Squadra che perde non si cambia. Sembra questo il leit motiv che accompagnerà la corsa alla segreteria siciliana del Partito Democratico. Sia chiaro, non ho mai condiviso il principio del nuovo a tutti i costi e nemmeno quello, ancora più fondamentalista, della rottamazione. Sono le idee che devono cambiare, aderire alla realtà e diventare attuali, mica gli uomini. Certo, se poi quegli uomini (e quelle donne) sono gli stessi che hanno segnato le sorti di un partito ai minimi storici e che oggi si ripropongono come nuovo che avanza, come se il passato appena trascorso non li riguardasse, come se i colpevoli del fallimento andassero cercati altrove, allora qualche domanda sarebbe opportuno porsela.

Il PD siciliano dovrebbe prima di ogni cosa smettere di essere un partito di notabili e di apparato. Perché solo in un partito di notabili e di apparato può accadere che i responsabili regionali e provinciali, anziché cacciati o al limite ridimensionati dopo le batoste elettorali, vengano premiati con un posto in Parlamento. Le prime battute della corsa verso la segreteria regionale hanno mostrato un partito pronto a cadere nello stesso errore: non ascoltare la base, gli elettori, i tesserati, gli attivisti, finanche i simpatizzanti. Il solito piatto pronto e cucinato da dare in pasto, prendere o lasciare.

Come in un film già visto, in campo sono scese le stesse squadre con gli stessi giocatori di sempre, dove per alcuni cambia solo il ruolo, ma il modulo proposto è sempre lo stesso: conquistare il potere all’interno del partito per poi imporre i propri notabili, il proprio apparato. Mentre si è completamente dimenticato che c’è una base, o quello che ne rimane, smarrita, priva di riferimenti, priva di sostegno in quei comuni dove il partito ancora amministra, nei consigli comunali, nei quartieri, nelle periferie. Una base che si vede ancora una volta snobbata e costretta ad assistere alla finestra alla lotta fratricida di un partito ormai alla canna del gas, tra comunicati, botta e risposta, slogan e hashtag che ormai non fanno più paura a nessuno, nemmeno all’elettore più sprovveduto.

Si sperava in un’inversione di tendenza, in una presa d’atto e di coscienza che i tempi sono cambiati e che un certo modo di fare politica rappresentasse ormai un ricordo. E soprattutto si contava in una fase di ricostruzione che partisse proprio dal basso. E invece, nel PD siciliano, è come se il tempo si fosse fermato, come se non fosse accaduto nulla, come se i sondaggi impietosi non rivelassero un partito nei bassifondi delle preferenze dell’elettorato. L’approccio dei contendenti alla segreteria regionale sembra lo stesso di quando il partito viaggiava a percentuali altissime, era forza di governo e godeva a prescindere del sostegno della base. Oggi non è proprio così, è esattamente il contrario. Forse credono di giocare una partita da tutto esaurito in uno stadio che in realtà è semivuoto.