Alla Regione non ci sono nemmeno i soldi per pagare le bollette. E questo si traduce in 22 milioni d’aiuti, appena ventidue, che il presidente Schifani e l’assessore all’Economia, Marco Falcone, hanno inserito nel disegno di legge sulle variazioni di Bilancio. Dopo un’attenta ricognizione, va da sé. “Il governo della Regione ha ritenuto di dover intervenire con questo stanziamento per far in modo che possano garantire la continuità dei servizi erogati ai cittadini”, ha confermato Schifani. La proposta andrà al vaglio della seconda commissione dell’Ars prima di arrivare in aula per l’approvazione definitiva. La somma sarà così suddivisa: 20 milioni di euro sono destinati ai Comuni e verranno ripartiti in base alla popolazione. Gli altri 2 milioni (divisi per il 40% in base alla popolazione e per il 60% in base al numero delle classi scolastiche) andranno alle ex Province, ai sei Liberi consorzi di Comuni e alle tre Città metropolitane. Briciole.

Ma non si poteva fare altro. Il primo disegno di legge del nuovo corso, che va approvato a stretto giro di posta, non consente sfarzi. Ma nemmeno il minimo sindacale. Contiene una serie di misure per ripianare alcuni debiti fuori bilancio dell’ultimo trimestre, e accantona somme in previsione di nuovi contenziosi. Sarà un’operazione da circa 300 milioni di euro, ma la fetta più grossa del malloppo servirà a ripianare il “buco” del Fondo sanitario che negli anni scorsi, secondo una recente sentenza (di condanna) della Corte Costituzionale, è stato utilizzato (malamente) per pagare le rate di un mutuo con lo Stato. Una trentina di milioni, invece, saranno utilizzati per riaprire la trattativa coi regionali per il rinnovo dei contratti: nell’ultima Finanziaria di Musumeci e Armao erano stati previsti all’uopo 54 milioni, che però non bastano.

Ma il risultato più sconvolgente è quello degli aiuti, anche se l’assessore alle Autonomie Locali, il cuffariano Andrea Messina (ex sindaco di San Giovanni La Punta, per altro) prova a riassumere con toni che ‘cozzano’ con la realtà: “Abbiamo raggiunto un traguardo importante, dando così la possibilità ai Comuni di alleviare il pesante fardello del pagamento delle bollette dell’energia elettrica. In questo momento è l’importo massimo che potevamo corrispondere – ammette però l’assessore -. Le somme non sono state sottratte al fondo delle Autonomie locali, si tratta di risorse aggiuntive. Questo contributo straordinario permetterà di evitare ai Comuni il dissesto finanziario”. Sarà come dice lui, ma venti milioni sono davvero bazzecole rispetto alle sofferenze di cassa palesate in questi anni dagli enti locali. E fanno a pugni persino con l’iniziativa bipartisan di risollevare le province. Il Pd ha appena depositato un disegno di legge all’Ars, Forza Italia (il gruppo che rappresenta Schifani) è sulla stessa lunghezza d’onda. Ma con quali soldi riusciranno a sopravvivere questi enti di area vasta? E chi pagherà gli stipendi dei nuovi rappresentanti istituzionali, ora sostituiti in blocco dai commissari? Mistero.

Il prologo non è dei migliori, anche se Schifani – bontà sua – è sempre alla ricerca di una soluzione migliore. Nei giorni scorsi aveva annunciato un corposo piano d’aiuti per famiglie e imprese strozzate dal caro bollette, ma nella seconda riunione di giunta è stato rinviato pure l’obiettivo minimo della moratoria Irfis: “Verrà sospeso il pagamento della quota capitale della rata in scadenza del mese di dicembre dei mutui”, aveva annunciato il presidente della Regione lo scorso 7 novembre, a margine di un corteo di protesta a Palermo. Se ne riparlerà la prossima settimana. Quando sul piatto dovrebbero finire anche 300 (o addirittura 400) milioni per dare respiro all’economia. Come? Ovviamente per via amministrativa, senza attendere la prossima Legge di Stabilità. Ma per arrivare a tanto bisogna utilizzare la ricetta Armao: una rimodulazione complessiva dei fondi europei che avrebbero dovuto sostenere gli investimenti e che invece, come accadde in epoca Covid, saranno utilizzati per la spesa corrente. O meglio ancora: per l’emergenza. “Sono fondi che si sarebbero persi – ribadisce Schifani a Repubblica – mi risulta che anche in passato sia accaduto di fare una rimodulazione di questo tipo. Sarebbe uno spreco rinunciare a risorse che possiamo invece mettere a disposizione dei siciliani”.

Se le risorse, effettivamente, non si potranno spendere su progetti che si sono arenati, rischiano di tornare indietro il 31 dicembre. Ma ottenere una rimodulazione, come dimostra la storia recente, non equivale a uno schiocco di dita. Per questo Schifani è già in pressing sul ministro della Coesione territoriale, Raffaele Fitto, allo scopo di ottenere un iter più rapido. Da martedì prossimo, nella settimana che porterà alla parifica della Corte dei Conti, il presidente della Regione tornerà a Roma per l’avvio di una trattativa col Ministero dell’Economia. La Sicilia si presenterà ancora una volta col piattino in mano per chiedere a Giorgetti 600 milioni a titolo di compensazione per l’aumento della spesa sanitaria. Quei soldi, se arriveranno, rappresentano il corrispettivo (quasi speculare) della cifra che dovrà essere accantonata nel caso in cui la magistratura contabile andasse avanti nelle sue contestazioni relative alla spalmatura del disavanzo. Insomma, un salvagente per non affondare. Non è certo l’inizio sperato.