A ciascuno la sua parte. Nella commedia dell’assurdo messa in scena a Montecitorio e altrove. Nonostante la tragedia che incombe. Nonostante si annunci una notte popolata di mostri in Europa. Perché una volta calato il sipario sull’atteso collegamento video del presidente ucraino Zelensky col parlamento italiano, sulla replica del presidente del consiglio Draghi e sui discorsi di circostanza dei padroni di casa, Fico e Casellati, resta solo il desencanto. Il disgusto di continuare ad assistere impotenti a una cattiva recita, a un ipocrita gioco delle parti che più che a Pirandello rimanda a Flaiano. Ancora una volta in Italia la situazione è grave. Sempre più grave. Ma non sembra seria.

Sarà per l’evento Zelensky subito trasformato in avvento dall’informazione mainstream: ecco a voi l’eroe del momento offerto sull’altare del piccolo schermo. Sarà per i troppi applausi dedicati a uno, il presidente dell’Ucraina, che chiede agli italiani di fare di più, ancora di più, sempre più oltre, per il suo paese in guerra, annunciando al contempo fame e sventura per tutti. Noi compresi.

Sarà per il migliore tra noi, il mai eletto Draghi che scandisce: “dobbiamo rispondere con aiuti anche militari alla resistenza ucraina”, armi a cui per la verità Zelensky non aveva fatto cenno. E ripete, super Mario, una frase già pronunciata che deve essergli piaciuta: “l’Italia non intende girarsi dall’altra parte davanti all’inciviltà”. Inciviltà dei russi, si intende. Sarà per la retorica che sommerge gli scranni quando Draghi ringrazia Zelensky: “dall’inizio della guerra l’Italia ha ammirato il coraggio, la determinazione, il patriottismo del presidente e dei cittadini ucraini”. Perché “la vostra resistenza è eroica; oggi l’Ucraina non difende solo se stessa ma la nostra pace, libertà e sicurezza”.  Per questo, aggiunge, merita “l’Italia al fianco anche nel processo di ingresso nell’Unione Europea”.

Sarà pure perché, come sempre, l’ora delle decisioni irrevocabili è priva di informazioni ma ricca di suggestioni cosicché il discorso politico, logos per eccellenza, viene svuotato di contenuti razionali per suscitare solo emozioni. Anzi, per colpire alla pancia sul minimo comun denominatore dell’umanità residua. Il pathos intorno ai bambini, alle donne, ai profughi, perfino ai “fragili” come ha ricordato Draghi, mutuando l’espressione dal linguaggio della pandemia che nel frattempo persiste infrattata.

Comunque sia, i parlamentari italiani hanno applaudito a scena aperta alla guerra. E verrebbe da chiedersi chi tra coloro che ci rappresentano, e anche tra noi che li abbiamo votati, sapesse solo un mese fa cosa succedeva o fosse successo negli ultimi decenni tra i campi di grano dell’Ucraina, nelle verdi pianure che digradano verso la steppa o verso il mare; cosa avveniva o fosse avvenuto in città dai nomi così evocativi come Odessa o Mariupol.

Mariupol, appunto. Al centro delle attenzioni del ministro della Cultura Franceschini che giorni fa ha cinguettato appagato l’approvazione da parte del governo, su sua proposta, di mezzi e risorse per riedificare il teatro distrutto dalla guerra. Perché “i teatri appartengono a tutta l’umanità”.

Che poi chi vive a Palermo medita sulla “appartenenza” del ponte Corleone, imprescindibile per attraversare la città e a rischio crollo come il ponte Morandi a Genova. Di conseguenza riflette sulla attuale distanza siderale tra governati e governanti. Con questi ultimi che sempre di più sembrano simili a Maria Antonietta, l’ultima regina di Francia dell’ancien régime, la quale non appena informata del fatto che il popolo non aveva pane voleva sopperire con le brioche. La fine è nota.

