Il solito ritornello che si ripete: “Puntiamo su Lampedusa perché è il primo porto sicuro”. Finché il ministro non esibisce i muscoli e dice di stare alla larga. Ma capita spesso, ormai, che le parole di Salvini siano superate dallo “stato di necessità”, e che come nel caso di Carola o di Alex, il veliero di Mediterranea che ieri ha scelto l’arma della disfida, non se le fili più nessuno. Dopo la prova di forza della Sea Watch, che è costata alla capitana Rackete il quasi-speronamento di una motovedetta e l’arresto a bordo (ma non la convalida della misura cautelare per aver “sfidato” una nave da guerra), c’è voluto un coraggioso parlamentare della Repubblica, Erasmo Palazzotto, capomissione di Alex, a far saltare il banco. Dato che Salvini non concedeva l’autorizzazione allo sbarco, il politico di Liberi e Uguali si è gettato in acqua – violando il divieto – e ha implorato che un medico dell’Asp salisse a bordo per valutare le condizioni dei migranti. Finché in nottata non li hanno fatti scendere.

La battaglia fra Salvini e le Ong, che è partita la scorsa estate da Aquarius e Diciotti, va avanti. E si consuma sulla pelle di un’Isola che per qualche tempo aveva dimenticato le luci dei riflettori (l’hot spot è stato ridimensionato), anche se in passato, nel mare di Lampedusa, si erano verificati eccidi veri e propri: come nell’ottobre del 2013, quando il naufragio di una imbarcazione libica costò la vita a 308 persone in una notte. Ogni anno sull’Isola se ne ricordano. Nell’ultima occasione, però, lo Stato era assente. Non c’era Salvini a commemorare i morti, non c’era Conte, né Di Maio. Quasi per cancellare l’onta. L’unica colpa di quest’Isola, in provincia di Agrigento ma troppo distante dal continente, è trovarsi in mezzo. Diventare punto d’approdo e motivo di disputa. Dalle acque libiche è un attimo. I comandanti delle navi puntano su Lampedusa anziché su Malta o sulla Tunisia: “E’ il porto più sicuro”, dicono.

Al centro di tutto, ma isolata dal mondo. Ripresa dalle tv, ma abbandonata dalla politica. Che se ne ricorda quando c’è un ingresso da vietare o un’indagine da compiere (e i lampedusani, all’ultimo giro, hanno deciso di non votare. I pochi a farlo hanno premiato la Lega). Lasciata un po’ più sola persino da Pietro Bartolo, il medico storico, che ha appena scelto una vita da parlamentare europeo, e che ha comunque detto di non dimenticarsi di essere medico, che medico lo si è sempre, anche distante da Lampedusa. Terra di liti e di conquiste, dove oltre a Salvini e le Ong, alle tv e ai residenti un po’ indifesi, ai turisti (in calo) attratti dalla bellezza, ci sono i barchini fantasma. Che arrivano regolarmente e passano inosservati. Nei giorni della Sea Watch, ne diede conferma il sindaco Totò Martello, che ancora professa i valori dell’accoglienza: “Tutto questo macello sta succedendo perché c’è una Ong che sta portando avanti una operazione di salvataggio. Non è per lo sbarco in sé, figuriamoci. Gli sbarchi a Lampedusa continuano, ma quelli li vediamo solo noi, il Governo non li vede”.

Lampedusa è il posto in cui non vige più nessuna regola (tanto meno quella del mare), né alcun rispetto. E’ il luogo del cuore che si è deciso, consapevolmente, di calpestare. Un puntino sulla carta geografica. Utile per un approdo o per un braccio di ferro. Del resto, chissenefrega.