Non è affatto tenero col suo partito. Sollevato, sostiene di non occuparsene più (la teoria del pop corn). Da quando ha mollato la segreteria del Pd, Matteo Renzi è un battitore libero e un senatore semplice. Dice ciò che gli pare. E sul commissariamento del partito in Sicilia ha le idee chiare: “Faraone è stato fatto fuori perché argine al disegno politico di un accordo coi Cinque Stelle – ha spiegato l’ex premier a Mario Barresi, su “La Sicilia” – Penso che le sue iniziative “on the road” siano sacrosante. Prendo atto che adesso è fuori dal Pd, avendo restituito la tessera. Spero che chi di dovere affronti il tema, altrimenti sarà solo l’inizio di una lente emorragia. Poi se vogliono tenersi la ditta ce ne faremo una ragione”. Si cala a pieno nel clima da intifada siciliana. Usa gli stessi termini di Faraone (con “ditta” fa riferimento ai “padroni delle tessere”) e non si impietosisce di fronte al tentativo della commissione nazionale di garanzia di riportare l’ordine con la nomina a commissario di Losacco: “Mai vista una decisione come quella di tornare sopra due volte lo stesso procedimento: la commissione di garanzia aveva già deliberato. Non importa essere laureati in legge per conoscere il principio “ne bis in idem””. A Renzi, però, non piace l’idea di costruire un nuovo soggetto politico rivolto ai moderati. Lo infastidisce l’ipotesi di un accordo dall’alto con Micciché: “Penso che la gente di centro in Sicilia non si riconosca in chi a Lampedusa va insultare migranti e volontari. Tuttavia sarebbe un errore pensare di costruire nuove iniziative politiche partendo dai vertici. Io spero che noi torneremo a prendere il voto di chi alle ultime elezioni ha scelto il Movimento 5 Stelle o Forza Italia, ma riusciremo a farlo solo se saremo profondamente innovativi”.