Mariupol, “città martire”, di certo distrutta, ma i morti per fortuna sono meno di quelli attribuiti ai bombardamenti. Difficile capire in questo flusso continuo di bugie, mezze verità, disinformazione, ordinaria propaganda di guerra come siano andate davvero le cose da quelle parti. Mica siamo come gli inviati mai partiti dei giornaloni mainstream, i quali scrivono del conflitto Russia–Ucraina da casa loro in accordo coi loro direttori, come ha denunciato pubblicamente un giornalista d’altri tempi, il siciliano Nicola Lombardozzi che ha trascorso lunghi anni a Mosca come corrispondente del suo quotidiano. Poi uno si chiede perché si dice, appunto, “teatro” di guerra.

Mariupol, dunque, che Zelensky vuole ricostruire assieme a Franceschini “come tutto il Paese, fino all’ultimo mattone”. Magari per questo il presidente ucraino ha molto citato Mariupol durante il discorso alla Camera dei deputati. Con un paragone da brivido: Genova, anch’essa città porto, lo stesso numero di abitanti. E chiedendo agli italiani di immaginare Genova “distrutta, senza più niente, solo rovine, tutto bruciato”. Con le case abbandonate, le fosse comuni, i profughi in fuga, i vecchi, i bambini. Centodiciassette i bambini uccisi in un mese di guerra.

Un afflato emozionale che forse trae ispirazione dal mestiere di attore, il lavoro del presidente Zelensky fino a quattro anni fa. Come è noto, recitava la parte de “Il servo del popolo”, questo il titolo della serie tv, in cui uno sconosciuto professore di Kiev, in lotta contro la corruzione endemica nel suo paese, diventa presidente dell’Ucraina. Detto, fatto, corruzione a parte. Che neppure il filosofo Jean Baudrillard nel suo saggio “La Précession des simulacres” del 1978 avrebbe saputo spiegare meglio la teoria della precessione dei modelli, dei simulacri più veri del vero, della realtà uccisa dai media.

Se sopravvivremo, avremo modo di farci un’idea sulla fiction ideata dallo stesso Zelensky, adesso acquistata anche da un’emittente italiana e prossimamente in onda. Qualcosa si può già intuire sulle sue performance da attore comico smanettando sul web. Su Youtube si trova uno show satirico in cui l’attuale presidente dell’Ucraina si esibiva anni fa, facendo finta di suonare il piano con il pene per cinque minuti. E non si tratta di ridurlo ad un attore da avanspettacolo. Anzi.

Il successo televisivo del presidente per finta, del tutto digiuno di politica, il quale, diventa presidente per davvero proprio perché la sua interpretazione piace agli spettatori-elettori, spiega la speciale competenza di Zelensky per la guerra guerreggiata sullo schermo. Che è il medium che gli si addice, il balcone dove gli piace affacciarsi. Sempre in mimetica, metafora militare dell’impegno sul campo.

Altro che l’adunata di Putin allo stadio Luzhniki di Mosca, scenografia classica e, certo, trash della dittatura osannata dalla folla oceanica come ai tempi di Mussolini o di Pinochet. Con lo zar vestito di un cappottone di design italiano, costo 12mila euro, magari un messaggio anche questo di quanto abbiamo da perdere nel non vendere e non comprare dai russi. Comunque il prezzo, di certo non alla portata di tutti, ha destato stupore e meraviglia nei commentatori italiani. Perché né loro, né le loro mogli hanno mai varcato la soglia di un luxury brand, un tempo orgoglio del Made in Italy. Da non crederci. Come la reazione dell’azienda produttrice del cappottone che si è subito dissociata dal presidente-testimonial.

Zelensky, invece, non organizza adunate ma è sempre in video. Un mezzo a cui tutti ci siamo abituati dopo due anni di pandemia planetaria. L’elenco dei collegamenti è lunghissimo. Un video tour che comprende il Congresso degli Stati Uniti a Washington e il Parlamento canadese a Ottawa, Israele e il Regno Unito, più le istituzioni civili e militari di mezza Europa. Solo in Italia, Zelensky è al secondo video collegamento. Il primo a Firenze, con i pacifisti che lo acclamavano, bandiere arcobaleno e del PD garrule al vento, mentre chiedeva di istituire una no-fly zone sull’Ucraina, come dire, dichiarare apertamente la terza guerra mondiale. Richiesta non rinnovata davanti al Parlamento italiano. Sarà mica che siamo già in guerra ma non si dice?

