle imposte di produzione relative alla raffinazione del petrolio, che dovrebbero rimanere in Sicilia – e non andare allo Stato – per ricompensarci, quanto meno, dell’impatto ambientale ricadente sul nostro territorio. Il tema è stato posto con successo in altre regioni. Non dobbiamo ragionare solo di tagli, ma anche incrementare le entrate”.