Luigi Di Maio ha iniziato la ritirata quattro giorni prima della disfatta in Emilia-Romagna e Calabria, dove il Movimento 5 Stelle ha perso venti punti rispetto alle Europee. Ma prima di trovare riparo nel bunker della Farnesina, in cui ha preso a occuparsi soltanto di politica estera, l’ex leader del M5s ha consegnato al palermitano Vito Crimi, siciliano ma poco avvezzo alle cose palermitane, la reggenza di un partito in disarmo, che fa acqua dappertutto. Non solo: tutto il suo tesoro, frutto di stagioni esaltanti e comizi in maniche di camicia, oggi si trova nell’Isola: ad esempio il maggior numero di deputati regionali (20) e di comuni amministrati (11 su 46 a livello nazionale).

Tuttavia, non basta ammettere che in questa campagna elettorale non ci si è impegnati abbastanza, per giustificare un risultato sconcertante sotto il profilo numerico: il candidato emiliano, Simone Benini, ha preso il 3,5% ed è stato sacrificato sull’altare del voto disgiunto (in favore di Bonaccini); mentre Francesco Aiello, in Calabria, ha raccolto poco più del 7%, ma solo grazie al sostegno di una lista civica. L’ultima trincea per Di Maio e soci rimane la Sicilia, anche se forse i grillini dell’Isola stanno sottovalutando questo genere di responsabilità – alto e gravoso allo stesso tempo – mettendo in moto, come nel resto del Paese, la grande fuga.

Ma perché proprio la Sicilia? L’Isola è quella in cui il Movimento ha costruito un consenso mostruoso alle ultime Politiche, meno di due anni fa, e dove alle ultime Europee, con tutte le difficoltà del caso, i Cinque Stelle si sono confermati il primo partito con oltre il 30%. La Sicilia è quella che Beppe Grillo ha raggiunto a nuoto, prima delle Regionali del 2012 che consegnarono l’incombenza di formare un governo (anzi, più governi) a Rosario Crocetta. Ma è anche la terra che ha permesso ai grillini di conquistare il primo comune capoluogo, dopo Parma: Federico Piccitto, oggi rientrato nel team dei facilitatori regionali, nel 2013 diventò sindaco di Ragusa. E persino nella siccità dell’ultimo periodo, le maggiori soddisfazioni per Di Maio e la Casaleggio Associati arrivano dalle nostre parti: nella primavera dello scorso anno, sia Caltanissetta (con Roberto Gambino) che Castelvetrano (con Enzo Alfano) si tinsero di giallo.

Ma il credito vantato dalla Sicilia nei confronti del Movimento 5 Stelle è di gran lunga maggiore rispetto ai benefici che i governanti grillini hanno procurato all’Isola. Tolto il reddito di cittadinanza imposto da Roma, che ha dato un bel contributo in termini d’assistenzialismo, e mancando altre opportunità di sviluppo, dalle amministrazioni locali sono arrivati per lo più scandali: ad esempio, quello che ha colpito l’ex sindaco di Bagheria Patrizio Cinque, costretto ad autoescludersi dal Movimento a causa di un’inchiesta per abuso d’ufficio a suo carico; o dell’ex sindaco di Gela Domenico Messinese, cacciato a sei mesi dall’insediamento per il clamoroso passo indietro sul progetto “verde” della raffineria, e perché non voleva dimezzare il suo stipendio e quello dei suoi assessori. O l’affaire delle “firme false” a Palermo per le Comunali del 2012, che ha portato a dodici sentenze di condanna (ma interverrà la prescrizione).

E persino l’ultimo tentativo di riparazione – una squadra di governo molto sicilianista – non sembra stia dando gli esiti sperati: il Guardasigilli, Alfonso Bonafede, è prigioniero delle sue gaffe sull’ordinamento giuridico e sulla riforma della prescrizione non convince nemmeno gli alleati; la siracusana Lucia Azzolina, di fresca nomina all’Istruzione, ha già fatto parlare di sé per una tesi della scuola di specializzazione copiata da internet; mentre la catanese Nunzia Catalfo, che gestisce il Ministero del Lavoro, non è riuscita a imprimere un cambio di passo alle numerose vertenze del suo settore, mentre continua a portarsi dietro l’etichetta di “mamma” del reddito di cittadinanza, che nell’Isola ha spesso attecchito nelle migliori truffe organizzate dalle cosche (come dimenticare quella degli spaccaossa?). Una coincidenza, per carità: ma servirebbe qualcos’altro, e qualcosa di diverso, per lasciare un segno tangibile del proprio passaggio.