In compenso Zelensky, ha chiesto ulteriori sanzioni per la Russia e, ripetutamente, di continuare a congelare i beni degli oligarchi russi. “Usano l’Italia come luogo per le vacanze”, ha detto. Per esperienza personale, come ha confermato lui stesso: “Ho visitato spesso l’Italia”. Sembra che anche lui abbia un villone in Versilia. Poi sui russi ha aggiunto: “Bisogna bloccarli, congelare immobili, conti, yacht”. In totale sintonia, il nostro super Mario ha risposto di avere già provveduto per 800 milioni di euro

Chissà poi perché i miliardari russi sono oligarchi “legati a Putin”, Draghi dixit. Mentre i miliardari degli Stati Uniti, paese di lobby dichiarate, sono benefattori dell’umanità per definizione.

“Bisogna sostenere l’embargo contro le navi russe” che entrano nei porti italiani e “non prevedere eccezioni per qualsiasi banca russa”, ha raccomandato Zelensky al nostro governo e al nostro parlamento. “L’obiettivo dei russi è l’Europa”, ha sottolineato. “Influenzare le vostre vite, controllare la politica e distruggere i vostri valori: democrazia, libertà, diritti dell’uomo. L’Ucraina è il cancello per l’esercito russo. Loro vogliono entrare in Europa ma la barbarie non deve entrare”.

L’Ucraina porta d’Occidente, dunque. E anche della cristianità. Dal momento che Zelensky prima di collegarsi con Montecitorio aveva parlato al telefono con Papa Francesco, l’unico forse a potere riallacciare la diplomazia amputata dalle dichiarazioni su Putin di esponenti politici, capi di stato e di governo di metà Occidente. Ché mica possiamo dire a Putin “feroce”, “criminale di guerra”, “animale” e poi auspicare che metta dei fiori nei suoi cannoni. O puntare tutto sulla speranza che qualcuno lo faccia fuori a Mosca.

Ma “bisogna garantire la pace”, afferma Zelensky a Montecitorio. Il suo “popolo è divenuto esercito” contro l’invasore russo. Ma gli ucraini “non hanno mai voluto la guerra”. Affermazione apodittica.  Senza mai nominare l’invasore Putin, convitato di pietra, Zelensky ha ricordato gli orrori della guerra “commessi l’ultima volta in Ucraina dai nazisti”. Storia assai controversa.

Secondo Paolo Mieli: “Una delle cose che hanno lasciato un segno nei rapporti tra Ucraina e Russia è come gli ucraini accolsero Hitler e il suo esercito. Come dei liberatori”. Sarà stato il risentimento per le purghe staliniane o per la carestia indotta dalle politiche di Mosca, il cosiddetto “holodomor” degli anni Trenta, “ma molti ucraini si allearono con i nazisti – scrive Mieli – facendo anche gravi torti agli ebrei”.  Senza contare l’eroe nazionalista Stepan Bandera, odiato dalla componente russofona dell’Ucraina e, soprattutto, il famigerato battaglione neonazista Azov, che è un reparto militare ucraino a tutti gli effetti, schierato in prima linea nella difesa di Mariupol.

Ma bisogna fermare l’innominabile invasore, “fermare una sola persona affinché possano sopravvivere in milioni”, conclude Zelensky. “Gloria all’Ucraina e grazie all’Italia”.

I deputati e senatori presenti nell’emiciclo di Montecitorio, non tutti, ma il governo è al completo, scattano in piedi e tributano la lunga ovazione. Alcuni indossano spille o mise con i colori della bandiera ucraina in omaggio all’occasione insolita. Zelensky è il terzo capo di stato straniero a parlare a Montecitorio. Prima di lui solo il re di Spagna Juan Carlos, nato a Roma, e papa Wojtyla che stava in Vaticano, dentro Roma.