Questi volti ce li porteremo dietro per una buona fetta del 2022. Una collezione ristretta di figurine. Musumeci, De Luca e Fava sono i prossimi competitor – noti – per la presidenza della Regione. Non sarà uno scatto di cento metri a decidere la partita, bensì una lunga maratona che è già entrata nel pieno del suo svolgimento. Questi si sono già candidati. Informalmente, va da sé. E mentre il governatore uscente, vicino all’accordo con Giorgia Meloni, dichiara di aver fatto preparare i santini elettorali e di aver pronte le liste, il sindaco di Messina ha già fissato una deadline per la sua discesa in campo: il 5 febbraio. L’ultima data utile per consentire all’assessorato regionale agli Enti locali di inserire la città peloritana nel lotto di quelle che andranno al voto in primavera, evitando così l’onta del commissariamento. A gennaio, però, scenderanno in campo i suoi comitati di liberazione della Sicilia. Fava, invece, resta nel limbo. E’ il candidato di lungo corso: si impegnò ufficialmente sotto Pasqua, ma siamo già a Natale e fatica a farsi largo.

Non è colpa sua. Il presidente della commissione Antimafia ha già lanciato l’amo da parecchio tempo. E’ stato rinfrancato dai buoni risultati raggiunti dalla sua lista (Cento Passi) alle ultime Amministrazione. Vanta un curriculum e una moralità di indubbio valore. Ma gli alleati balbettano. Non hanno ancora deciso come e quando muoversi. Anche se – questo è sin troppo evidente – non sono disposti a concedergli la scena a cuor leggero. Tutto, o quasi, dipende dalle scelte del Movimento 5 Stelle, che attende il ‘libera tutti’ da Roma. Trattasi della decisione di Giuseppe Conte, il capo politico, sul nuovo referente regionale. Potrebbe essere Giancarlo Cancelleri. Ma non è detto. Per questo i dem sono costretti ad allargare il raggio delle trattative: nel corso dell’ultima competizione elettorale, il segretario Barbagallo si è trovato a chiudere accordi persino con l’ex Iena Giarrusso, nemico giurato del sottosegretario alle Infrastrutture. Con cui lo stesso Barbagallo, invece, vanta ottimi rapporti.

Ma la trama va scucita e ricucita daccapo qualora il coordinatore non dovesse essere Cancelleri. Fermo restando che alla decisione per palazzo d’Orleans si giungerà dopo l’accordo su Palermo (possibile, nonostante Orlando) ed eventualmente il cammino delle primarie. A cui Fava s’è detto disposto a partecipare. In rotta di collisione, per il M5s, potrebbero finire lo stesso Cancelleri e Luigi Sunseri, deputato di Termini Imerese e membro della commissione Bilancio all’Ars. Ha dato la sua disponibilità a scendere in campo pure Nuccio Di Paola, iscritto però al Cancelleri Fan Club. Mentre all’interno del Pd ci si muove di soppiatto. Barbagallo ha più volte fatto riferimento a una donna: potrebbe essere l’ex magistrato, e attuale europarlamentare, Caterina Chinnici. Gli altri pretendenti restano il medico di Lampedusa, Pietro Bartolo (forse la suggestione più forte), e l’ex ministro per il Sud, Peppe Provenzano. Che attualmente ricopre l’incarico di vice-Letta e non sembra ben disposto ad accettare. Chiunque sia, dovrà sobbarcarsi l’onere dei gazebo. In questo campo largo, almeno il metodo pare condivisibile.

