Sicilia Digitale non ha visto un euro di commessa da parte del governo Musumeci, così il suo presidente (che guadagna 30mila euro l’anno e non può svolgere altre attività professionali) ha fatto le valigie e si è dimesso. L’addio di Massimo dell’Utri, “per motivi personali” secondo la presidenza, altro non è che un segnale di rottura da parte di Saverio Romano – di cui dell’Utri è riferimento – e del suo Cantiere Popolare, che mal sopportano lo snobismo di Musumeci e Armao. Ma veniamo alla storia di Sicilia Digitale: l’azienda partecipata, da sempre area d’influenza (e di conquista) da parte dei centristi, è una scatola vuota che serve a poco. Dell’Utri avrebbe voluto rimettere in moto la macchina degli appalti, approfittando anche degli stanziamenti a pioggia da parte dell’Unione Europea, ma il governatore e il suo vice hanno dirottato le somme altrove. In particolar modo sul progetto dell’Agenda digitale: 350 milioni di euro per portare la fibra in tutti i comuni siciliani e acquistare nuovi software. Ma di questo processo, gestito attraverso Openfibra (per la parte della rete veloce) e Consip (software), Sicilia Digitale non fa parte. Ed è rimasta confinata.