“Prima gli sms, e le telefonate a casa, poi si è presentata lei in carne ed ossa: la mia tracer. ‘Possiamo ospitarla in albergo, a spese dello Stato di New York? Ha bisogno di cibo o medicine? L’aiuterebbe l’assistenza di uno psicologo?'”. Comincia così il racconto di Federico Rampini, inviato di Repubblica per le elezioni presidenziali americane. Anche per lui il Covid si è rivelato contagioso. Ma gli Stati Uniti hanno risposto presente: “La signora di mezza età, etnicamente cinese, si era fatta annunciare in portineria chiedendo il permesso di salire da me (“qualcuno si rifiuta di ricevermi”) – racconta Rampini -. È una dei diecimila assunti nella task force locale dei covid-contact-tracer”.

“L’ha allertata l’ambulatorio City-Md sulla 57esima strada e Ottava Avenue, dove venerdì ero risultato positivo al tampone: gratuito anche quello, venti minuti di fila senza prenotazione, cinque di attesa per il risultato. Per tutta la durata del colloquio, mezz’ora, la signora è rimasta in piedi sul pianerottolo a cinque metri di distanza. Gentilissima, prima si è voluta informare sul mio stato di salute, se io viva da solo, se abbia bisogno di aiuto da un’assistente sociale. Poi il questionario si è dilungato sui sintomi, nel mio caso per fortuna pochi e lievi (un paio di sere con la febbre, colpi di tosse sporadici). Altre domande su mia moglie, visto che viviamo nello stesso appartamento, e il distanziamento tra noi non è semplice: lo Stato potrebbe ospitare uno di noi due in albergo”, dice Rampini, in un articolo apparso ieri su Repubblica.

“La tracer mi ha chiesto di aiutarla nel ricostruire dove può essere accaduto il contagio (congettura: nel Wisconsin durante il mio reportage tra gli elettori, i repubblicani erano tutti senza maschera). Mi ha domandato nomi e recapiti di persone che possono avermi frequentato da vicino quando ero già portatore del virus. Mi ha suggerito di scaricare sul mio smartphone la app Immuni, versione newyorchese, in modo da avvisare automaticamente gli altri nelle mie vicinanze. Questa app, ha precisato, protegge la mia privacy: allerta senza fornire la mia identità ai destinatari”.

“È stato un incontro molto politically correct, nel rispetto della privacy e dei diritti, ma anche sotto il segno dell’efficienza – ha detto ancora Rampini -. Avveniva al terzo giorno dal mio tampone positivo, weekend incluso; già avevo avuto diverse conversazioni con altri tracer al telefono, inclusa una ragazza dall’accento afroamericano che mi ha assicurato: “Pregherò per lei”. Ci sono voluti troppi morti, troppi errori iniziali, ma con sette mesi di ritardo New York ha imparato ad essere più simile a Tokyo e Seul. Abbiamo subito un disastro. Non è stato inutile. Oggi questa metropoli – con meno di nove milioni di abitanti – sta facendo più test quotidiani di tutta l’Italia”.