Di ben altro spessore le questioni nel centrodestra. Musumeci, uscito rinfrancato dall’ultimo sondaggio di Noto per Italpress (dove risulta il più popolare), deve fare i conti con l’innominabile Scateno (“All’inizio ho dato massima disponibilità al sindaco De Luca, ma non mi pare che insultare continuamente il presidente della Regione possa essere un metodo”, ha ribadito questa mattina a ‘La Sicilia’), ma anche coi partiti, che appaiono sempre più refrattari al suo ritorno a palazzo d’Orleans. E non bastano i ringraziamenti formali nel discorso d’auguri di fine 2021. Né le aperture verso i nemici interni nel corso dell’intervista concessa a Mario Barresi sul quotidiano etneo: “In qualche caso le divisioni tra noi, più che per la politica sono state per ragioni caratteriali. So di non avere un buon carattere per essere rigoroso con me stesso, ma sono una persona leale. Con Gianfranco (Micciché) siamo diversi, inutile negarlo. Ma io credo che in fondo lui sappia che chi ci vuole fare litigare raramente è in buona fede”. E Stancanelli? “Non comprendo perché si possa far prevalere il risentimento personale su tutto. Un risentimento unilaterale”.

Ma i primi quattro anni di legislatura, più che nei risultati amministrativi (scarsi), sono stati disastrosi a livello di rapporti. Gli sfoghi pubblici del presidente (contro la partitocrazia) sono stati accolti con rispettoso silenzio dagli altri leader. Mentre le visite a domicilio da Salvini e Meloni (con la quale Musumeci nega un accordo ufficiale “A oggi c’è solo un dialogo e un’intesa sugli obiettivi comuni”), per ottenere un’investitura dall’alto che non arriva, sono risultate persino fastidiose. Quanto le fughe in avanti dello Spasimo e delle Ciminiere, a novembre, dove il governatore ha detto che la questione non si pone nemmeno. Per un uscente ricandidarsi è naturale: ‘anche senza una coalizione?’, verrebbe da chiedersi. Micciché fa di tutto per intralciarlo, e tira in ballo persino il fratello Gaetano, bankistar se ce n’è una. Ma il vero problema del centrodestra è l’incapacità di individuare un possibile sostituto. Uno disposto anche a perdere. Musumeci sembra destinato a rimanere in pista, indipendentemente da ciò che sceglierà di fare (e di essere) la coalizione di centrodestra.

Ma non è come farsi largo nell’oscurità. Nel 2012 la rivalità fra Musumeci e Micciché consegnò la Regione a Crocetta. E anche questa volta c’è già un problemino interno; l’ha posto Cateno De Luca. Con la sua discesa in campo ha reso il centrodestra monco. Gli sottrarrà voti. E potrebbe persino farlo perdere. Nei sondaggi che circolano in queste settimane, Scateno è molto accreditato. E ha già ribadito ai partiti – che hanno provato a dissuaderlo – di non accettare controproposte: né la vicepresidenza (con Musumeci sarebbe comunque impossibile), tanto meno la delega a programmazione e Bilancio. “Il mio sogno è fare il presidente della Regione. Spero che Musumeci sia candidato, così i siciliani potranno inchiodarlo alle sue responsabilità”, ha detto in una delle sue dirette Facebook più recenti. La propensione al dialogo di De Luca – con Cancelleri e Barbagallo fra gli altri – per un istante aveva lasciato pensare ad alleanze spurie. Non ce ne saranno (con buona pace del modello Draghi). Ma Pd e 5 Stelle puntano sul sindaco di Messina per riprendersi la Regione. O non avranno troppe chance, come dimostrano gli ultimi sondaggi (il centrosinistra è al 36%).

Di altre proposte, per il momento, nemmeno l’ombra. Il destino del segretario della Lega, Nino Minardo, e dell’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Raffaele Stancanelli – indicati come ‘papabili’ nell’ambito del centrodestra – resta legato agli accordi di coalizione in senso largo. Sono uomini di partito e non si muoveranno senza il beneplacito di Salvini e Meloni. Ad avere un ruolo in questa partita regionale saranno soprattutto loro. I maggiorenti del centrodestra. Che fin qui si sono limitati al ruolo di giudice arbitro (come nel tennis). Ma un giorno non troppo lontano – cioè dopo l’elezione del Capo dello Stato – torneranno a competere per la leadership della coalizione. La Sicilia, in questa competizione, ha un valore speciale.