L’unico a provarci per davvero, è Giancarlo Cancelleri. Il vero faro del Movimento 5 Stelle in Sicilia – e non da ora – che negli ultimi mesi, da vice-ministro alle Infrastrutture, ha raddoppiato gli sforzi per far ripartire i lavori sulle nostre strade da terzo mondo. Anche Cancelleri è “figlio legittimo” di Luigi Di Maio, che ha regalato alla Sicilia ampia rappresentanza al governo e nelle istituzioni. Trovando nell’Isola un modo per sfuggire all’avarizia del Nord-Italia, dove i grillini non contano più nulla. Si sarà lasciato convincere, Di Maio, dall’ultima cavalcata del Movimento 5 Stelle alle Regionali di due anni e mezzo fa, dove per poco Cancelleri non compiva il miracolo di prendersi Palazzo d’Orleans. E comunque, nonostante la sconfitta, ha piazzato all’Ars una vasta rappresentanza grillina, con addirittura venti deputati. Il gruppo più numeroso.

Peccato che la compattezza, l’armonia, il desiderio di lavorare assieme e di fare squadra, – da quando se n’è andato Cancelleri – siano venuti meno anche a Sala d’Ercole. E che il meccanismo si stato innescato – anche qui, c’entrano le coincidenze? – col periodo più nero del governo Musumeci, alle prese con una inconsistenza numerica e una fragilità strutturale che ne ha minato il percorso varie volte: dalla Legge di Bilancio (che ha provocato l’ira della Corte dei Conti) alla legge sui rifiuti. E’ stato proprio in occasione della bocciatura dell’articolo 1 della riforma sulla governance che i grillini hanno cominciato a manifestare un certo dissenso interno. Che qualche giorno fa, dopo l’elezione controversa di Angela Foti a vice-presidente dell’Assemblea (doveva essere Cappello), ha fatto emergere anche Sergio Tancredi, deputato alla seconda legislatura, dalle colonne di Buttanissima: “Parte del gruppo sta iniziando a rendersi conto che ho sempre detto la verità: e cioè che non stiamo facendo quello che è richiesto al Movimento 5 Stelle. Ma che la nostra è un’opposizione senza costrutto e visione politica”.

L’opposizione dei ‘no’ a prescindere, che ha minato gli equilibri interni e creato nuove fronde: da un lato gli “oltranzisti”, termine coniato dallo stesso Tancredi, che vanno avanti a suon di no e non hanno alcuna voglia di stringere patti col diavolo; dall’altro i “responsabili”, come Tancredi, la Foti, Mangiacavallo, magari Valentina Palmeri ed Elena Pagana, che non vogliono sprecare il resto della legislatura a distruggere, ma a costruire, anche se questo dovesse comportare l’eventualità di fare accordi col nemico: il centrodestra. Ed è naturale, umano da un punto di vista politico, che in acque torbide provino a sguazzare anche gli avversari, offrendo sponde e tentazioni nuove. “Non siamo filo-governativi né la stampella di qualcuno – ha chiarito Mangiacavallo a Live Sicilia – Ma il vero dissidente è che dice ‘no’ a tutto”. L’ultimo baluardo del Movimento 5 Stelle è il dialogo. Da partito di lotta a partito di governo è un attimo, come ci insegna Di Maio nella Capitale, capace di passare dal governo con Salvini a quello con il Pd.

“Per noi del M5S è il momento di costruire – ha scritto sui social il deputato Nuccio Di Paola, parlando delle Regionali in Emilia e Calabria – costruire una nuova pagina dopo le tante che abbiamo scritto in questi anni. Si deve costruire non contro qualcuno ma per qualcosa di importante. Adesso uniamo cuore e testa tutti insieme e proiettiamoci agli stati generali di marzo”. Gli ha fatto eco Ignazio Corrao, l’europarlamentare di Alcamo che in passato non ha mai esitato nel prendere distanze e tirare orecchie ai vertici del partito: “Il Movimento 5 Stelle è competitivo alle elezioni locali solo quando ci arriva in maniera organizzata e con un lungo percorso. Siamo riusciti ad andare vicini alla vittoria solo in Sicilia e Molise, ma dove si arrivava con un percorso lungo e ben organizzato. Adesso tutti continuano a dire che il Movimento è finito, ma in realtà io sono convinto che affrontando con serietà i nostri problemi degli ultimi tempi negli Stati Generali, liberandoci di prime donne e persone che mettono l’io davanti al noi, possiamo riprendere il nostro cammino”. Con chi, però? Con quali risorse? La Sicilia sembra la Waterloo di Gigino: se i grillini si frantumano anche qua – in queste ore a Palermo hanno sancito la tregua, ma i problemi (anche grossi) restano – vuol dire che il futuro è un gran casino. Altro che “per aspera ad astra”.