Il Pd siciliano non smette di navigare a vista. Eppure, ci direbbero i “dem” se interpellati, la corsa verso il congresso regionale del partito segue strategie “ad ampio respiro” e procede nell’individuazione di un “candidato unitario”, perché di “correnti” ne abbiamo le scatole piene (in realtà abbiamo intercettato Nello Dipasquale e ce lo ha in parte confermato). A Palermo come a Roma. Lo direbbero, certo, ma alla stregua di un’altra prassi della politica: predicare bene e razzolare male. Perché a una manciata di giorni dalla presentazione delle candidature per il prossimo appuntamento elettorale (il popolo del Pd si recherà ai gazebo – ma in quanti saranno? – il prossimo 16 dicembre) questa strategia non si capisce bene, regna la confusione e, soprattutto, le antiche divisioni: che in Sicilia vuol dire “renziani” contro resto del Mondo.

Tralasciando la leggerezza – e i risultati del partito (non solo elettorali) implicano che deputati e addetti ai lavori non possono non prendere la faccenda sul serio – la situazione è caotica. La direzione generale del mese scorso ha consegnato ai posteri un’ardua sentenza: che Antonello  Cracolici, contrario al metodo delle primarie “hic et nunc” al momento ha deciso di lavarsene le mani. Non sta in campo perché il terreno di gioco è infimo. E rischia, presentandosi di fronte a uno smarrito popolo democratico (sotto Natale poi) di uscire ancora con le ossa rotta. Meno uno.

Fuori dall’orticello dell’ex assessore regionale all’Agricoltura vige un gran fermento. E i soliti steccati. Da un lato i renziani, che impegnati come sono, a livello nazionale, per convincere Minniti a entrare in scena, a Palermo paiono convergere sull’uomo del momento. Che sembra, dall’alto della sua giovinezza e della messe di voti raccolta alle ultime Regionali nella sua Catania, la candidatura più spendibile: quella di Luca Sammartino, attuale deputato regionale. Unico neo: non arriva dal filone “comunista” del partito, ma dall’Udc e dal moderatismo. In molti potrebbero non berselo. Fra i renziani resistono altre ipotesi, tutte molto aleatorie: dall’ex rettore di Messina, Pietro Navarra, all’ex sindaco di Ragusa, Nello Dipasquale (che smentisce). Mentre Faraone, che resta il braccio armato di Renzi nell’Isola, osserva da supervisor.

E gli altri? Fuori dallo steccato “renziano” si annidano mille anime diverse. Dall’unionista Giuseppe Lupo, a cui non dispiacerebbe una soluzione realmente unitaria (circola il nome dell’ex assessore alla Sanità Baldo Gucciardi) ai partigiani “dem” di Rubino, che sembrano più vicini alle posizioni di Fausto Raciti, il segretario dimissionario uscente che, vestendo i panni del “giudice”, sta incardinando il congresso verso le sue fasi più salienti. In gioco c’è anche Anthony Barbagallo di Areadem, la corrente di Franceschini. E qualche giovane prospetto, magari un amministratore locale, che sappia rivoluzionare dall’interno quella scatola semi-vuota che è il partito adesso. Senza un tesoriere – Lillo Speziale si è dimesso -, senza una sede, e con un elettorato ridotto ai minimi termini.