Dopo la scadenza per la Finanziaria, che a meno di clamorosi colpi di scena l’Ars dovrebbe rispettare (da oggi torna a riunirsi), il prossimo step sono le nomine dei manager della sanità. Anche se in questo caso la politica non sembra ben disposta ad occuparsene. Nonostante i Pronto soccorso affollati, i reparti carenti di medici, le liste d’attesa gonfie e dismisura, manca uno scatto d’orgoglio che consenta ai politici di indicare i nuovi direttori generali che possano pianificare sul lungo periodo, almeno tre anni, abbandonando la fase commissariale che si sta rivelando un boomerang. Ma soprattutto un motivo di enorme imbarazzo per Schifani & Co., date le promesse e gli annunci (ad esempio il fatto che le nomine si sarebbero dovute fare entro il 31 ottobre – con tanto di dichiarazioni ufficiali – è invece tutto è slittato al 31 gennaio).

Ma partiamo da un dato. La sanità siciliana è tornata a vivere giorni complessi: l’aumento delle nuove infezioni da Covid-19, unite al picco stagionale delle influenze, ha ripreso ad affollare i reparti dell’emergenza-urgenza – dove non bastano le risorse di personale – e riempire le corsie di anziani e soggetti fragili. In alcuni ospedali sono stati bloccati i ricoveri programmati per fare spazio ai pazienti positivi. Ma in questo flusso e riflusso di malati, ciò che preoccupa davvero è la carenza di professionisti. Il bando della Regione per il reclutamento di medici stranieri, anche extra Ue, aperto alla fine dello scorso anno, non ha dato grossi risultati: lo stesso governatore, nell’intervista di fine 2023 con il Giornale di Sicilia, aveva parlato di “una cinquantina di richieste” a fronte di un fabbisogno di personale che piazza Ottavio Ziino, lo scorso 27 novembre (data di pubblicazione dell’Avviso) calcolava in 1.494 unità (di cui oltre 200 a Palermo).

Anche se secondo il Cimest (Coordinamento Intersindacale Medicina Specialistica del Territorio), la soluzione è comunque parziale: “E’ pur vero che mancano medici di Medicina generale e medici nei reparti ospedalieri” ma “queste criticità non riguardano gli specialisti accreditati esterni che erogano il 70% di tutte le prestazioni specialistiche del territorio e che potrebbero in pochi mesi azzerare tutte le liste di attesa solo se il governo lo permettesse loro”. E qui viene al pettine un altro nodo: “A causa del sottofinanziamento della specialistica del territorio – si legge in una nota – tutte le strutture accreditate esterne sono costrette a non erogare le prestazioni al 20° giorno di ogni mese per esaurimento dei budget. Ciò produce un notevole allungamento delle liste di attesa non per “mancanza di medici” ma per una non idonea programmazione sanitaria”.

E sebbene con l’avvento del nuovo direttore del dipartimento della Pianificazione strategica, nel 2023 si sia riusciti ad arginare questa problematica, dei 50 milioni utili ad abbattere le liste d’attesa solo una “minima parte” sono state assegnate “alla specialistica del territorio”. In due tranche da 6,5 e 9 milioni per la patologia clinica, la fisiokinesiterapia e l’odontoiatria. Nulla, in confronto alla quantità di prestazioni erogate per supplire alle criticità del sistema sanitario regionale. La coperta, ovunque la si tiri, è troppo corta. E il grido di preoccupazione degli accreditati – accresciuto per altro dal nuovo tariffario imposto da Roma, che prevede una drastica riduzione dei rimborsi per le differenti tipologie di prestazione erogata – s’incrocia con quello della sanità pubblica. Ormai sotto stress. Qualche giorno fa, sul Corriere della Sera, il 95enne Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’istituto di ricerche farmacologiche «Mario Negri» spiegava che “il Servizio sanitario nazionale (Ssn) è un grande bene che non possiamo perdere, per noi e per chi verrà dopo di noi”. E lo è, in primo luogo, per una questione di uguaglianza, solidarietà e democrazia: “Non dimentichiamo che sono poche le persone che possono pagare centinaia di migliaia di euro per una chemioterapia antitumorale o pagare le spese di un trapianto cardiaco o di un intervento neurochirurgico”.

Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel proprio discorso di fine anno, ha ricordato “le difficoltà che si incontrano nel diritto alle cure sanitarie per tutti. Con liste d’attesa per visite ed esami, in tempi inaccettabilmente lunghi”. Ci sarebbe inoltre la questione degli operatori sanitari sottopagati, che sempre più spesso si rivolgono al privato, per poi rientrare negli ospedali come “gettonisti” o sulla base di convenzioni e accordi sottoscritti (a costi ingenti) dalle aziende sanitarie. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: da un lato il personale sempre più in difficoltà, dall’altro l’assistenza che ne risente: “A livello nazionale – ha detto qualche giorno fa Fabio De Iaco, presidente della Società italiana di medicina di emergenza urgenza (Simeu) – stiamo registrando una fortissima pressione su tutti i Pronto soccorso ed in varie regioni sono stati attivati i piani contro il sovraffollamento da parte di ospedali e aziende sanitarie. I piani sono mirati al reperimento di ulteriori posti letto ma, dal momento che i posti letto ospedalieri sono cronicamente insufficienti, in pratica non si può fare altro che sottrarre letti ad altre specialità come ad esempio la chirurgia. Il problema, ovviamente, non si risolve in questo modo”. Moltissimi medici di Pronto soccorso non hanno potuto riposarsi né a Natale né a Capodanno: “Le ferie sono un lusso”.

Con questi problemi senza via d’uscita, che non lascerebbero dormire nemmeno i più ottimisti, l’assessore Volo, in Sicilia, continua a recitare la parte del fantasma. Mentre Schifani continua a non assumere alcuna decisione. Anzi, secondo gli ultimi rumors, le nomine dei nuovi direttori generali potrebbero slittare di ulteriori sei mesi, o comunque dopo le elezioni europee: mettere in ghiaccio la decisione significherebbe evitare di scompaginare i già difficilissimi equilibri dentro la maggioranza. Non c’è l’accordo sui nomi, sul metodo (pescare fra i “maggiormente idonei” o indistintamente fra gli “idonei”?), né sulla collocazione dei prossimi direttori generali, la cui scelta è fortemente condizionata dalle logiche spartitorie dei partiti (che però non l’ammetteranno mai).

Mentre sta venendo meno l’alibi, o il parafulmine, dietro il quale si è riparato lo scorso ottobre il governatore per giustificare la proroga dei commissari: cioè il mancato aggiornamento degli elenchi dei direttori sanitari e amministrativi, figure che servono a completare la governance delle singole aziende. I colloqui si completeranno entro la fine della prossima settimana. I tempi tecnici per ragionare sui manager ci sarebbero tutti, ma non conviene: FdI, che vorrebbe rafforzare la propria posizione grazie al voto di Bruxelles, spinge per un rinvio e anche Schifani si starebbe convincendo che la soluzione migliore, come sempre, è non decidere. Qualcuno dei suoi alleati potrebbe fare storie, ma neanche tante. Ci rivediamo in estate: coi risultati del voto già acquisiti, forse con qualche assessore nuovo, ma ovviamente con la solita emergenza. La sanità scoppia.